Attualità
Tassa di soggiorno: storia di una delle imposte più contestate e avversate
Imposta nel 1910, eliminata alla fine degli anni Ottanta ma tornata in vita con il Federalismo. Ecco quali comuni la possono imporre e che tetto non possono superare.
La paghiamo di frequente anche se spesso lo scopriamo tardi. È la tassa di soggiorno, una delle imposte più avversate e cordialmente detestate. La sua è una storia lunga e avvincente, con molte morti e altrettante resurrezioni. Si tratta di una imposta, locale, che viene fatta pagare a coloro che soggiornano nelle strutture di località turistiche e città d’arte. In poche parole, è un mezzo a disposizione di alcune amministrazioni locali per fare cassa. Turisti e albergatori non la amano particolarmente.
Comparve per la prima volta addirittura nel 1910 e veniva riscossa nei centri termali e balneari ma nel giro di 20 anni il numero delle località autorizzate a esigere questa gabella crebbe considerevolmente. Le cose rimasero così fino al 1989, quando la tassa di soggiorno fu soppressa con il decreto legge numero 66. I turisti tirarono un sospiro di sollievo ma col il nuovo millennio l’odiata imposta tornò a vivere.
Complice fu il Federalismo fiscale, varato nel 2009, e la necessità di permettere agli enti locali di poter avere dei canali di finanziamento da gestire autonomamente. Si cominciò con Roma la cui amministrazione – in base al DL 78 del maggio 2010 – veniva autorizzata a imporre una tassa calibrata sul livello della struttura ricettiva in cui il turista soggiornava: più era centrale e lussuosa, più la tassa saliva, fino a un tetto massimo di 10 euro al giorno. Poi seguirono Firenze e Venezia.
Solo l’anno successivo, però, un decreto legislativo faceva lievitare il numero delle località che avrebbero potuto imporre la tassa, garantendo la stessa facoltà ai capoluoghi di provincia e ai centri inseriti negli elenchi regionali delle località turistiche e delle città d’arte: il tetto da non superare era quello dei 5 euro a notte. La cuccagna, però, per gli enti in questione non durò a lungo, perché nel 2016 l’imposta di soggiorno questa volta venne bloccata di nuovo.
Cantare vittoria, però, non ha portato di nuovo molto fortuna. La tassa è stata reintrodotta con il decreto legge numero 50, la primavera scorsa, che ha permesso ai comuni che non l’avevano ancora adottata di mettersi in pari. Quelli che cominceranno a imporla dal 2018 sono oltre 40. Tra questi, ci sono Agrigento, Selva di Cadore, Assisi e Portofino.
Essendo una imposta comunale, ogni amministrazione decide se e come imporla, chi esentare e quanto chiedere, sempre entro un limite fissato per legge. A Milano, per esempio, si parte da un minimo di 2 euro e si arriva a un massimo di 5 euro per notte, a seconda del numero di stelle della struttura prescelta. Nel capoluogo lombardo, la si può pagare in due modi: all’interno del conto alberghiero, purché al turista sia chiaro cosa e quanto sta pagando, oppure con una ricevuta separata rilasciata dalla struttura.