Attualità
Per colpa della corruzione, calano investimenti stranieri e occupazione
Secondo uno studio di Riparte il Futuro e I-Com, la qualità delle istituzioni di uno Stato pesa tantissimo sulla crescita economica
Chi pensa che la corruzione sia un problema principalmente di carattere etico si sbaglia di grosso. Questo fenomeno costa all’Italia tantissimo, anche e soprattutto in termini economici. La conferma arriva da uno studio curato da Riparte il Futuro e I-Com, secondo cui a causa di quella che è diventata una vera e propria emergenza il nostro Paese ha perso investimenti stranieri e occupazione, e di conseguenza anche possibilità di sviluppo e crescita. Gli esperti sono partiti da alcuni indicatori internazionali, come il Corruption Perception Index (CPI) elaborato da Transparency, dove l’Italia è 54esima su 180 Pesi come livello di corruzione percepita dai propri cittadini, e l’European Quality of Government Index (EQI), che restituisce una fotografia completa sulla qualità delle istituzioni di uno Stato. Si tratta di due indicatori fortemente correlati: maggiore è il punteggio di CPI (quindi minore è la corruzione percepita), infatti, e maggiore è anche la qualità delle istituzioni di un Paese. Quindi, gli autori hanno cercato di mettere in correlazione questi indicatori con alcuni indicatori macroeconomici.
Dall’analisi, è emerso che la corruzione rappresenta un freno agli investimenti stranieri. Lo studio ha calcolato che, a livello europeo, un amento del 10% del CPI corrisponde a una crescita degli investimenti esteri stranieri del 28,1%. Oltretutto se la corruzione è bassa, le multinazionali hanno una maggiore attività a livello locale (le grandi aziende sono più presenti dove gli indicatori hanno punteggi più alti). Pesanti anche gli effetti sull’occupazione. È sufficiente un solo punto in più nell’indice della qualità delle istituzioni per ridurre il tasso di disoccupazione di 5 punti percentuali. Infine, si è visto che un aumento del 10% nel livello qualitativo delle istituzioni è associato a un incremento dell’8,5% nella domanda dei servizi pubblici digitali.