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Sostenibilità

ManagerNoProfit: il cuore grande dei manager

Una task force di dirigenti milanesi in pensione ha deciso di mettere a disposizione del terzo settore le proprie competenze. Obiettivo? Dare alle onlus una marcia in più in cabina di regia

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Quella di ManagerNoProfit è una proposta di volontariato indubbiamente fuori dagli schemi. L’associazione di ex dirigenti milanesi non si propone di assistere i malati, fornire supporto ai diversamente abili o condividere parte del proprio tempo libero con anziani e persone sole, bensì mette a disposizione del Terzo settore competenze professionali e manageriali di alto profilo. Le consulenze sono rigorosamente gratuite e sono offerte da una vera e propria task force di esperti over 60. La loro età non deve però trarre in inganno: i volontari sono tutti dirigenti di punta, con alle spalle posizioni di primo piano in realtà multinazionali e leader di settore. Tra i 16 soci fondatori si annoverano, per esempio, ex top manager di Ibm, Fiat, Alfa Romeo, Mondadori e Mediaset. La stessa presidente, Barbara Wouters, ricopriva ben tre cariche per l’americana Itron: era presidente del consiglio aziendale europeo, responsabile del personale per Europa, Middle East e Africa, nonché direttore di una divisione a livello mondiale. Sotto di lei aveva qualcosa come 5 mila lavoratori. Oggi ha deciso di presiedere ManagerNoProfit perché in fondo, come lascia intendere lei stessa, è proprio questo il senso della solidarietà: spendersi per il prossimo, condividendo ciò che si ha di più prezioso.

La vostra resta però una scelta sui generis: come è nata l’idea di fondare ManagerNoProfit?All’inizio del 2015 ho frequentato il corso Outplacement verso il sociale, organizzato dall’associazione lombarda Aldai per aiutare i neopensionati a transitare verso una nuova fase della loro vita, che non si riducesse ai giri al parco con i nipotini. Eravamo due classi da 20 dirigenti ciascuno: dalla nostra è nata l’idea di rimanere insieme, perché avevamo capito che le competenze presenti all’interno del gruppo erano enormi ed elevate. Senza contare che 40 anni di esperienza in azienda sono senz’altro notevoli…

Costituitasi a Milano solo pochi mesi fa, ossia a gennaio 2016, ManagerNoProfit ha già fatto il pieno di consensi. In autunno l’associazione inserirà, al termine di un corso di formazione, altri 30 volontari. Allo studio c’è anche l’allargamento di questa esperienza alle città di Roma, Padova e Bergamo. Al momento di andare in stampa i progetti avviati sono 25, a cui si aggiungono 38 in fase di check up. Le onlus seguite sono soprattutto di piccole e medie dimensioni, nonché tutte appartenenti a Milano e Hinterland, ma non manca qualche nome noto come la Caritas Lodigiana.

Perché scommettere proprio sul volontariato? Potevate, tutti insieme, dare vita a una nuova società, magari anche di consulenza.Desideravamo fare qualcosa per il sociale perché, dal punto di vista della professione, eravamo stati già abbastanza fortunati. Tuttavia, non sapevamo bene come inserirci in questo mondo: non avevamo intenzione di fare attività di base e desideravamo non perdere le nostre competenze. L’obiettivo primario di ManagerNoProfit rimane il trasferimento di skills: i progetti che implementiamo devono aiutare anche a creare quel know how necessario affinché le onlus possano camminare da sole. D’altronde, la straordinaria mobilitazione delle associazioni del servizio civile e di cittadinanza in occasione del recente terremoto del Centro Italia è il più importante esempio di come il non profit possa aiutare nella costruzione di una società fondata sul perseguimento del bene comune e del soccorso reciproco.

Ma fino a qualche tempo fa il mercato e il non profit non erano due mondi incompatibili?In realtà questi due universi sono chiamati ad avvicinarsi e dialogare sempre di più. Con l’entrata in vigore della riforma del Terzo settore, che impone alle onlus un bilancio sociale, sarà sempre più importante che una parte del profit entri nel mondo del non profit. Al contempo, negli ultimi anni, molte imprese stanno sostenendo progetti di volontariato.

Ammetterà però che gli obiettivi continuano a essere sostanzialmente diversi…Senza dubbio. I nostri volontari, infatti, prima di diventare operativi devono seguire un corso di accoglienza di tre mesi circa, a cui segue un breve periodo di tutoraggio. Il tratto distintivo della nostra associazione è proprio l’approccio: vogliamo entrare in punta di piedi nelle onlus. Prima di qualsiasi intervento operativo dobbiamo avere rispetto per le persone che abbiamo davanti, e conoscere profondamente la loro realtà associativa.

Più nel dettaglio, come si declina il vostro modus operandi? Il primo step è un check up generale dell’associazione: questa visione globale permette di portare alla luce eventuali problemi nascosti. Dopodiché definiamo uno o due progetti, li discutiamo con l’onlus e li condividiamo. Su questi progetti (bilanci, riorganizzazione del personale, comunicazione) lavorano, fianco a fianco, ormai più di venti associazioni a Milano e in Lombardia, alcuni volontari di ManagerNoProfit e le persone designate dall’associazione.

Secondo lei, quale impatto avrà la riforma del Terzo settore?La riforma introduce il servizio civile universale, l’impresa sociale e ripulirà il settore dalle attività di dubbia utilità sociale e che coprono attività illecite. Purtroppo, il problema principale di questo settore è che, a esclusione delle grandi realtà, la maggior parte delle associazioni non ha un budget preventivo: spesso si naviga a vista, anno dopo anno, e quando la riforma metterà in discussione questa logica molte realtà entreranno in crisi. Inoltre, l’Italia è il Paese delle associazioni: solo a Milano se ne contano 700 e molte operano negli stessi ambiti. Questo diffuso individualismo rende più vulnerabili le onlus. Per questo, in previsione dell’implementazione della riforma, stiamo lavorando anche per creare network.

Oltre al bilancio, qual è la miopia più diffusa tra i player del Terzo settore?L’aspetto finanziario è un problema sicuramente ricorrente tra le realtà medie e piccole: i finanziamenti statali, così come le donazioni private, si sono ridotti e il 5×1000 non permette certo di sopravvivere. È importante quindi cambiare logica: anziché studiare il mercato per individuare possibili donatori o finanziatori, bisogna iniziare a puntare su progetti di auto-sostenibilità. L’altro grande tema è la gestione dei volontari: il turn over è sempre molto alto. L’aspetto chiave, su cui investire, è la loro motivazione.

Credits Images:

Barbara Wouters