Protagonisti
Manfredi Gioacchini: un fotografo alla ricerca dell’inaspettato
È ciò che caratterizza il lavoro del noto fotografo, fortemente appassionato di arte classica, che nel suo progetto Grand Tour ha reso protagonista tutto il bello che l’Italia può offrire
L’intervista al fotografo Manfredi Gioacchini è parte dello speciale
«La chiave di ogni bella foto è l’armonia». Manfredi Gioacchini, 37 anni, romano, una vita precedente basata tra New York e Los Angeles e un’attuale residenza a Parma (che in realtà è punto di partenza per continui viaggi ed esplorazioni visive), al telefono risponde con voce pacata. Da un fotografo che ha fatto tante volte il giro del mondo (Antartide incluso: al continente di ghiaccio ha dedicato un magnifico progetto), ti aspetteresti una certa inquietudine che invece non c’è. Gioacchini è uno che ha capito che la vita, e quindi anche la fotografia che tanta parte rappresenta della sua esistenza, necessita di pazienza. Da un momento di riflessione nasce infatti il suo progetto Grand Tour, fotoreportage artistico del nostro Bel Paese.
Quando ha cominciato a concepirlo?
In seguito alla pandemia ho lasciato l’America e sono tornato a casa. Ho passato il lockdown in campagna e quello spazio mi è servito per riflettere: ho recuperato i libri di Goethe e di Stendhal dedicati all’Italia e ho cominciato a reinventarmi un mio Grand Tour. All’inizio mi sono concentrato sulle fotografie di giardini, ad esempio quelli di Villa Carlotta a Como, o quelli di Ravello, in Costiera, poi ho ampliato l’orizzonte. All’epoca in Italia c’erano pochi turisti in giro e ne ho approfittato.
Come lavora al progetto?
Sul Grand Tour in Italia è già stato detto e scritto di tutto. Ho provato allora a riproporre attraverso le mie fotografie un metodo di viaggio più lento e approfondito. Per fotografare un’opera d’arte, un monumento o un luogo devi prima studiarlo. Solo con la preparazione puoi cogliere, quado sei lì, la vera anima, la vera bellezza del luogo.
L’opera d’arte più bella da lei fotografata?
Domanda difficile. Sicuramente fotografare una scultura come l’Ercole Farnese (scultura ellenistica, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ndr) è stata un’emozione. Sei lì e ti domandi: perché questo pezzo incredibile di arte greca che apparteneva alla famiglia romana dei Farnese è a Napoli? E allora studi le vicende legate all’opera e la guardi con occhi diversi. Ma è stato sorprendente anche riprendere la bellezza di Asolo da Villa Cipriani, in una giornata tersa in cui si vedeva, da lontano, fino a piazza San Marco, a Venezia. La bellezza sta nell’inaspettato, in quei momenti che vivi quando scopri di persona dei luoghi che hai studiato e li trovi nuovi.
Come organizza il suo lavoro Manfredi Gioacchini?
Vorrei poter dire che la mia fotografia è “da tedesco”, rigorosa e puntuale, ma le cose non stanno così. Studio e mi preparo, ma quando ti trovi davanti a un’opera d’arte, sia essa una scultura, un dipinto, un monumento o un giardino, devi avere la mente aperta e lasciarti sorprendere. L’intuizione, al momento dello scatto, è importante. Credo che negli anni il mio modo di fotografare sia cambiato.
In che senso?
Ora sono più paziente: scatto di meno, ma sono più deciso su ciò che voglio riprendere. Mi godo di più il processo, e del resto il progetto Grand Tour, che presto diventerà un libro, è nato in un momento di cambiamento, in cui volevo ristabilire il giusto ordine delle cose.
Che cosa le piacerebbe ri-fotografare?
Roma. Da romano, non è facile scattare istantanee della tua città: ci sono troppi ricordi, troppe suggestioni personali.
Grand Tour non è l’unico suo progetto fotografico dedicato all’arte: da anni, lavora molto sulle visite in studio dei più grandi artisti contemporanei. Li ha fotografati praticamente tutti…
Lo studio visit, la visita di uno studio o di un atelier d’artista, per me è linfa vitale. Dal 2010, quando ho iniziato il progetto a New York e poi mi sono spostato a Los Angeles e da lì in ogni parte del mondo, dalle Filippine al Messico, ho inseguito i più grandi artisti. Passare del tempo con loro è stata una forma di educazione al bello e alla ricerca. Mi ritrovavo al loro cospetto come un semplice reporter, con la macchina fotografica al collo, pronto a coglierli in un momento. Oggi ho diverse centinaia di foto: sono una mappa dell’arte contemporanea degli ultimi 13 anni, un documento che serve a fissare le cose, a mantenere memoria di persone che hanno messo la creatività al centro della loro vita e che hanno sempre qualcosa da insegnarci.