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Nella rete di Amazon
L’indecisione delle aziende sul fronte e-commerce sta disperdendo preziose opportunità di business. È il punto di vista del retailer globale che si è posto come imperativo categorico il proprio utente, accumulando un vantaggio competitivo senza precedenti. Mentre a chi lo descrive come un tirannico datore di lavoro piuttosto che un elusore fiscale manda a dire che…
Guadagnare poco su ogni singola transazione, ma farne a milioni. Sono sufficienti poche e semplici parole per riassumere il business model pensato da Jeff Bezos per la sua ormai ventenne Amazon, a disposizione della quale però ha impiantato una piattaforma tecnologica di grande complessità. Sia per quantità di funzioni (circa 300) che per efficienza dei servizi erogati con l’obiettivo principe di fornire al cliente sempre e comunque un’esperienza d’acquisto curata nei minimi dettagli. Stiamo parlando di un retailer presente con sue divisioni in 13 nazioni, e che, dopo aver totalizzato nel 2013 un fatturato pari a 75 miliardi di dollari, è già arrivato a 83 miliardi nel secondo trimestre del 2014, mentre la guidance per il terzo trimestre indica una crescita tra il 15 e il 26%, per una cifra compresa quindi tra i 19,7 e i 21,5 miliardi di dollari.
Anche in Italia, dove è arrivato nel novembre 2010, in un periodo in cui i negozi chiudevano e hanno continuato a chiudere, lo store ha rapidamente preso piede: pur se non vengono fornite cifre ufficiali, pare che l’introduzione del Kindle (l’eReader della casa) sia stata di gran lunga più veloce che in altri Paesi europei. E anche il servizio MarketPlace, in base al quale la logistica della piattaforma è a disposizione di altri retailer, viene dato in forte crescita: attualmente, fatte 100 le unità complessive vendute da Amazon, 41 appartengono a venditori terzi. Il risultato è che esattamente a quattro anni dal lancio, secondo ComScore, l’azienda made in Seattle vanta attualmente nel nostro Paese una media di 8,3 milioni di utenti unici al mese da computer, più 4 milioni da mobile. Una folla che sta facendo evolvere velocemente le abitudini di acquisto e avvicinando la media tricolore delle attività e-commerce a quella – seppure ancora distante – europea. Ma come e perché Amazon è riuscita a conseguire tali risultati? Qual è la sua visione rispetto alla Web economy applicata alle imprese? E cosa risponde alle critiche in merito al trattamento dei suoi dipendenti, piuttosto che allo stravolgimento del mercato librario e all’elusione delle tasse nei territori in cui opera? Business People lo ha chiesto al Country Manager di Amazon Italia, Martin Angioni, un professionista dal profilo internazionale, figlio di librai con un passato in Jp Morgan e come amministratore delegato di Electa Mondadori, votato oggi armi e bagagli alla causa dell’e-commerce globale.
Usciamo da mesi piuttosto caldi per Amazon, siete stati su tutti i media internazionali protagonisti per il dibattito intorno al lancio di Kindle Unlimited (il servizio che dietro il pagamento di 9,99 dollari al mese in Usa permette di leggere tutti i libri, ndr) e la levata di scudi di editori come Hachette e di diversi scrittori internazionali. A livello locale tali polemiche vi toccano o sono tutte questioni demandate a Seattle? In Italia come sono i rapporti con editori e autori? È vero: è stato un periodo intenso, ma avrà anche letto la dichiarazione di Stefano Mauri, presidente del gruppo editoriale Mauri Spagnol, uno dei più attenti conoscitori del mondo editoriale italiano, in cui ha sostenuto che, non avendo Amazon in questa fase la portata raggiunta in Usa o in Uk, i nostri rapporti sono più che cordiali. In effetti, certe polemiche internazionali ci riguardano solo per luce riflessa. In ogni caso queste sono normalissime contrattazioni commerciali che avvengono quotidianamente tra aziende che hanno rapporti commerciali.
Se lei fosse un editore oggi, come lo è stato in Mondadori da a.d. di Electa, cosa penserebbe di Amazon? Ho conosciuto Amazon proprio quando lavoravo nell’editoria, alla Fiera di Francoforte del 2007, quindi ben prima che arrivasse in Italia. In seguito a quell’incontro portai alcune proposte al comitato di direzione della divisione libri, ma venne deciso di non dare seguito.
Con quale motivazione? Che Amazon, a livello globale, avrebbe presto chiuso i battenti.
Era considerata più un nemico che un’opportunità. Più che altro destabilizzava l’ordine costituito, in cui tutti proliferavano o comunque sopravvivevano: erano i tempi in cui i risultati nell’editoria erano ancora buoni. In fin dei conti è stato un approccio tipicamente italiano verso il cambiamento.
Eppure, le ho sentito affermare che gli italiani sono più ricettivi di altri verso le novità; rispetto ai francesi, per esempio.È vero, mi riferivo infatti al lancio di Kindle nel 2011. Conosco bene la Francia, sono francofono, vi ho lavorato per anni, i miei figli frequentano la scuola francese, però non avevo mai considerato l’altro lato della medaglia, cioè il fatto che la difesa a oltranza della loro famosa “eccezione culturale” genera un attaccamento ideologico così radicato da esprimersi col rifiuto del nuovo, soprattutto se arriva dagli Stati Uniti, e di quanto proviene dalle multinazionali. Noi italiani invece, che siamo un po’ “scappati di casa”, abbiamo una grande libertà mentale per cui, se una novità funziona, ci diverte, facilita la vita, insomma ci piace, non abbiamo alcuna remora ad adottarla.
È questa la ragione del vostro successo in Italia?Questa più un insieme di altri elementi. Sicuramente ha giocato a nostro favore il fatto che il consumatore italiano è stato storicamente trattato male sia dalle grosse aziende sia dall’amministrazione pubblica. A un tratto è arrivata Amazon che gli riserva attenzioni, rispetta i suoi diritti e gli dà un buon servizio sotto tutti i punti di vista. I clienti non potevano non accorgersi di una simile differenza, che ha fatto loro superare ogni diffidenza verso l’on line e i pagamenti con carta di credito. Siamo riusciti a conquistare la loro fiducia. Consideri poi che siamo l’unico retailer generalista, mentre gli altri vendono all’interno di nicchie. In Francia c’è Fnac, in Spagna El Corte Inglés, per non parlare dell’Inghilterra, mentre qui non esiste una vera concorrenza interna.
Ci dia un po’ di numeri per tentare di tracciare l’identikit di Amazon in Italia, dagli investimenti ai dipendenti.Entro fine anno dovremmo arrivare a un migliaio di dipendenti a tempo indeterminato: circa 220 nella sede di Milano, 200 al customer service di Cagliari e circa 600 nel centro logistico di Castel San Giovanni (Piacenza), ai quali si aggiungono alcune centinaia di lavoratori stagionali per gestire i picchi di domanda. In termini assoluti, l’investimento più grosso che abbiamo fatto è stato sicuramente il nostro centro logistico: oltre 80 mila metri quadri, in larga parte automatizzati, da cui spediamo in tutta Italia, ma esportiamo anche in Europa e nel resto del mondo. I prossimi investimenti riguarderanno gli interventi per migliorare i servizi, sia la selezione all’interno delle varie categorie che nelle consegne, in particolare per migliorare la possibilità di recapitare gli ordini in giornata o il giorno dopo in tutti i grossi centri urbani per gli abbonati al servizio Prime.
Lo scorso maggio, da Seattle hanno annunciato l’introduzione di 10 mila robot-magazzinieri. Quanti ne arriveranno in Italia?Al momento nessuno: i locali dovrebbero essere prima predisposti.
E i droni-postini invece? Dica la verità, quanto c’è di vero in questa idea? Sembra più una trovata del marketing… Anch’io, all’inizio, l’ho pensato (ride). In realtà Amazon sta lavorando su diversi prototipi e insieme alla Faa, Federal Aviation Authority, sta ragionando sul tema dei permessi prima di “invadere” il cielo di droni. I problemi non sono di facile soluzione: ci sono varie aree del mondo (comprese alcune del nostro Paese ) in cui, se si vedesse un drone per aria, qualcuno sarebbe tentato di giocare al tiro al piattello….
Lei ha dichiarato che in Italia nessuno ormai può permettersi di prendere sottogamba l’e-commerce. Eppure, secondo il Censis, le aziende italiane attive nel settore rappresentano ancora il 5% del totale contro il 22% tedesco e il 19% inglese, e a fronte di una media europea del 14%. Rispetto alle rilevazioni del Censis, la media europea e quella italiana sono nel frattempo salite. Il nostro Paese in particolare sta gradualmente riducendo il gap, grazie a una crescita più elevata di quella degli altri Paesi europei, su una base di partenza ovviamente più bassa. Tenga conto che noi abbiamo ampi margini di miglioramento: tante aziende si tengono ancora lontane dall’e-commerce perché hanno paura di compromettere i propri rapporti con i retailer tradizionali, temono la cannibalizzazione dei canali, ma continuando nell’indecisione stanno perdendo preziose opportunità, anche sul fronte dell’export.
Al di là della consapevolezza del singolo imprenditore nel comprendere l’importanza dell’e-commerce per la propria attività, che cosa manca ancora all’Italia per poter arrivare ai livelli europei? È solo una questione di tempo o anche di infrastrutture? Sicuramente c’è un grosso ritardo, da un punto di vista della domanda dei consumatori, dovuto al fatto che da noi le carte di credito sono poco utilizzate: una media di 12 transazioni annue, contro le 25/30 della Spagna. Poi c’è la penetrazione della banda larga e la presenza nelle abitazioni di Pc vecchi, anche se poi tale ostacolo tecnologico viene in parte superato con gli acquisti dagli uffici e da smartphone. Detto questo, stiamo crescendo a ritmi impetuosi: basti dire che il numero di italiani che comprano on line è passato dai 9 milioni di fine 2011 ai 18 milioni del secondo trimestre 2014.
Molto rimane ancora da fare, se il sito Netindex.com posiziona l’Italia con i suoi 8,51 megabyte scaricabili al secondo al 90esimo posto al mondo, subito dopo la Grecia e prima del Kenya. L’Agenda digitale è ancora una chimera: decreti attuativi e regolamenti rimangono al palo, malgrado rappresentino una delle principali leve per lo sviluppo del Paese… Perché da noi si continua a sottovalutare l’importanza di questo provvedimento? Perché, a voler essere molto drastici, l’economia italiana è ancora ampiamente basata sull’utilizzo del contante e abbiamo – e ciò lo afferma una vox populi ampiamente condivisa – circa 500 grossisti (prevalentemente di elettronica di consumo) che vendono in sostanziale elusione di Iva. Con l’Agenda digitale si vorrebbe imporre uno standard di fatturazione elettronica sia nei casi in cui si interagisca con la pubblica amministrazione che tra aziende private, che obbligherebbe a transizioni in chiaro. Così come avviene nei casi in cui si effettuano pagamenti con la carta di credito.
Dopo Google con Shopping Express ed eBay con Inspired Shopping, anche Twitter e Facebook stanno studiano i loro buy button. Li considerate potenziali concorrenti?Amazon è una realtà composita. La cui parte più visibile sono i magazzini e l’incredibile infrastruttura che si occupa delle spedizioni. Ma consideri che sulle pagine del sito sono attive circa 300 funzioni, equivalenti ad altrettanti team attivi 24 ore su 24 per ottimizzarne il funzionamento. Per dare il senso della complessità raggiunta da Amazon, Bezos suole dire, spostando il confronto alla produzione di motori per aerei in cui GE e Rolls Royce hanno la leadership mondiale, che anche se il governo di un grande Paese decidesse di finanziare una nuova azienda nel settore aeronautico per vent’anni, essa non riuscirebbe comunque a raggiungere know-how, patrimonio tecnologico e reputazione delle prime due. Ebbene, per Amazon non è troppo diverso nell’e-commerce: abbiamo un vantaggio competitivo difficilmente colmabile da chiunque altro. Piuttosto che occuparci di cosa fa la concorrenza, preferiamo rimanere concentrati sui nostri clienti e su come migliorare costantemente i servizi che offriamo loro.
Jeff Bezos sostiene che per essere innovativi bisogna essere disponibili a rimanere incompresi a lungo. Si spiegano così le critiche che vengono mosse con insistenza ad Amazon? A quali critiche si riferisce?
A tre in particolare. La prima è sui metodi di lavoro e i trattamenti salariali dei dipendenti, considerati ai limiti della tollerabilità. In seconda battuta siete accusati di stare distruggendo con le vostre politiche il sistema librario. La terza, invece, si riferisce al fatto che, approfittando delle falle nella regolamentazione europea, eludiate le tasse nei vari Paesi trasferendo i profitti alle filiali fiscalmente più avvantaggiate. Per rispondere alla sua domanda iniziale, comincio col dire che in via generale Amazon è un’azienda che non ha paura di essere fraintesa né di prendere posizioni fuori dal coro, oppure un po’ controverse. In tale ottica fa delle scelte che possono destabilizzare l’ordine precostituito, avendo sempre come obiettivo primario i benefici sul consumatore. Per rispondere alla prima critica, posso dirle che paghiamo meglio della media, avendo applicato per i lavoratori del nostro centro logistico il contratto del commercio, più remunerativo di quello della logistica, unitamente a quello dell’industria e delle telecomunicazioni per chi lavora negli uffici di Milano. Essendo poi un’azienda molto giovane e dove è possibile misurare qualsiasi performance, si è data degli obiettivi di costante miglioramento in cui chi vive la propria professione come una sfida continua può trovare stimoli e ampi margini di crescita. Se non si ha un approccio simile, capisco che il nostro possa essere vissuto invece come un ambiente troppo “sfidante”: diciamo che è un’azienda che ha messo al centro della propria cultura il miglioramento continuo, si adatta, per usare una metafora sportiva, a chi ha voglia di mettersi alla prova e perfezionare nel tempo le proprie prestazioni, come fanno gli atleti che si allenano e si misurano tutti i giorni con i propri limiti, per superarli. Anche le condizioni di lavoro nel nostro nuovo magazzino riflettono un costante miglioramento, grazie a importanti investimenti in automazione e a un programma logistico che aiuta gli addetti che gestiscono gli ordini a fare il percorso più breve e con meno carico possibile.
E per quanto riguarda l’editoria? Premesso che la visione di Kindle è “tutti i libri pubblicati al mondo disponibili in 60 secondi, ovunque nel mondo”, Kindle Direct Publishing offre a chiunque voglia autopubblicarsi una piattaforma che permette di raggiungere milioni di lettori direttamente, senza dover necessariamente passare per una casa editrice. Bezos continua a ripetere che chi oggi opera nell’editoria dovrà nei prossimi anni fare molta attenzione ad aggiungere valore con il proprio lavoro alla catena che va dallo scrittore al lettore, altrimenti non avrà più ragione di esistere. Oggi, grazie a KDP, chiunque può caricare e pubblicare un suo testo con pochi intuitivi passaggi.
Si salta la fase di selezione editoriale propria degli editori. Nessuno la nega, ma il loro e il nostro sono due mestieri diversi. Ovviamente gli editori che sono in grado di creare valore continueranno a esistere, Amazon non ha alcuna intenzione né possibilità di sostituirsi a loro in questo antichissimo mestiere, ma seguiterà a introdurre le sue innovazioni e i suoi servizi. Saranno poi i consumatori a scegliere da chi e perché acquistare i loro libri. Tenga comunque conto che Amazon è uno dei principali clienti, in quanto venditore di libri (fisici ed e-book), di tutte le case editrici dei Paesi in è cui presente.
L’elusione delle tasse invece? Si tratta di un’enorme stupidaggine. Amazon ha la propria sede europea in Lussemburgo, che è uno Stato dell’Unione Europea, dove non opera certo di nascosto, dato che vi lavorano 800 persone: non è un’anonima casella postale. Versa inoltre tutte le tasse dovute nei Paesi in cui è presente: avendo 250 milioni di clienti in tutto il mondo, deve fare molta attenzione a mantenerne la fiducia non facendosi additare come un losco evasore fiscale. Poi, è una multinazionale e opera come tale, ovvero segue un sistema di leggi e tassazioni all’interno del quale cerca di ottimizzare la propria fiscalità. Se gli Stati ritengono che paghi poco, è sufficiente che adeguino i propri regimi, come del resto stanno facendo Germania, Francia e Gran Bretagna che rimproverano al Lussemburgo di fare dumping fiscale. La legge è legge e, come tale, va applicata. Se dovesse cambiare, ci adegueremo.
Amazon è un retailer globale e ha propri device, dal Kindle Fire al Fire Phone passando per la Fire Tv, tant’è che produce anche serie televisive. Si può sapere cosa vuole diventare da grande? Pensavo lo fosse già? Scherzo… (ride). Nel libro di Brad Stone su Amazon, The Everything Store, è ben spiegato come quella della piattaforma sia stata un’invenzione per passi successivi, frutto di trial & error, grazie a una cultura aziendale di apertura al cambiamento e al futuro. Non si spiegherebbe altrimenti come sia riuscita in vent’anni a raggiungere queste dimensioni in un settore così consolidato e in teoria efficiente come il retail. Cosa diventeremo lo scopriremo strada facendo. La nostra è un’azienda che si è giocata la camicia tante volte, assumendosi dei rischi enormi.
Gli azionisti però non sembrano gradire di non vedere utili e dividendi. Gli azionisti sono più che contenti nel vedere come il valore delle loro azioni sia raddoppiato in meno di quattro anni.
Stone sostiene anche che Jeff Bezos sia un manager duro e spietato, aggiungendo – quasi a sua discolpa – che probabilmente questo costituisce un requisito essenziale per avere successo nel mondo dei giganti di internet e della distribuzione. Anche a lei ha chiesto di essere tale? A me nessuno ha chiesto alcunché (ride). Perché, Marchionne le sembra gentile e simpatico? E Renzi? Anche se in fondo in fondo però devo ammettere che è vero, qui siamo un po’ tutti così: “duri e spietati” non so, userei piuttosto le parole “focalizzati e motivati”, dando sempre il massimo in quello che ci piace fare.
Credits Images:Martin Angioni © Valerio Pardi