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Il piacere di essere acrobata
Lo si prova, per esempio, quando si considerano i problemi delle sfide all’intelligenza: reali occasioni di crescita. Una prospettiva che molti giovani italiani non valutano nemmeno, senza sforzarsi di capire. E invece, se provassero a farlo,comprenderebbero perché il ministro Fornero ha ragione. A spiegarlo, l’ex vj di Mtv e conduttore Tv, poi consulente e oggi chairman di Ovo, video-enciclopedia online: Andrea Pezzi
Nella vita come nella professione, Andrea Pezzi ha sempre avuto un unico obiettivo: «Capire le cose. E divertirmi come un matto facendole». È quello che anni fa lo ha spinto a entrare nel rutilante mondo del piccolo schermo per comprendere che non era affatto così esaltante come sembrava da fuori. Ed è ciò che oggi lo stimola a dedicarsi anima e corpo alla rivoluzione digitale attraverso l’esperienza di Ovo: una video-library che conta migliaia di documentari in pillole, della durata di tre minuti ciascuno, con testi e contenuti approvati dall’enciclopedia Treccani. Un progetto avviato già nel 2006, partito, all’epoca, tra polemiche e incidenti di percorso. E conclusosi, in prima battuta, con l’uscita di un socio particolarmente ingombrante, Fininvest, e la messa in liquidazione della società, a fronte di un rosso da 5 milioni di euro. «Una storia ormai archiviata e superata», commenta oggi Pezzi. «Gli errori sono di due tipi: alcuni si possono evitare, altri vanno compiuti perché ti permettono di capire». Ed eccoci di nuovo al punto. «Poi bisogna avere le palle di pagarli totalmente, gli sbagli. Ma occorre farlo, altrimenti non ti rialzi più».
Lei, invece, si è rialzato.
È successo spesso nel mio percorso. A volte tutti intorno mi davano del pazzo, ero l’unico a scommettere su di me. Ma, a quanto pare, avevo ragione. E infatti oggi siamo qua a riparlare di Ovo. Del resto, quando hai un albero e lo tratti molto male, se cresce col fusto dritto vuol dire che era destinato a essere una grande pianta. Io credo che si tratti di un progetto straordinario, Ovo, ma la sua reale portata non è stata ancora del tutto intuita.
Cos’è che ancora sfugge?
Non tanto l’idea in sé e per sé, quanto il fatto che incarna perfettamente la logica di un mercato, quello digitale, ancora sconosciuto. Penso che molti dei più grandi e stimati esperti della comunicazione siano ancora molto ignoranti rispetto a tale tema. Sono quelli, per capirci, che negli anni ‘90 e Duemila vedevano nella tecnologia un driver fondamentale per la crescita. Oggi, invece, la tecnologia sta ritornando a essere la base invisibile di un’industria che però deve essere fondata su un’economia reale, dovendo rispondere a precise logiche di mercato.
Nel caso di Ovo, come si traduce, in concreto, questa cornice?
Nostra colonna portante è l’advertising. Siamo potenzialmente i migliori erogatori di video comunicazione sul Web. Un brand può scegliere a quale video essere associato, secondo una logica di affinità ai propri tratti identitari e distintivi, e pianificare una campagna marketing raggiungendo target mirati in ogni piattaforma su cui Ovo è distribuito. Riducendo quasi a zero la dispersione del proprio messaggio. Siamo partner dei principali editori e concessionarie italiani, da Msn a Websystem, da Libero a Banzai, e ancora Populis, Tiscali e Condé Nast solo per citarne alcuni. E poi abbiamo ritorni dalle licence fee (diritti di licenza d’uso, ndr).
Guardate molto anche all’estero. Di recente avete stretto un accordo con gli Emirati Arabi per i quarant’anni del Paese…
Siamo molto attenti ai mercati emergenti, come anche la Russia. A febbraio lanceremo una prima fase sperimentale per una campagna pubblicitaria negli Stati Uniti. Ancora una volta, la straordinarietà del digitale permette di seguire tutto dall’Italia senza essere sul posto. Il che, però, non vuol dire non dover rispettare determinate regole e condizioni…
Si riferisce al caso di Google?
Google gioca sporco, ma non solo per il problema fiscale, per cui giustamente l’azienda va messa in condizione di pagare le tasse che deve onorare. È anche una questione culturale. Dalle innumerevoli risorse creative – europee e italiane – che aggrega, Google ricava molti capitali, ma non li reinveste nell’industria culturale sui rispettivi territori. Chi pianifica su di esso, distrugge il mercato media in cui lavora… almeno fino a quando il portale non si deciderà a fare una politica di investimenti seri anche in Italia.
Tornando a Ovo, invece, quali altri piani ha in serbo?
Attualmente siamo una squadra che conta 36 autori in Italia, 186 creativi sparsi per il mondo – credo molto nel telelavoro, altro grande tema aperto dal digitale – e un team stabile di 12 persone. Alla guida con me, che sono il fondatore e Chairman, c’è Carlo De Matteo, mio socio e amministratore delegato. Mi sono ripromesso che quando arriveremo a 15 interni, lascerò. Ma non credo che supereremo quella soglia…
Cioè abbandonerà il progetto?
Non si tratta di abbandono. Ha presente l’etimologia di “esperienza”? Una bella parola… “Experire” significa anche “morire nell’azione”. A me piace molto creare le situazioni e i progetti, farli funzionare, ma poi dedicarmi anche ad altro. Quando qualcosa vive di vita propria, e diventa un sistema, io non servo più. A quel punto sono altri più bravi di me a dover farla procedere.
Se si pensa al piccolo schermo, lei è stato, in effetti, un iniziatore di un modo differente di fare Tv. Mi conferma che il famoso format dell’intervista doppia, ripresa poi da Le Iene, è stata una sua intuizione?
Sì, l’ho introdotta io nel programma 2008 (del 2001, ndr).
E, dopo sei anni di assenza, quest’anno torna con una nuova trasmissione. Si parla di Sky… Tempo fa aveva dichiarato che solo a sentire nominare la Tv le venivano «le formiche al cervello». Cosa, o chi, le ha fatto cambiare idea?
Sono stato “incastrato” da un’idea talmente bella dal punto di vista imprenditoriale che non potevo non realizzarla. Si tratterà di un modello produttivo completamente diverso, che unirà formazione e televisione. A condurlo saremo io e un mio partner/socio molto bravo.
Chi?
Non me lo chieda, non posso ancora rivelarglielo. Le dico solo che è molto preparato e che lo stimo molto.
In tempi di crisi, insomma, bisogna saper innovare…
Ma io non credo nella crisi. O meglio, c’è una situazione congiunturale complessa che è sotto gli occhi di tutti. Penso però che siano più che altro in discussione i modelli di business a cui eravamo abituati. Mi attraggono i cambiamenti. Io, oltretutto, non vedo mai delle difficoltà, ma delle occasioni. Considero i problemi una sfida all’intelligenza. Senza di essi, non esisterebbe la creatività. I disagi hanno di buono questo: quando non si hanno i piedi saldi, bisogna imparare a gestire l’equilibrio. E la vita ci mette costantemente in gioco. Sa qual è per me la vera fortuna? Nascere in condizioni disagiate, così da elaborare soluzioni che nessuno può trovare al proprio posto.
Parla per esperienza personale?
Mio padre mi diceva sempre: «Sarai il bastone della mia vecchiaia». E oggi è così. Il modesto benessere datomi dai miei è ciò per cui li ringrazio ancora maggiormente.
E come vede i giovani di adesso?
Quelli sotto i 16 anni, che s’isolano con la tecnologia, m’interessano. Perché in qualche modo il loro comportamento è una forma di difesa, un tentativo di staccarsi dagli adulti. I ragazzi più grandi… un branco di inetti. Sono convinti, per esempio, che hanno dei diritti a prescindere.
Come il lavoro…?
Il ministro Fornero ha ragione: la Costituzione sancisce quei diritti che non sono elidibili da alcuna legge inferiore. L’articolo 1 non stabilisce che lo Stato debba trovarti un’occupazione. Oggi siamo entrati in un populismo senza senso. Poi magari, a praticarlo, sono ragazzi che si considerano di sinistra. Peccato non si ricordino del presidente Kennedy, un democratico, che affermava: «Non chiederti cosa l’America può fare per te, ma cosa tu puoi fare per l’America».
E loro cosa potrebbero fare?
Vogliono essere davvero rivoluzionari? Siano solidali con gli imprenditori! Vadano a fare protesta per gridare: «Fate lavorare il mio datore di lavoro, mettetelo in condizioni di assumermi…».
Parlava prima di problemi, messe in discussione e ricerca di equilibrio. Da quello che racconta, sembrerebbe di rivederla nella definizione che dà di sé lo stilista Karl Lagerfeld: «acrobata e camaleonte». Ci si riconosce?
Acrobata, sì. Mi diverto proprio. Camaleonte, non saprei… È l’animale che muta per adattarsi all’ambiente, e invece io resto me stesso facendo in modo che le condizioni intorno si adattino a me. Altrimenti me ne vado. O ancora, a priori, non accetto certi incarichi. Ho sempre saputo che, quando si va a fare qualcosa che non è nelle proprie corde, si va a servire una causa, un sistema. E allora non posso continuare a imporre me stesso. Non c’è più Andrea, c’è un funzionario passacarte. Quando si usa la testa, quando ci si mantiene “voraci” nei confronti della vita, allora sì che si ha potere.
«Stay hungry, stay foolish»?
Sì, però io non considero Steve Jobs un’icona, non sono un suo fan. Voglio dire: era una brava persona, ha fatto tanto, ma la sua motivazione a diventare grande non era guidata dal piacere, dallo stare bene. Sembrava più una rivalsa, la sua. Una forma di riscatto.
Cosa significa, allora, avere successo per lei?
Ho in mente una scena de Le crociate di Ridley Scott. Il Saladino, a capo dei Saraceni, ormai ha vinto. Il comandante cristiano Baliano gli chiede quanto valga Gerusalemme. Lui ci pensa e risponde: «Niente». Poi prosegue, si volta ed esclama: «Tutto!». Come dire: cosa conta vincere? Non me ne frega nulla. Ma guai a non mettere me stesso al 100% in quello che faccio. Qualunque cosa sia.
Credits Images:Andrea Pezzi (Ravenna, 1973) è stato per anni volto dell’emittente musicale Mtv, conduttore di trasmissioni su Rai e Mediaset, consulente aziendale in comunicazione. Ora è Chairman di Ovo, progettoche aveva già fondato nel 2006. A fine 2010 la società è rinata con un diverso assetto ed è stato lanciato on line il sito. «Oggi siamo in utile», dichiara Pezzi. Che nel 2009, con Bompiani, ha pubblicato il libro Fuori programma