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Onesti ma furbi
È possibile avere successo senza imbrogliare. Fare business senza rinunciare ai propri valori. Lavorare in armonia e avere rispetto per i propri collaboratori ottenendo profitto. Da Unieuro a Fontanafredda, passando per Eataly, la formula di Oscar Farinetti per vivere meglio
C’è chi lo definirebbe semplicemente un milionario (in euro), cosa che effettivamente è diventato in seguito alla vendita di UniEuro, la sua catena di negozi di elettronica di consumo, ai britannici di Dixons. C’è chi lo definirebbe un visionario per la sua capacità di guardare al mondo degli affari in modo “etico”. Indubbiamente è un appassionato, un innamorato delle persone e della materia tanto da avere creato Eataly, un supermercato dell’alta qualità a prezzi contenuti. Un luogo dove l’obiettivo non è solo vendere ma restituire ai clienti il gusto della tradizione enogastronomica italiana e allo stesso tempo emozionare perché «l’emozione è l’unica cosa che entra nel cervello anche quando il tuo cervello è pieno. È un ricordo indelebile. È chiaro che se tu riesci a fare provare un’emozione a un cliente in un luogo di vendita il tuo luogo diventa memorabile, il prodotto diventa memorabile». Ma se lo chiedete a Oscar Farinetti, lui si definisce un Mercante di utopie – questo è il titolo della sua biografia scritta da Anna Sartorio e pubblicata da Sperling & Kupfer – ovvero colui che commercia luoghi dove le persone possono stare bene. Tant’è che, dopo aver recentemente acquistato la cantina Fontanafredda, «l’utopia che qualcun altro ha già creato, io devo solo preservarla», ora progetta di realizzare la stazione di servizio e accoglienza, il negozio di libri, il parcheggio e la catena di punti vendita con cibi e bevande di qualità “sfuse” più belli del mondo.
Nella sua biografia Il mercante di Utopie si racconta del suo incontro con sir Kalms, proprietario di Dixons, che le raccontò che il segreto del suo successo era la paura. Qual è suo?Fatta eccezione per il fattore C, ovvero la fortuna, non esistono segreti del successo. L’impegno è fondamentale, ma ci sono tante persone che si impegnano molto e ce la fanno, e altre che si impegnano molto e non ce la fanno. La ragione è sempre il fattore C. Quando quel giorno sir Stanley Kalms – oggi lord – mi rispose “Panic”, pensai che era vero, anch’io avevo sempre avuto il panico. Il panico della fine mese, che non arrivassero i pagamenti e quindi di non poter pagare i dipendenti. La paura aiuta moltissimo perché è un indice di attenzione al proprio mestiere. Chi non ha paura non è attento. E in genere non ce la fa. Un altro elemento fondamentale è il senso di responsabilità e il rispetto nei confronti delle persone – lavoratori, soci, dipendenti – che hanno scelto di percorrere un po’ di strada con te, accettando il fatto che sei tu che decidi la rotta.
L’impressione leggendo il libro è che lei non si arrenda mai.Tra le grandi frasi di Winston Churchill ce n’è una che va sopra tutto. Nel momento peggiore della seconda guerra mondiale Churchill disse: «Mai, mai, mai arrendersi». Arriva sempre un momento in cui sei tentato di arrenderti, ma se tieni duro ancora un po’ vedrai che sarà l’altro a capitolare.
È una visione decisamente ottimista.Non credo alla sfortuna, anzi quando hai tanta sfortuna e tutto va male è il momento più bello, perché arriverà la fortuna. In ottobre c’è stato venerdì 17. In quel giorno sono uscito sulla stampa con una comunicazione incentrata sul titolo “Non esiste la sfiga” e sotto la descrizione della mia teoria su come diventare fortunati. A ciascuno di noi capitano un egual numero di episodi fortunati e sfortunati ma c’è chi racconta solo i primi, risultando quindi fortunato, e chi solo i secondi. La regola è ricordare solo gli eventi positivi perché le persone si fidano, si innamorano e seguono i fortunati. E poi leggere tutto ciò che ci accade in modo corretto. Le faccio un esempio. L’altro sabato mattina, dopo molto tempo, decido di andare in ufficio ad Alba, nonostante sia giorno di mercato e quindi sia molto difficile trovare parcheggio. Vado davanti all’ufficio e mentre passo una persona esce dal suo posto auto lasciandolo libero e per di più regalandomi il suo bigliettino del parcheggio, perché aveva pagato per più tempo. Ho raccontato questo avvenimento e tutti hanno pensato che fossi fortunato, ma se non avessi trovato posteggio avrei comunque raccontato che era stata una meravigliosa mattinata perché vagando alla ricerca di un luogo di sosta avrei avuto la possibilità di vedere il mercato, che è bellissimo.
Insomma, non ha mai abbandonato il “Benvenuti nell’era dell’ottimismo” di UniEuro.Vivere con un atteggiamento mentale ottimista e trasferirlo ai collaboratori permette di portare avanti l’azienda, non semplicemente il business perché all’ultimo posto dei miei pensieri è il profitto, che se ti comporti bene poi arriva. Il mio obiettivo è creare delle situazioni di lavoro in cui c’è grande armonia con gli altri. Poi avendo una visione del trade marketing che si rifà agli stessi argomenti delle relazioni interpersonali, abbiamo preso l’ottimismo e insieme al poeta Tonino Guerra (sceneggiatore, tra l’altro di film come Amarcord di Fellini, ndr) l’abbiamo fatto diventare la bandiera della comunicazione. Questo anche per dirottare l’attenzione del cliente dal prezzo verso altri valori. Perché se puntiamo solo sul prezzo, c’è sempre qualcuno che costa meno.
Tornando alla squadra nel corso della sua vita lavorativa si è costellato di amici, soci, dipendenti che hanno condiviso la sua passione prima per gli elettrodomestici e poi per l’enogastronomia. Come si crea la squadra? Come si scelgono le persone?Non si scelgono. Arrivano. E quando arrivano le devi prendere. Ho smesso di decidere se una persona è in gamba o no a prima vista. Però a prima vista si capisce se si può stare bene insieme. Si capisce subito se c’è relazione umana, poi per capire il livello di efficienza bisogna mangiarci un po’ di sale insieme. Gli uomini sono tutto. Ma la squadra deve essere governata in modo efficiente.
In che modo?Il modello più bello prevede un team allineato tutto verso l’obiettivo. Sa esattamente dove deve andare. E ciascuno vede cosa fa chi gli sta davanti e chi gli sta dietro. Ma ha due limiti enormi: le varie persone non vedono cosa fa chi non è immediatamente vicino a loro. E poi il grande capo e l’ultimo non hanno nessuno davanti e nessuno dietro. Per questo motivo ho cercato sempre di applicare un modello circolare dove ciascuno non solo vede ciò che fa chi lo precede e chi lo segue, ma se allunga la vista può capire che cosa succede anche agli altri. È necessario che ciascuno conosca a 360° il business. Ma anche questo modello ha un limite perché quando l’azienda diventa grande è difficile avere una visione su tutto. A questo punto il segreto è creare dei cerchi concentrici e mettere tra questi delle persone che facciano da anello di congiunzione. Si tratta degli eroi, individui meravigliosi che si sentono responsabili per l’azienda e che non guardano mai l’orario. Un’azienda senza eroi non è un’azienda. Anche le multinazionali e le imprese statali ne hanno.
È solito definire aquiloni i suoi collaboratori in Eataly. Perché?Pensi a una persona che si occupa di pane. Questo significa dedicare le proprie giornate a studiare i lieviti madre e la farina biologica macinata a pietra. Necessariamente una persona così deve avere una sorta di poesia nei confronti della materia. In Eataly abbiamo nove comandamenti, in realtà sarebbero dieci, ma li abbiamo numerati a partire dallo zero per non essere presuntuosi, e il primo dice che noi siamo innamorati del cibo perché è l’unico elemento in assoluto che va dentro il nostro corpo. Ho girato l’Italia alla ricerca di persone che condividessero questa passione. Il mio ruolo è cercare di contenere l’innamoramento per la materia e ricondurlo alla supremazia dei numeri. Se non riusciamo a creare profitto per l’azienda, non paghiamo gli stipendi, quindi non c’è più dignità.
A proposito di numeri, lei distingue tra il budget del “paraculo” – ovvero del manager – e quello dell’imprenditore. Cosa il manager deve imparare dall’imprenditore?Tantissimo. Credo che chiunque abbia letto i giornali nelle ultime settimane, abbia visto qual è il risultato prodotto dai manager “paraculi” della finanza: migliaia di persone senza lavoro, tanti piccoli risparmiatori senza più i risparmi di una vita. La grande differenza tra manager e imprenditore è che il manager va a operare con i soldi altrui, l’imprenditore con i propri soldi. Quindi il manager dovrebbe essere ancora più responsabile dell’imprenditore. Che cosa è successo in questi ultimi anni? Il mondo dei servizi ha avuto il predominio sulla produzione. Le banche sono diventate più importanti di qualsiasi azienda. I comuni italiani hanno assoldato gli archistar (architetti assurti al ruolo di vere e proprie star, ndr) da milioni di euro per progettare nuovi edifici, ma poi sono rimasti senza i soldi per pagare gli infermieri negli ospedali. È folle. L’atteggiamento “paraculo” è quello per cui di fronte a un evento il manager pensa prima a come ne uscirà lui che a risolvere il problema. Non ha l’impressione che siano in molti a comportarsi in questa maniera?
Un recente libro La paga dei padroni mostra che, a fronte di una perdita della Borsa dell’8% nel 2007, gli stipendi dei manager sono cresciuti del 17%.Il fenomeno della concentrazione ha alimentato la crescita dei manager “paraculi”. Ora siamo arrivati alla fine del mondo: così come un tempo c’erano le guerre, oggi c’è il crollo della finanza.
E poi che succederà?Saremo tutti un po’ più poveri. E poi ricomincerà tutto da capo con quelli che hanno voglia di fare.
Oltre al decalogo di Eataly, insieme al suo team creativo ha creato anche un diciottalogo, la cui decima regola è: «Esiste sempre una buona via sia per il business sia per i nostri valori». Eppure la realtà dimostra che nessuno segue questo principio.È una teoria, quella dei contrasti apparenti, che mi ha insegnato mio padre. Per esempio una persona può scegliere di essere informale e un’altra di essere autorevole, ma il massimo è essere entrambi. Si deve essere autoironici ma orgogliosi. Normalmente si vedono persone autoironiche, ma con pochissimo orgoglio. Oppure persone troppo orgogliose che non sanno mettersi in gioco. Un altro contrasto apparente è essere onesti ma furbi. Non è che una persona onesta deve essere stupida. Allo stesso modo si può fare business e portare dei valori. La mia vera passione era la politica. Ero segretario di sezione del Psi nel 1981 ed ero pronto per la carriera politica, poi mi sono reso conto che la politica è basata sul “paraculismo” – del resto la politica è la causa principale di questa degenerazione economica – e l’ho abbandonata, ma cercando di portare i miei valori politici, intesi come arte del buon governo ovvero armonia e rispetto, nel lavoro.
La dodicesima regola del diciottalogo è: «L’unico modo per eliminare i rischi è commettere errori, ma una volta sola». Ma come ci si accorge di aver compiuto un errore?Noi italiani sperimentiamo poco. Siamo un popolo geniale ma molto spesso pensiamo che la nostra idea sia perfetta e partiamo senza averla testata. L’unico modo per ridurre i rischi è sperimentare il progetto, magari su un modello più piccolo e vedere se funziona o no. Il problema è accorgersi quando si sbaglia. È necessario avere un approccio umile. Tutti fanno errori. E tutti devono avere l’umiltà di ammetterlo.
A proposito della successione alla guida di Eataly ai suoi figli ha detto: «Molte aziende di famiglia falliscono perché i figli arrivano che la pappa è pronta e alla prima emergenza annegano. Invece Eat Italy – la chiamava ancora così – voi l’avrete vista nascere e crescere. Avrete vissuto il panico e l’adrenalina. Imparerete a resistere agli insuccessi e i successi saranno più belli». Basta la condivisione del rischio a vincere i problemi del passaggio generazionale?C’è una regola fondamentale: amare i propri figli più della propria azienda. Innanzitutto bisogna capire che i figli non ci appartengono e non si deve pretendere che seguano la nostra strada. Ma se loro lo decidono liberamente, allora gli lasci l’azienda e gli dai massima libertà di decidere, pur restando vicino a loro se hanno bisogno di consigli. I miei figli hanno sempre partecipato al progetto Eataly, ci hanno messo del loro e devo dire che sia Francesco, che a breve sarà nominato amministratore delegato, sia Nicola, che si occupa del reparto birra e gestirà il negozio di Bologna, sono più bravi di me (Andrea, il più piccolo, non è ancora in azienda, ndr). Non è il mio massimo desiderio che i miei figli abbiano successo, l’importante è che siano felici. Anche a costo di far fallire Eataly.
Quale sviluppo prevede ancora per questo progetto?Eataly può reggere altri nove punti vendita come Torino in Italia, fatti nell’arco dei prossimi sette-otto anni e da tre a cinque nel mondo. Questo mantenendo lo stesso standard qualitativo.
Uno dei capisaldi di Eataly è che offre solo prodotti di stagione: niente dall’estero e tutto che arriva da vicino. Eppure ha deciso di aprire all’estero, a Tokyo e a New York. Non c’è il rischio di contraddire quel principio di sostenibilità su cui si basa Eataly?Sì, secondo i principi logici. Ma se portiamo il principio della sostenibilità agli estremi, torniamo alla preistoria. Non c’è niente che unisce di più due popoli che mangiare le stesse cose. Eataly all’estero farà cultura, porterà la rigorosità della cucina italiana. Certo, questo non significa che non dobbiamo creare dei sistemi logistici più ecocompatibili, più sostenibili. Dobbiamo realizzare navi elettriche che vadano in Giappone e non tornino mai indietro vuote.
Recentemente, insieme al suo socio Luca Baffigo Filangieri, ha acquisito il 64% della cantina Fontanafredda da Gruppo Monte dei Paschi. Se, i tre pilastri su cui si regge il progetto Eataly sono il cibo, la didattica, la ristorazione, quali sono quelli su cui si basa il progetto Fontanafredda?Il principale è l’ospitalità. È fondamentale convincere le persone ad andare nella tenuta di Fontanafredda che è un luogo magico, dove oltre ai vigneti ci sono 15 ettari di bosco. Qui farò il bosco dei pensieri, un percorso della durata di circa un’ora dove i telefoni cellulari non riceveranno e ogni 400/500 metri ci sarà una panchina e un cartello con un aforisma e il nostro commento. A metà ci sarà un luogo di degustazioni di vini silenzioso, dove nessuno ti dirà qual è l’aroma o il sapore che devi sentire. Fontanafredda è un luogo come ne abbiamo visti in Novecento di Bertolucci. Qui vive ancora chi lavora la campagna. Voglio instaurare un bel rapporto con queste persone. L’ultima parte del progetto riguarda il vino: voglio fare il vino più buono del mondo, senza lieviti aggiunti e senza bisolfiti. Cosa che oggi sembra impossibile. È un ritorno ai gusti.
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Natale Oscar Farinetti nasce ad Alba, in provincia di Cuneo, il 24 settembre 1954