Protagonisti
Noah Guitars: chitarre elettriche made in Milan
Da quasi 25 anni Renato Ruatti e Mauro Moia realizzano i loro pregiati strumenti in uno scantinato di una bellissima villa storica di Milano
Conversare con Renato Ruatti, 60 anni, creatore delle Noah Guitars, è un po’ come fare un viaggio nel tempo e nello spazio. Ascoltando i suoi racconti e i suoi aneddoti ci si imbatte spesso in personaggi celebri, in rock star come Lou Reed, in musicisti di fama come Saturnino Celani, in grandi imprenditori e professionisti affermati, ma anche in persone comuni come quel vicino, di professione tranviere ma barista nel dopolavoro, che preparava caffè deliziosi «perché li faceva con il cuore». Ed è con il cuore che Renato Ruatti e Mauro Moia da quasi 25 anni realizzano le loro pregiate chitarre elettriche in uno scantinato di una bellissima villa storica di Milano, in zona Lambrate. Sono le Noah Guitars, appunto, esemplari rarissimi che oggi possiedono in pochi, circa 120 persone nel mondo, tra cui diverse star della musica rock e pop, da Bruce Springsteen a Sting, da Nek a Jovanotti, dal bassista dei Muse Chris Wolstenholme a Ben Harper fino ai già citati Lou Reed e Saturnino Celani.
La storia di Noah Guitars
E pensare che la storia di questi strumenti iniziò quasi per caso, nel 1993, quando un cultore della musica come Giovanni Melis, chiese all’amico Ruatti di realizzare una chitarra in metallo, un connubio tra due modelli già entrati nella storia: la National Style “O” e la Fender Telecaster. Fu così che Ruatti, trentino della Val di Non ma milanese d’adozione, architetto e designer in carriera, si mise al lavoro e affrontò una sfida impegnativa: creare una chitarra con un corpo di metallo e notevoli possibilità sonore ed estetiche. «Raggiungere l’obiettivo non fu facile», ammette Ruatti, che ricorda le sperimentazioni fatte sul materiale e i primi contatti con i liutai milanesi, tra i quali c’era una notevole dose di scetticismo. Ma Ruatti e Melis non si diedero per vinti e, dopo aver tentato di utilizzare la lamiera in ottone, si indirizzarono sull’alluminio.
Il marchio NOAHguitARS
Fu proprio questa intuizione che segnò la storia delle Noah Guitars. Ma fu determinante anche l’incontro nel 1995 con Mauro Moia, caporeparto dell’ex Aermacchi, una delle più importanti aziende di produzione di aeroplani da addestramento, che delle lavorazioni in alluminio era un grande esperto. Con l’apporto di Moia, Ruatti affinò il processo di progettazione e produzione delle chitarre facendogli fare un salto di qualità: utilizzarono la fresatura a controllo numerico per lo scavo del corpo da un blocco unico in lega di alluminio e mantennero, invece, la lavorazione a mano per l’assemblaggio e le finiture. E così, nel 1996, dopo circa tre anni di sperimentazioni, nacque l’Ammiraglia, la prima vera chitarra con il marchio NOAHguitARS che ebbe l’opportunità di esibirsi su un palco. Quegli strumenti, costruiti da “outsider”, uomini che non conoscevano bene la musica come un musicista e che non avevano certo la perizia di un liutaio, si rivelarono eccezionali. Grazie alla loro innovativa struttura, infatti, «avevano un suono cristallino, con un sustain da pianoforte e una dinamica molto accentuata». Le proprietà schermanti dell’alluminio, infatti, permettono al sigle coil, il primo pick up elettrico (il microfono che amplifica le vibrazioni delle corde), di non emettere quel suo caratteristico ronzio. Fu un piccolo miracolo, che stupì persino i liutai più scettici. «Ammetto che in questa innovazione ci sia stata anche una componente di fortuna», spiega Ruatti, il quale sottolinea però un aspetto importante: «essere un outsider probabilmente ha aiutato, poiché non ho mai avuto quel timore reverenziale verso il passato che spesso impedisce agli uomini di sperimentare».
Da Lou Reed a Jovanotti: chi possiede le Noah Guitars
Dunque, mentre molti musicisti e liutai storcevano il naso, Ruatti, Melis e Moia seppero rinnovare i canoni del passato, sfidando il conservatorismo che non di rado contagia persino gli autori più anticonformisti. Da allora la fama delle Noah Guitars è cresciuta nel tempo. Uno dei primi ad apprezzarle senza remore fu il bassista Saturnino Celani, che in breve tempo le fece conoscere a Lou Reed, a Jovanotti e a molti altri musicisti italiani e internazionali. Tuttavia, nonostante questa fama planetaria, Ruatti non ha problemi a dire che con le Noah Guitars non ha mai fatto i soldi. Per adesso la sua attività principale è quella di architetto, mentre la produzione di chitarre è rimasta una sorta di passione artigianale, esercitata attraverso la Noe (Nuove Operazioni Editoriali), una realtà che aveva l’obiettivo di occuparsi di editoria, grafica e design.
Il futuro delle Noah Guitars
«Ora, però, stiamo riflettendo su cosa le Noah Guiars devono e possono fare da grandi», dice ancora Ruatti, che ricorda i recenti cambiamenti avvenuti nel team. Nel 2015, infatti, Melis ha deciso di interrompere il cammino comune ed è iniziata la partnership con Marco Pancaldi, ex componente dei Bluvertigo e collaboratore di autori celebri come Franco Battiato, che ha portato con sé orecchio e testa del musicista, assieme a una profonda conoscenza tecnica dello strumento. Dunque, viene da chiedersi, le Noah Guitars potrebbero trasformarsi in prodotti di massa? «Assolutamente no», risponde Ruatti, «più semplicemente stiamo interrogandoci se non sia giunto il momento di aumentare un po’ la produzione, senza snaturarne il carattere originario». Le Noah Guitars sembrano dunque destinate a crescere, ma rimarranno un fenomeno di nicchia: chitarre che costano fra i 3 mila e i 5 mila euro circa (a seconda dei modelli) e che richiedono tempi di realizzazione non brevissimi (tra 60 e 90 giorni circa). Sono e saranno sempre eccellenze del made in Italy, un esempio di quella Economia del su misura descritta in un recente saggio di Paolo Manfredi, responsabile delle strategie digitali di Confartigianato. E saranno sempre strumenti fatti con il cuore, come il caffè di quel tranviere che, nel dopolavoro, passava il tempo al bancone del bar ed era più bravo di una barista di professione.
Articolo pubblicato su Business People di settembre 2017