Protagonisti
Proprietà intellettuale e resilienza delle imprese italiane
Il punto di vista di Antonio Matonti, direttore Affari Legislativi e Regionali – Diritto d’Impresa Confindustria
Questo articolo è parte di Proprietà intellettuale, si scrive IP, si legge competitività |
Le imprese italiane dimostrano una resiliente propensione all’innovazione. Negli ultimi 20 anni (dati Eurostat) l’investimento in R&S delle imprese è praticamente raddoppiato, passando dallo 0,5% del Pil del 2000 allo 0,94% del 2020, rafforzando i propri investimenti nell’ultimo triennio, nonostante la crisi economica (+3,9% nel 2022 rispetto all’anno precedente). Invece, nello stesso arco di tempo, gli investimenti pubblici in innovazione sono rimasti sostanzialmente stabili (dallo 0,50% del Pil nel 2000 allo 0,56% nel 2020, contro una media Ue dello 0,8% e dell’1% della Germania).
Un dato allarmante, soprattutto se vogliamo trasformare le sfide digitali e ambientali in un’opportunità di sviluppo, raggiungibile solo se riusciamo a dominare le tecnologie, ponendoci nella parte alta delle catene del valore globali. Urge definire una strategia ampia che, partendo dalla promozione dell’attività di R&S, arrivi a un’efficace protezione e valorizzazione economica degli asset immateriali, driver fondamentali.
Il valore della proprietà intellettuale in Italia
In Italia le industrie ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano oltre il 52% del Pil e contribuiscono al 28% dell’occupazione, registrando performance superiori alla media Ue. Gli intangibles sono il reale valore economico di un’impresa e il principale fattore di competitività.
Sul piano brevettuale, le imprese italiane sono all’avanguardia: nel 2021 possiamo vantare un incremento delle domande di brevetto europeo depositate del 6,5% rispetto all’anno precedente, con un risultato superiore alla media dei paesi aderenti all’Epo (+2,8%).
L’Italia conferma la propensione innovativa nei settori tradizionali come l’ingegneria elettrica (+11 di domande di brevetto Ue presentate nel 2021 rispetto al 2020), nelle tecnologie medicali (+ 16%), ambientali (+21%) e biotecnologie (+8%) e nella meccanica (+8%) con punte virtuose nel settore trasporti (+9%) dove ci attestiamo come uno dei Paesi leader.
Poco ritorno economico dalla ricerca
A fronte del virtuosismo industriale, la ricerca scientifica italiana produce molti articoli e pubblicazioni, ma pochi brevetti: appena il 2,5% sul totale a livello mondiale, contro il 5,9% della Francia, che pubblica di meno rispetto a noi, e il 14,4% della Germania. Ciò significa che il ritorno economico della ricerca italiana è insufficiente. Per invertire la rotta è necessario attuare misure volte a rendere strutturale la partnership pubblico-privata. A questo obiettivo sono diretti gli interventi contenuti nel Pnrr, in particolare nella Missione 4, componente 2 “Dalla Ricerca all’impresa” all’interno della quale un ruolo centrale occupa la riforma del Codice della proprietà industriale.
Il fattore legislativo
Il recente disegno di legge di riforma del Codice compie un importante passo in avanti perché, con l’abolizione del professor privilege, promuove le collaborazioni tra il settore pubblico e quello privato nell’ambito delle ricerche innovative. È ora importante che l’iter legislativo del Ddl proceda velocemente perché è una milestone del Pnrr che deve essere approvata entro settembre. Inoltre, il Ddl introduce alcune attese novità per la semplificazione e digitalizzazione delle registrazioni e gestioni dei titoli di proprietà intellettuale, promuovendo anche il contributo delle pmi all’innovazione del Paese.
Sul fronte semplificazione della protezione delle invenzioni, dopo una lungo e travagliato processo, finalmente il 1° giugno diventerà operativo il Brevetto unitario europeo, che è un sistema all’avanguardia per la protezione e tutela dei brevetti, indispensabile per promuovere e attrarre gli investimenti in ricerca e sviluppo nell’eurozona. Consideriamo ora fondamentale la “partita” riguardante l’attribuzione a Milano della sede originariamente fissata a Londra di una delle sezioni del Tribunale, con tutte le competenze per materia previste nell’Accordo sul Tub.
Infine, occorre rafforzare e semplificare gli strumenti di supporto agli investimenti in innovazione e protezione dei beni immateriali, sia fiscali che a selezione. Vanno risolte le criticità che hanno bloccato il credito d’imposta R&S in questi anni e riportate le aliquote al 20% e assicurata piena operatività al Patent Box. Definire obiettivi specifici in innovazione e promozione degli asset immateriali è ormai imprescindibile per l’Italia.