Sostenibilità
Banco Alimentare: da 30 anni contro gli sprechi
La Fondazione Banco Alimentare si adopera per il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze di cibo, ma anche per educare gli italiani a combattere lo spreco familiare, che vale fino al 48% del totale

Il desiderio più grande? Che prima o poi non ci sia più bisogno di noi». Giovanni Bruno è diventato presidente della Fondazione Banco Alimentare lo scorso giugno, raccogliendo l’eredità di Andrea Giussani. È entrato in carica in un uno dei momenti più significativi per la onlus che si occupa di recupero delle eccedenze alimentari e redistribuzione alle strutture caritative di tutta Italia: nel 2019 ricorrono i 30 anni di attività. Pochi mesi dopo la nomina, Bruno ha ancora più chiaro l’obiettivo da raggiungere: «La parola chiave deve essere consolidare. Vale per i rapporti con il mondo esterno, ma anche per quelli al nostro interno. Vogliamo dare di noi un’immagine di realtà sempre più coesa, al netto delle differenze territoriali che pure esistono».
La Fondazione coordina e guida una rete costituita da 21 Banchi Alimentari presenti sul territorio nazionale e organizza l’ormai celebre Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, che si tiene l’ultimo sabato di novembre. È un circolo virtuoso che funziona, da 30 anni appunto: cibo ancora buono viene salvato trovando una seconda “casa” negli enti caritativi che ricevono le eccedenze gratuitamente per i loro assistiti. «I benefici sono sociali, economici, educativi, ma anche ambientali», premette il presidente. Per fare questo, la Fondazione ha un rapporto stretto con l’industria alimentare, con la grande distribuzione organizzata e con la ristorazione collettiva, finanziandosi con raccolte fondi e grazie a contributi di enti pubblici e privati.
Nel 2018, Banco Alimentare ha distribuito oltre 90 mila tonnellate di alimenti a più di 7.500 strutture caritative, che hanno aiutato a loro volta oltre 1,5 milioni di persone, di cui circa 345 mila minori. «Noi non incontriamo i singoli», spiega Bruno, «ma gli enti che assistono i bisognosi. Questo ci permette di creare un effetto volano e di essere capillari. In fondo, è quello cerchiamo di fare: dare un supporto ampio ed esteso, il più possibile». Notevoli anche i numeri della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, che la fondazione promuove da 23 anni in circa 13 mila supermercati coinvolgendo milioni di italiani. «Le richieste aumentano», osserva il numero uno della Fondazione, «sia perché i poveri non stanno diminuendo, sia perché nella società si è creata una certa impostazione culturale. Oggi nessuno snobba valori legati alla sostenibilità o all’economia circolare. Nel corso degli anni tale sensibilità è cresciuta con una duplice conseguenza: più attenzione da parte del pubblico, un numero maggiore di programmi anti-povertà a livello nazionale, regionale e comunale». Ecco una differenza sostanziale rispetto al passato: «Oggi le risposte al problema dello spreco alimentare e della povertà proliferano. La vera sfida», avverte Bruno, «sarà per tutti essere costanti in questa risposta. Si rischia, spinti da una determinata richiesta, di fare programmi con vita breve. È ciò che dobbiamo evitare ed è ciò che noi abbiamo sempre cercato di scongiurare». Banco Alimentare ha aperto la strada. «Diverse realtà oggi si battono contro lo spreco alimentare, noi siamo stati i primi. Ma non ci interessano le graduatorie, vogliamo solo essere utili. Ci hanno riempito di orgoglio le parole di Papa Francesco in un’udienza concessa ai rappresentanti dei banchi europei, a maggio: siamo come piante che prendono anidride carbonica e restituiscono ossigeno. Che per noi vuol dire cibo, ma anche educazione e impegno sociale».
I 30 anni, si diceva. Una storia lunga, cominciata quando un gruppo di amici, sull’esempio del Banco dos Alimentos di Barcellona, decise di replicare l’idea di una banca del cibo anche in Italia. Così, il 30 marzo 1989, la nascita della Fondazione Banco Alimentare venne ufficializzata dall’incontro di personaggi del calibro del cavalier Danilo Fossati, presidente della Star, e monsignor Luigi Giussani, padre di Comunione e Liberazione. Era un altro mondo. Diviso in due dal muro di Berlino, mentre in Italia di lì a poco Achille Occhetto avrebbe annunciato la celebre svolta della Bolognina e la fine del Pci. «Abbiamo accompagnato la storia del nostro Paese, ne abbiamo vissuto le trasformazioni», ammette Bruno. In realtà la storia dei banchi alimentari ha radici ancora più lontane. John Van Hengel, un uomo d’affari americano in pensione, sviluppò il concetto di food banking alla fine degli anni ‘60, quando iniziò a fare volontariato in una mensa e incontrò una madre che rovistava nei bidoni della spazzatura fuori dai supermercati: lì la donna trovava regolarmente cibo ancora in perfetto stato per nutrire i suoi figli e fu lei a suggerirgli che ci sarebbe stato bisogno di un luogo in cui immagazzinare gli scarti, come fanno le banche con il denaro. Nacque così il modello di food bank: la prima fu la St. Mary’s a Phoenix, in Arizona, fondata dallo stesso Van Hengel. Oggi, nel mondo, ci sono circa 1.400 banchi alimentari raggruppati sotto tre reti (The Global Food Banking Network, Feeding America e Feba European Food Banks Federation, di cui fa parte la fondazione italiana). Sono attivi in 57 Paesi, assistono 62,5 milioni di persone e hanno impedito ogni anno la perdita di circa 2,68 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari commestibili, che non sono diventate rifiuto, consentendo anche un abbattimento delle emissioni di anidride carbonica. «La povertà è in costante aumento», sentenzia Bruno. I dati Istat lo confermano: nel 2018, in Italia, si stimano oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta per un totale di 5 milioni di individui. Nel 1989, anno di nascita, Banco Alimentare ha distribuito 200 tonnellate di cibo a 20 strutture caritative, per un totale di 2 mila persone assistite. Cifra che ha continuato a crescere fino a raggiungere le 90 mila tonnellate del 2018. Si stima che in trent’anni siano stati distribuite 1,3 milioni di tonnellate di cibo.
«I numeri ci dicono che stiamo attraversando uno dei momenti più difficili della nostra storia. Non ci resta che rimboccarci le maniche e continuare a lavorare». Anche perché le sfide non mancano. «Un certo tipo di innovazione», continua il presidente della onlus, «non contrasta con la parola consolidare, ma diventa strumento per raggiungere l’obiettivo: poter evitare troppi giri di carte con l’industria alimentare e con la grande distribuzione sarebbe fondamentale, così avremmo più tempo e risorse da dedicare ad altro». Perché la burocrazia può essere un problema anche quando si parla di solidarietà. Ma, in tal senso, un aiuto lo ha dato la legge Gadda: entrata in vigore nel 2016, la legge 166 ha semplificato le procedure per il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari. La Fondazione Banco Alimentare è stata in prima linea per ottenere una norma che regolamentasse gli sprechi. «La logica non è sanzionatoria come in altri Paesi, ma incentivante: se fosse stato introdotto l’obbligo di donazione, le strutture caritative a valle non sarebbero state in grado per la maggior parte di gestire gli alimenti, in particolare il cibo fresco. La legge», ragiona Bruno, «ha reso possibili progetti comuni tra il mondo del profit, il non profit e le PA. Resta ancora una grossa fetta di spreco familiare, che vale tra il 45 e il 48% del totale. Ecco perché diventa fondamentale l’aspetto educativo». Intanto, con una lunga storia alle spalle, la fondazione guarda al futuro. «Spero davvero che non ci sia più bisogno di noi, un giorno. Ma la realtà», osserva Bruno, «ci dice che serviamo sempre di più. Allora auguriamoci di essere così uniti per almeno altri 30 anni».
