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Attualità

Pmi italiane: non solo smart working, serve investire nel capitale umano

I risultati di un’indagine Asus condotta su 400 piccole e medie imprese del nostro Paese, chiamate a esprimersi sugli investimenti più importanti nell’era post Covid

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L’ampio e ricorso al lavoro da remoto da parte delle aziende italiane durante la pandemia di Covid ha inevitabilmente fatto aumentare il tasso di digitalizzazione delle imprese nel nostro Paese. Anche nelle pmi la spesa sul fronte hi tech non è mancata ed è probabile che resterà sostenuta anche nel medio-lungo termine, ma non sarà l’unico investimento su cui le aziende del nostro Paese punteranno. Secondo i risultati di una ricerca condotta dall’istituto Eumetra per conto di Asus – che ha voluto esplorare le conseguenze e gli eventuali nuovi piani che aspettano le pmi italiane nei prossimi anni – il tema principale nelle piccole e medie aziende del nostro Paese non sarà la questione “ritorno in ufficio o smart working” (o, almeno, non soltanto), me emergerà una forte componente psicologica, che vedrà evolvere l’intero approccio al lavoro e ai team da parte dei dipendenti e richiederò un forte investimento da parte delle aziende sull’elemento del capitale umano.

Secondo lo studio, condotto su circa 400 pmi con fatturato tra i 2 e i 16 milioni di euro, le conseguenze hanno fatto sì che molte imprese italiane cambiassero approccio e reinvestissero le proprie risorse non solo nell’attrezzatura necessaria ad affrontare i cambiamenti che tutti abbiamo vissuto, ma anche e soprattutto nel capitale umano, le sue competenze, il ruolo e il morale di ogni singolo dipendente. A seguito dell’implementazione dello smart working, l’ufficio ha perso la sua connotazione di “luogo parte della routine quotidiana”, diventando invece un luogo di eccezionalità, quasi desiderabile in quanto si è andato a legare indissolubilmente con la sfera dei rapporti umani fra colleghi (il 33% delle pmi dichiara di vedere l’ufficio come punto di incontro per i colleghi al di fuori della normalità e quotidianità del lavoro da casa, mentre il 18% delle stesse aziende lo definisce un luogo oramai superfluo, utile solo per le occasioni “formali”).

D’altro canto, molti lavoratori hanno sentito, con l’aumentare dello smart working, un aumento anche dei carichi e delle ore di lavoro. Il 37% delle aziende infatti afferma che le persone dipendenti hanno acquisito maggiore flessibilità (il 45% di queste sono aziende del Centro Italia), mentre nel 32% dei casi i colleghi hanno mantenuto un orario fisso, vedendo però aumentare le ore lavorative. La flessibilità totale di orario è invece stata acquisita solo dal 24% delle pmi.

Smartworking: da necessità a strategia per il futuro

Secondo la ricerca, le aziende italiane pensano di far tesoro dei cambiamenti indotti dalla crisi Covid e sono disposte ad assumersi costi e responsabilità non preventivati per far sì che questo accada. Lo smart working è previsto restare per circa 8 aziende su 10 fra quelle che lo hanno usato in questo periodo. Considerando l’insieme delle aziende italiane studiate, il lavoro da remoto rimarrà nel 67% delle pmi. La maggioranza di queste pensa a una strategia di impiego più “intensiva” e non limitata a poche persone. Inoltre, le aspettative per il 2022 sono più che ottimistiche per quel che riguarda il 66% del campione intervistato, con un 28% di aziende (molte delle quali situate nel Centro Italia) che invece si aspetta di rimanere stabile nei profitti.

Investimento sugli apparati tecnologici

Tre quarti delle aziende che implementeranno lo smart working come soluzione strategica per il futuro hanno inoltre in mente di ridurre gli uffici. Soprattutto le imprese più grandi con un assorbimento di spazio maggiore stanno valutando l’aspetto delle metrature allocate e i relativi costi fissi, di affitto o ammortamento. Ma anche l’organizzazione e la cultura aziendale si modificano. Le aziende dello smart working strategico si apprestano ad adottare modelli di maggior autonomia per le persone, di maggior orientamento ai risultati, di utilizzo più libero delle dotazioni informatiche (a partire dal pc), anch’esse in evoluzione.

Barriere al cambiamento e responsabilità

Lo smart working ha portato anche delle barriere, dovute all’aumento di tecnologia e alla conseguente diminuzione di contatto umano. Il continuo lavorare da casa tramite computer, il sentire i propri colleghi principalmente tramite telefono o videocall, hanno portato molti dirigenti aziendali a chiedersi se vi sarà nei prossimi mesi un discreto diminuire delle performance e della motivazione. Il 25% delle aziende teme che lo smart working possa portare a una perdita di motivazione del lavoratore, mentre il 24% crede che questo porterà a un maggiore isolamento dei dipendenti, con conseguente perdita dei contatti sociali e maggiore preoccupazione per eventuali distrazioni e incombenze famigliari. Solo a seguito di queste motivazioni subentrano i timori riguardo l’impossibilità di adattare i processi aziendali ai nuovi metodi di lavoro.

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Foto di mohamed Hassan da Pixabay