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Sostenibilità

Fondazione Bambini in Emergenza: gli artigiani della solidarietà

In Romania e Sudamerica, passando per l’Africa, senza dimenticare l’Italia. Da 20 anni la fondazione voluta dal giornalista Damato lotta per regalare un futuro ai bambini in difficoltà

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Siamo nel 1989 e nello studio televisivo di Mino Damato arriva il principe Carlo d’Inghilterra. Durante l’intervista si parla, tra le altre cose, della Romania e del dittatore Ceausescu, che pochi giorni dopo verrà deposto e processato. Squarciato il velo della dittatura, il mondo scopre una crudele realtà: in Romania ci sono 300 mila bambini abbandonati e 30 mila di loro sono infettati da Hiv, non curati e abbandonati tra lo sporco e l’indifferenza. Damato parte e senza pensarci adotta una bambina. «La prima cosa che Mino ha fatto è prenderne uno, uno soltanto, ma da qualche parte doveva pure cominciare», ricorda Silvia Saini, moglie del giornalista e oggi presidente della Fondazione Bambini in Emergenza, che da 20 anni è in prima linea, con il Centro Pilota Andreea Damato a Bucarest e altre iniziative in Africa e Sudamerica, accanto ai bambini abbandonati e malati, sieropositivi e vittime dell’Aids. Perché l’emergenza non è ancora finita.

L’impegno della fondazione voluta da Mino Damato

«I numeri ufficiali parlano di circa 10 mila bambini abbandonati in Romania ogni anno, la maggior parte di neppure tre anni. Sono numeri che metterebbero in difficoltà anche un Paese come la Germania, in termini di spese di mantenimento. Se aprissero le adozioni internazionali, in mezza giornata riusciremmo a dare una famiglia a ognuno dei nostri bambini. E a quel punto non avremmo più motivo di restare in Romania nelle modalità attuali: la nostra opera di accoglienza non sarebbe più necessaria e potremmo indirizzarci verso altri campi di intervento, come la prevenzione dell’abbandono minorile». In due decenni di lavoro sul campo, la Fondazione ha realizzato in Italia, Africa e Sudamerica una trentina di progetti, direttamente o indirettamente, finanziando altre organizzazioni sul posto. I bambini salvati sono circa un migliaio. Ma come ci riescono? «Siamo degli artigiani della solidarietà», continua Silvia Saini, «perché nulla è fatto in serie, ma lavorando con le mani, con la testa e con il cuore in una continua mescolanza che punta a trovare la soluzione migliore per ogni bimbo che ci viene affidato. Per questo motivo i nostri progetti sono molto diversi gli uni dagli altri, contestualizzati nel Paese dove vengono realizzati, partendo da una reale necessità e mettendo in campo di volta in volta energie e competenze diverse a seconda del contesto. Il percorso di recupero di ogni bambino è studiato con attenzione, personalizzato e nel tempo adattato per raggiungere il massimo risultato».

Una raccolta fondi sempre più strutturata

Una piccola industria della solidarietà. Piccola ma ben funzionante. «Abbiamo un indice di efficienza molto buono, intorno al 15%, inteso come rapporto tra spese di funzionamento ed entrate istituzionali. È il risultato di un’attenzione massima su tutti i centri di costo e un’attività di raccolta fondi sempre più strutturata». Un’azienda del bene con uno staff di 40 persone e otto professionisti, tra medici e specialisti, e che, come tutte le altre imprese, deve far quadrare il budget. «In questo momento le nostre entrate derivano unicamente da privati. Contiamo su uno zoccolo duro di donatori che da anni ci sostengono, certi della necessità e della bontà del nostro agire. Le somme raccolte nel 2016 sono state indirizzate principalmente sul progetto in Romania, anche se stiamo cercando di riportare l’attenzione sull’Italia e sulle emergenze interne, come richiesto da alcuni donatori». Già, perché l’emergenza non è così lontana come a molti piacerebbe credere, ma è fuori dalla porta di casa nostra. «L’abbandono del bambino, inteso come trascuratezza da parte delle famiglie e delle istituzioni pubbliche, è la vera emergenza del mondo benestante di oggi. Poiché la trascuratezza è spesso silente e non facilmente smascherabile; in molti la sottovalutano, eppure ha conseguenze pesantissime sulle piccole vittime».

Come intervenire? «Siccome è un fenomeno che riguarda soprattutto le famiglie in difficoltà economica o abbandonate dalle istituzioni, il problema potrebbe essere in parte contenuto aiutandole offrendo supporti di vario tipo nella gestione quotidiana dei figli o nelle spese correnti del nucleo familiare. L’Italia sta attraversando un periodo molto difficile, in cui le difficoltà in casa rendono l’italiano medio meno disponibile ad accogliere e aiutare il prossimo, soprattutto se straniero».

L’eredità di Mino

A sette anni dalla scomparsa di Damato, la Fondazione sta vivendo un momento delicato, ma non molto diverso da quello che vivono le aziende familiari nel passaggio generazionale. «Quando Mino è mancato, abbiamo ricevuto in eredità una Fondazione con grande credibilità, una lunga lista di progetti realizzati e un’esperienza quasi ventennale sul campo. Nonostante ci avesse formato e preparato a lungo per questo passaggio, è stato comunque molto difficile e impegnativo. Nessuno di noi ha il suo carisma, la sua forza, il suo coraggio e il suo intuito. Ma abbiamo voluto comunque proseguire e oggi portiamo avanti l’opera iniziata da lui, mantenendo il suo stile, vincente».

Credits Images:

Mino Damato con la figlia adottiva Andreea. A lei è dedicato il padiglione di riabilitazione, Casa Andreea, in Romania (foto sotto)