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Magnifica ossessione
Da manager a imprenditore: una storia raccontata in prima persona, tra marketing, finanza, strategie di prodotto e… passione. Andrea Tomat, patron di Lotto e Stonefly e presidente di Unindustria Treviso, dice la sua anche su “made in Italy” e “questione settentrionale”, con un preciso monito al governo…
Lei è un manager che è diventato imprenditore. Il sogno di molti. Ci racconta come è maturata questa aspirazione e come – e in che contesto – è riuscito a trasformarla in realtà? Per me è veramente stata la realizzazione di un sogno. Ho sempre avuto l’ambizione e il desiderio di seguire un progetto, plasmarlo secondo la mia volontà, lavorare, insomma, su una “cosa” mia. Volevo percorrere questa strada. L’occasione per trasformare il sogno in realtà è arrivata quasi per caso. L’attività professionale mi ha portato a incontrare una persona che a sua volta aveva lanciato una piccola merchant bank locale. Parlando con lui venne l’idea di usare quello strumento di finanza straordinaria relativamente innovativo e sofisticato per l’epoca. Quando si è presentata l’occasione (all’interno del gruppo Lotto c’era la volontà di disinvestire sul progetto Stonefly) è maturata l’opportunità imprenditoriale che a quel punto ho deciso di cogliere.
Sulla base della sua esperienza, quali sono i requisiti professionali, culturali, caratteriali e le competenze tecniche assolutamente indispensabili a un manager per fare il grande salto?Serve, da un lato, un forte desiderio di assumersi un rischio e di provare l’emozione di costruire in un progetto imprenditoriale e, dall’altro, la propensione ad assumersi questo rischio! È un piacere ma bisogna tener conto che questa cosa alla fine ti segue, non ti lascia nemmeno di notte… e diventa una parte della tua esperienza di vita… è una magnifica ossessione. Parlando di competenze “pure”, necessarie agli aspiranti imprenditori, esistono molti manager preparati a diversi livelli. Ma ribadisco che l’essenza imprenditoriale è identificabile piuttosto con la capacità di assumere un rischio. La piccola, grande differenza tra chi vorrebbe e chi effettivamente diventa imprenditore è l’assunzione di questo rischio e lo sviluppo di un progetto d’impresa.
Quali sono le difficoltà oggettive oggi, in Italia, che deve affrontare chi vuole creare una nuova impresa, sia partendo da zero sia acquistando e rilanciando quella (o parte di quella) in cui lavora?Credo che il vero scoglio sia l’architettura finanziaria dell’operazione, a meno che non si abbiano grossi capitali alle spalle. Rispetto al passato ci sono stati, però, notevoli miglioramenti: oggi sono disponibili più strumenti e anche i giovani possono trovare partner per la finanza strutturata d’azienda molto più aperti rispetto a un tempo in cui queste cose erano riservate solo alle grandi operazioni.
Ma lo start-up è sempre un problema.Lo start-up non viene comunque finanziato dal credito ordinario ma da altri strumenti dedicati. Spesso chi intraprende una nuova attività si trova a gestire un difficile equilibrio tra fondi finanziari limitati e l’esigenza di non trovarsi nelle mani di chi finanzia. È fondamentale strutturare bene l’equilibrio tra disponibilità di fondi e il governo della situazione.
Dopo l’ubriacatura di Internet, che aveva illuso molti sulla facilità di diventare imprenditori, non ritiene che adesso ci sia un clima di eccessiva prudenza? Oggi il clima economico meno facile rende più complicata la nascita di nuove iniziative imprenditoriali. La soglia di rischio si alza e quindi i progetti automaticamente vengono limitati. Devo dire che nel momento di grande boom di internet abbiamo assistito anche a una certa propensione drogata, perché la soglia di rischio si era troppo abbassata, rispetto a un corretto approccio alle possibilità di successo di un’iniziativa.
Venendo all’esperienza specifica dell’acquisizione e rilancio della Lotto, quali sono state le aree più critiche sulle quali siete dovuti intervenire con maggiore determinazione? La finanza, il personale, l’organizzazione, la produzione, il marketing, le vendite, la rete distributiva ecc?La parte più importante è stata quella relativa al rilancio del prodotto, alla strategia di posizionamento prodotto/mercato e di conseguenza alla strategia di vendita e commerciale. Sono stati i due settori in cui ci siamo impegnati per trovare una soluzione adeguata ai problemi che l’azienda stava vivendo in quel momento. Come spesso accade nelle situazioni di crisi, si trattava di un problema di prodotto e di competitività del progetto imprenditoriale.
Quali sono gli attuali modelli organizzativi delle sue due società?Lotto e Stonefly operano in due settori diversi e hanno anche due distinti modelli organizzativi. Lotto è attiva nel mondo dello sport e lavora con un modello di decentramento produttivo, è fortemente internazionalizzata e ha una componente di prodotti e accessori che supera il 50% del fatturato. Stonefly appartiene al mondo della calzatura da passeggio, che produce ancora in parte nelle aree italiana ed europea e concentra l’offerta nel prodotto calzaturiero con un’eccellenza spinta nella qualità dei materiali e nella foggia delle scarpe. Detto questo, sono comunque entrambe aziende che operano sul piano internazionale e possono contare su un management giovane e aperto a un mondo globalizzato che si muove sempre a maggiore velocità e con rapidi cambiamenti di rotta.
Com’è organizzata la rete distributiva dei due marchi?La rete è variamente configurata: in Europa abbiamo un network di agenzie dirette, coordinate da Montebelluna che è la centrale logistica e distributiva. Fuori dal continente europeo, per Lotto tendiamo a operare attraverso joint venture o con licenza diretta. Un caposaldo della strategia distributiva di Lotto e Stonefly riguarda la rete dei punti vendita, composta da negozi monobrand (sia Lotto sia Stonefly) o corner nei department store. Si tratta di una componente strategica sia per l’immagine sia per il presidio dei canali distributivi. Riteniamo che il contatto diretto con il consumatore sia indispensabile per raccontare al meglio la storia dell’azienda.
Quali sono gli aspetti stilistici che vi distinguono dai concorrenti?Lotto ha un’identità precisa, che segue l’idea altrettanto precisa di business che ha l’azienda: forte orientamento a calcio e tennis, sia agonistico sia da tempo libero. Il tutto connotato con un gusto italiano. Stonefly è tecnologia, comfort, benessere del piede ed eleganza italiana. In sintesi: una scarpa elegante italiana.
Chi sono i concorrenti?Adidas e Nike i più grandi. Mizuno e Asics per quello che riguarda l’area orientale. Per Stonefly i più importanti sono Clark’s e Geox, e l’ultima realtà proviene dal nostro territorio.
Nel mercato delle calzature sportive avete scelto la via della promozione con l’uso di testimonial, in generale calciatori del momento come è oggi Luca Toni. In questi casi c’è sempre il rischio di un ritorno negativo di immagine se la performance sportiva del testimonial è negativa. Siamo abituati a lavorare coi testimonial, e ci affidiamo anche alla buona stella che ci accompagna. Scherzi a parte, siamo convinti che Luca Toni, ragazzo che si merita molto, farà benissimo. È con noi da sette anni, quando ancora non era così famoso. È per bene e simpatico, il calciatore con la faccia pulita.
Nel caso l’Italia non vada bene ai mondiali, non pensa che ci possano essere dei contraccolpi negativi sull’intero business legato al mondo dello sport?Facendo i dovuti scongiuri, mi auguro che non ci sia un contraccolpo negativo, anche se ha ragione a sollevare la questione. In momenti in cui uno sport (è successo con lo sci negli anni ’90 o col tennis qualche decennio prima) ha più fortuna e vede nascere campioni di primissimo piano, si assiste a un movimento d’opinione positivo e diffuso. Il calcio, come pochi altri sport, possiede una forza intrinseca tale che continuerà ad avere sempre un ruolo di primissimo piano.
Ma il calcio, oggi, non è un campo minato dal quale stare fuori, almeno per un po’, in attesa di tempi migliori?Anche in passato ci sono stati scandali e crisi nel mondo del calcio. La situazione attuale indubbiamente sembra essere gravissima, ma noi dobbiamo andare oltre e guardare al valore dello sport in sé, pulito e piacevole. I casi negativi non possono inficiare nulla. Nel tempo spero ci sarà la voglia di ritrovare serenità e piacere nei confronti di uno sport bellissimo.
Dopo il calcio e il tennis pensate di entrare in altri sport?Siamo già presenti nel running, nel volley e nell’abbigliamento da basket. Come attività di comunicazione abbiamo però scelto di essere identificati in modo diretto e preciso soltanto con il mondo del calcio e del tennis. Oggi comunicare non è facile, sarebbe un errore disperdere i messaggi. Ci sembra che questi due sport abbiano un’importante valenza internazionale e siano associabili a un’immagine di italianità. Veniamo da un territorio in cui sono presenti diverse aziende che producono componentistica e abbigliamento tecnico anche per altri sport, come ad esempio il ciclismo (disciplina sportiva che sembra rifiorire, viva e praticata anche dai giovani). Ma sarebbe fuori dal nostro core business. Occorre trovare un’identità senza disperdersi troppo.
Sembra che nel settore delle calzature il problema dei problemi sia la concorrenza cinese. Come la state contrastando, sia lei sia i suoi colleghi? Non crede che la richiesta di dazi doganali avanzata da molti imprenditori del settore sia una risposta di breve periodo e per di più quasi ininfluente?Non credo bastino i dazi. Possono essere una misura temporanea per riequilibrare le spinte commerciali in un senso o nell’altro. Sono misure temporanee e così devono essere intese. Allo stesso tempo, il tema calzatura è importante a livello nazionale. Come industriale e presidente di Unindustria Treviso mi sono attivato non soltanto nel mondo della calzatura ma anche in quello dell’industria, per stimolare una dimensione internazionale della nostra crescita. Dobbiamo metterci in condizione di competere a livello mondiale.
Ma come? Le imprese devono migliorare la loro conoscenza dei mercati globali, diventare vere multinazionali tascabili, anche se non sono di grandi dimensioni. Cosa significa? Più che misure specifiche: serve competitività del Paese, cioè: minor costo del lavoro, maggiore flessibilità, riduzione di lacci e laccioli che frenano lo slancio e la velocità della nostra attività imprenditoriale. E poi bisogna sostenere ricerca e sviluppo e in particolare la formazione dei giovani in un contesto internazionale, per permettere loro di conoscere la dimensione in cui si troveranno poi a operare. È qualcosa che va oltre la semplice scelta produttiva all’estero, ad esempio nel Far East, che dà vantaggi solo di breve periodo. Sostanzialmente non dobbiamo pensare al trasferimento verso quei Paesi come unico sistema per migliorare la nostra situazione competitiva. Per fare questo è necessario dotarsi di maggiori conoscenze e competenze, ed essere capaci di assumere quel know how e quello spirito che consentono di dare migliori risposte nei mercati globali in senso complessivo e non solo con riguardo al fattore prezzo.
In che maniera si può far conciliare l’economia di scala (necessaria per l’assorbimento dei costi fissi) con la capacità di cogliere tempestivamente i sempre più rapidi e imprevedibili cambiamenti nella domanda, che non consentono un adeguato sfruttamento degli avviamenti?È esercizio particolarmente complesso e delicato che si muove lungo due direttive. Da un lato l’individuazione di quei prodotti, progetti o linee particolari che hanno domanda continuativa nel tempo e che si possono più facilmente massificare. Dall’altro quei prodotti/progetti e linee che si possono più opportunamente collocare sul mercato quasi tailor made, disegnati su misura e selezionati e misurati addosso al consumatore. Riuscendo a combinare queste piattaforme le aziende possono veramente diventare competitive. È ovvio che non sempre è possibile conciliarle, in alcuni casi si deve scegliere l’una o l’altra strada: restano comunque entrambe buone risposte e possono essere validamente sviluppate.
La seconda è molto costosa dal punto di vista dell’ingegneria di produzione.Nel secondo caso, cogliere le variazioni continue della domanda ha importanti implicazioni sull’ingegneria di prodotto. Anche se non sempre il cambiamento rispetto alla domanda comporta però la completa sostituzione degli impianti, alle volte si possono sfruttare quelli esistenti in modo incrementale e non sostitutivo.
Come si pone lei di fronte al dibattito su “made in Italy” o “conceived in Italy”. Quanto conta nel consumatore, italiano e internazionale, la percezione “dell’italianità” di un prodotto, anche se questo viene materialmente realizzato (in tutto o in parte) fuori dei confini nazionali? È un tema su cui bisogna fare chiarezza. Dobbiamo da un lato restringere il concetto del made in Italy a quei prodotti interamente confezionati in Italia. La manifattura italiana è un valore che va difeso e salvaguardato. Altro tema è il prodotto conceived in Italy elaborato e progettato in Italia e materialmente realizzato altrove. È un valore altrettanto importante, con forti basi culturali, pieno dello spirito e del know how che vengono dal nostro Paese. Entrambi vanno tutelati, il made in Italy lo è già specificatamente dal punto di vista legislativo. Il conceived in Italy sfrutta l’onda lunga del made in Italy e si basa sul fatto che un’azienda è italiana, ha un nome italiano, fa dell’italianità un caposaldo della propria comunicazione e promuove l’Italia attraverso i propri prodotti. Conta, in questo caso, il marchio, e conta la percezione del consumatore. Sia Lotto sia Stonefly appartengono a questa categoria e competono su scenari globali.
Come presidente degli industriali trevigiani lei ha recentemente esaltato sia l’etica del lavoro sia la creatività dei suoi colleghi. Cosa la rende orgoglioso di essere un imprenditore “trevigiano”, prima ancora che “italiano”? Cosa vuol dire essere imprenditore trevigiano? Questa terra ha sempre premiato con una sorta di meritocrazia quasi calvinista le persone che si sono realizzate col lavoro, sfruttandolo per valorizzare le proprie capacità di crescita e sviluppo, trasformando la professione in un vero progetto di vita, che da imprenditoriale diventa anche personale. È un concetto che sta alla base della filosofia di vita di questa terra come, fortunatamente, anche di altre, particolarmente nel Nord e Lei è stato anche tra quelli che hanno posto con più vigore il problema della cosiddetta “questione settentrionale”: attenzione, qui si produce la maggior parte della ricchezza nazionale, state attenti, politici, a non sottovalutare le nostre esigenze e le nostre legittime richieste, in termini di infrastrutture, fisco, sostegno alla ricerca e sviluppo ecc. Adesso che il nuovo governo si è insediato, quali sono le vostre domande? Tenendo conto che se allo Sviluppo economico c’è un ministro molto stimato anche da Confindustria per il suo pragmatico riformismo, Pierluigi Bersani, in dicasteri contigui ci sono rappresentanti di culture politiche certo meno attente alle esigenze degli imprenditori.Abbiamo già avuto modo di ribadire più volte le necessità degli imprenditori, e continueremo a farlo. Si tratta di concetti chiari: abbiamo bisogno di un costo del lavoro contenuto, che dal punto di vista normativo si tradurrebbe in un cuneo fiscale ridotto (ovvero costi minori per l’azienda e maggiori redditi per i dipendenti). È poi necessaria una tassazione più competitiva, anche a livello europeo: meno imposte dirette e maggiori incentivi anche nei confronti del lavoratore, affinché ci sia defiscalizzazione tesa ad aumentare la produttività. Serve anche maggiore liberalizzazione, cioè maggiore concorrenza, che scardini lacci e oligopoli che portano solo costi elevati, burocrazia e meno velocità per l’impresa. E deve essere vinta una grande scommessa: le infrastrutture materiali e immateriali. Strade e autostrade, certo, ma anche cablaggi e collegamenti via etere. Solo così si riuscirà a dare una spinta al Paese e alle sue imprese.
Voi avevate chiesto ministri del Nordest, mi sembra che non vi abbiano accontentato.Crediamo che il Nordest, con le caratteristiche e specificità che restano legate a quest’area, abbia bisogno di una sua rappresentanza nel governo. Crediamo che le persone nate e vissute in un territorio possano capirne meglio le esigenze. Anche perché in questa particolare congiuntura economica, bisogna elaborare per il Nordest proposte concrete in tempi rapidi, e se esistessero collegamenti diretti nell’esecutivo forse sarebbe possibile massimizzare la necessaria velocità. Ci auguriamo che queste proposte arrivino comunque, questo territorio resta molto importante per lo sviluppo del Paese.
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