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Sas: un modello per la parità di genere (e non solo)

I numeri parlano chiaro: la multinazionale leader negli analytics è un esempio sul fronte della gender equity e del rispetto del singolo. Un approccio che ora l’azienda punta a “esportare” oltre il proprio ecosistema di clienti e partner. Stefano Quaia Stefano Quaia, HR Director di Sas Italy, spiega come

architecture-alternativo Stefano Quaia, Hr Director di Sas Italy

Creare un ambiente incentrato sul rispetto e sulla condivisione, dove il singolo si senta valorizzato e apprezzato per la sua unicità, è un ormai un imperativo per tutte le aziende. Questo approccio, però, non nasce da un giorno con l’altro, ma va costruito nel tempo.

Lo dimostrano i risultati conseguiti da Sas, multinazionale americana leader nel mercato degli analytics, che da diversi anni ha abbracciato un’attenta politica sul fronte della Diversity & Inclusion e della parità di genere, diventando un punto di riferimento sul fronte della gender equity.

Grazie alle sue politiche incentrate sulla flessibilità, che aiutano tutti i dipendenti a trovare il proprio worklife balance, negli Usa l’azienda è riconosciuta tra i migliori posti di lavoro per una donna. Non è un caso che in Sas, nonostante il settore Stem sia tradizionalmente ad appannaggio maschile, le donne rappresentino il 40% della forza lavoro e il 33% della leadership a livello globale.

Questo approccio è ovviamente presente anche nella divisione italiana, come spiega Stefano Quaia, Hr Director di Sas Italy, che a Business People illustra l’approccio in ambito Diversity & Inclusion e il percorso dell’azienda sul lungo termine. “L’idea è quella di andare oltre il nostro contesto e farci promotori di una nuova cultura d’impresa a livello nazionale. È il motivo per cui stiamo collaborando con diverse associazioni e aziende che hanno il nostro stesso orientamento: vogliamo avere un impatto su un tema così importante di responsabilità sociale.

Lei ha un lungo trascorso in Sas. Può descrivere come l’azienda ha attuato la sua politica sul fronte della parità di genere e, più in generale, della Diversity & Inclusion?
È vero, sono in Sas da 15 anni e posso dire che l’ambiente di lavoro che abbiamo oggi è stato costruito nel tempo. La nostra politica sulle persone è partita in primis dal vertice aziendale, dal nostro Ceo Jim Goodnight, e ha coinvolto gradualmente tutto il team manageriale fino ad arrivare al rapporto con i colleghi. In quanto global company il nostro focus non è solo il tema della parità di genere, ma più ampio e abbraccia il confronto tra diverse culture, dove la gender equity è solo uno degli aspetti. Tengo a sottolineare, però, che l’elevata percentuale di donne anche ai vertici di Sas è stata raggiunta senza obblighi o regole in fase di assunzione.

Si riferisce al dibattuto tema sulle quote rosa.
In Sas cerchiamo di diffondere una cultura orientata al merito. Abbiamo introdotto dei meccanismi di valutazione delle persone che superano eventuali bias o il giudizio di un singolo in fase di assunzione o promozione. Un altro tema per noi importante è quello che riguarda l’unicità: lavoriamo tanto sull’inclusione, ma sappiamo che ognuno è portatore di una propria unicità. Che poi, come Hr, ci siamo resi conto che tra le persone la diversità non è tanto su variabili demografiche, generazionali o di genere: a differenziare i profili sono più le motivazioni, le aspirazioni di carriera e il significato che danno al lavoro.

Spesso questo tipo di politiche hanno efficacia se c’è un management sensibile al tema. Ha accennato al Ceo e fondatore di Sas, Jim Goodnight. Questa sensibilità è presente anche nel management italiano?
Assolutamente e a partire dal vertice. Ad esempio, la nostra amministratrice delegata Mirella Cerutti si batte da tempo su questi aspetti ed è lei stessa un esempio di come sia possibile fare carriera per le donne in un ambito a prevalenza maschile. Ma la parità di genere è un tema che non riguarda solo le donne, deve essere sentito e vissuto anche da noi uomini. Oggi il nostro management team italiano è composto da sette donne e sette uomini. A livello italiano, Sas conta il 38% di presenza femminile nella popolazione aziendale, un dato che non potrà che migliorare perché stiamo investendo molto sulle nuove generazioni. Lavoriamo con diverse associazioni che ci permettono di entrare in contatto con scuole e università: lì le nostre colleghe fungono da vere e proprie role model per le più giovani. È un trend comunque già in atto: nella Generazione Z sempre più ragazze intraprendono un percorso di carriera nel settore Stem. Le aziende dovranno farsi trovare pronte ad accogliere questa diversità.

Mi conferma che l’attenzione alla Diversity & Inclusion, così come alla gender equity, non è solo eticamente corretta ma rappresenta un valore aggiunto in fase di attrazione di talenti?
Sì, certamente. Ne va della competitività di un’azienda. Ormai i candidati danno per scontato di trovare un ambiente inclusivo. Sono in particolare i più giovani a sentire molto vicino questo tema: spesso in fase di colloquio fanno domande non solo legate alla gender equity, ma anche agli orientamenti sessuali, che vanno considerati. Un ambiente inclusivo, poi, influisce sulla produttività. Le faccio un esempio legato alla recente pandemia di Covid: il fatto di aver potuto contare su una prontezza organizzativa in quella situazione è passato da quanto le persone si sono sentite ingaggiate e parte dell’azienda.

Ha parlato della sensibilizzazione nelle scuole. Immagino avvenga qualcosa di simile anche all’interno di Sas.
Sì, la formazione su questi temi è fondamentale. Ci allineiamo ai numerosi programmi offerti a livello globale dall’azienda, come il multicultural training che stiamo per lanciare e aiuterà le persone a gestire meglio la loro quotidianità. Non mancano, poi, iniziative a livello locale. Organizziamo, ad esempio, momenti di confronto e dibattito su questi temi. È un’occasione di ascolto organizzativo per capire se ci sono nuovi trend o fenomeni da affrontare, ma permette anche di creare momenti in cui, in assenza di ruoli e gerarchie, si limano le differenze.

Questo lavoro di sensibilizzazione viene fatto anche con le aziende partner?
Sì. Diciamo che copriamo tutta la “filiera”, dal rapporto con i clienti, a quello con i nostri partner e fornitori. Ci aspettiamo che le loro politiche siano in linea con il nostro approccio. Sono aziende indipendenti ma è come se facessero parte di un ecosistema, l’ecosistema Sas.

Da poco più di un anno avete introdotto il vostro modello di Flexible Work che, dando più flessibilità nella gestione del lavoro, ritengo abbia dato un ulteriore slancio alla parità di genere in Sas. Può fare un primo bilancio di questo modello?
Quello che ha toccato è un punto molto attuale. Siamo ancora in fase di studio di questo modello. Anche prima del Flexible Work avevamo adottato una politica di smart working: c’era flessibilità oraria e di luogo di lavoro, ma veniva utilizzata indicativamente tre giorni al mese. Oggi, invece, stiamo chiedendo una presenza in ufficio di 2-3 giorni a settimana. Guardando la percentuale di donne e uomini in smart working, se  consideriamo gli ultimi due trimestri, sono più gli uomini (il 53%) che le donne (51%) a fare affidamento al lavoro agile, l’opposto di quanto ci si potrebbe aspettare. Non solo. Se guardiamo al turnover degli ultimi anni, alle frequenze in ufficio e alle percentuali di bonus rispetto ai risultati raggiunti, uomini e donne coincidono. È un ottimo segnale! Al momento più che analizzare l’adozione del Flexible Work tra uomini e donne, stiamo lavorando per andare incontro a due tipi di profili, sia uomini che donne: c’è chi ci chiede una netta separazione tra vita personale e vita lavorativa, con orari e luoghi di lavoro più netti, e chi preferisce massima autonomia e flessibilità, purché ovviamente porti avanti le attività assegnate. In Sas puntiamo sulla flessibilità e sui principi: più che introdurre regole, cerchiamo di sviluppare un pensiero critico nelle persone che porti a considerare non solo se stessi, ma anche l’altro: l’interazione con il cliente, con il collega, etc… Sicuramente è un approccio più sfidante, però è una sfida che abbiamo abbracciato e che riteniamo ci porterà più lontano in termini di engagement e cultura aziendale.