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Il nuovo ruolo del centro media
Televisione, radio, stampa, digitale terrestre, mobile Tv e Internet. I tradizionali e i nuovi media si contendono spazi e inserzionisti. Stefano Sala, a.d. di Mediaedge:Cia Italia, racconta il futuro del centro media e il nuovo approccio consulenziale
A livello mondiale sono in atto grandi cambiamenti nel settore dei media, dal punto di vista sia tecnologico sia di mercato. Come si riflette questa mutazione a livello italiano? È vero, ci sono grandi cambiamenti tecnologici nei media. È partito il digitale, anche se lo switch off sarà nel 2012, è partita la televisione sul telefonino e sul web. C’è un grande fermento e una grande attenzione, ma ancora le pianificazioni sui nuovi mezzi non sono significative. In particolare il “mobile” è una piattaforma tecnologica che ancora non porta adeguato valore aggiunto editoriale al consumatore. La Tv su Internet ha un potenziale colossale ma al momento è poco più di una grossa libreria. Un discorso a parte riguarda la televisione digitale satellitare che – con i suoi quasi 4 milioni di abbonati, di cui un bel 35% nella fascia di età 15-34 anni, e l’8% di share medio – incomincia a diventare un attore del mercato decisamente interessante, con lo zoccolo duro del calcio e dei bambini, ma non solo.
Come si colloca Internet in questo panorama?Il web è il quarto mezzo in Italia (superando il cinema e l’outdoor): tra ciò che è rilevato e non rilevato, vale sui 350 milioni di euro, con una crescita del 50% sull’anno precedente e un peso di circa il 3,5% sul totale degli investimenti. La grande potenzialità in Italia consiste nel fatto che qui da noi la penetrazione del mezzo è ancora bassa e quindi c’è ampio spazio per un’ulteriore crescita, anche grazie alla forte accelerazione delle connessioni a banda larga.
E i media tradizionali?La televisione generalista sta soffrendo per la forte crescita delle Tv satellitari e il grande livello di fidelizzazione che sono in grado di sviluppare. La stampa sta invece vivendo un paio di stagioni positive, con dati di crescita interessanti: + 4,5% la periodica, + 2% la quotidiana nel 2006, con tutti i grandi quotidiani ormai passati al full color. La free press è una categoria a parte; è stata in grado di attrarre un pubblico di lettori nuovi, conquistando interessanti spazi. La radio è sicuramente in crescita, è il terzo mezzo attualmente in Italia, con un’unica area critica: l’eccessivo affollamento pubblicitario. Se le radio sapranno reagire attraverso un’offerta maggiormente qualitativa riusciranno a crescere ulteriormente. Sotto questo aspetto, anche la televisione ha un problema di affollamento e di rispetto degli orari di messa in onda dei programmi che dovranno essere risolti introducendo break più leggeri e rimettendo mano ai palinsesti; su questo secondo fronte, ci sono già stati alcuni segnali positivi.
Quanto pesano oggi in Italia l’abow-the-line e il below-the-line?Sono più o meno uguali, sugli 8 miliardi e mezzo di euro ciascuno; ma la sensazione è che il below the line stia crescendo più dell’above.
Vittorio Feltri ha dichiarato recentemente al mensile Tivù: “Ho la sensazione che gli inserzionisti siano degli sprovveduti, per un semplice motivo: si affidano ai centri media, i quali hanno una mentalità burocratica, prendono in considerazione magari dati di tiratura vecchi e profili di target superati, perciò quando pianificano tendono a colpire nel mucchio”. Come commenta questa affermazione del direttore di Libero?È un’affermazione che mi sorprende molto, considerando che arriva da una persona che stimo intellettualmente e la cui professionalità è fuori discussione. Mi piacerebbe inoltre capire su quali basi fonda le sue affermazioni. Altrimenti si corre il rischio di divulgare luoghi comuni e percezioni sbagliate. Il centro media non colpisce nel mucchio, ma identifica il target di consumo potenzialmente interessante per l’azienda-cliente. È vero che ci sono dei dubbi sull’affidabilità dei sistemi di rilevazione esistenti, come Auditel, Audipress, Ads ecc., ma si tratta comunque della migliore approssimazione possibile. D’altra parte anche la Fieg (la federazione degli editori di giornali e periodici, ndr) fa parte degli enti di certificazione; se le ricerche non rispondono alle esigenze attuali, non è solo colpa dei centri media.
Il cliente accetta sempre le pianificazioni proposte dal centro media o sono frequenti situazioni di contrasto?Non si tratta di accettare pianificazioni o di gestire situazioni di conflitto, il nostro approccio è prettamente consulenziale. Mediaedge:Cia assiste i clienti su tutto il ciclo progettuale: definiamo la piattaforma di comunicazione, identifichiamo il target, indichiamo soglie di investimento in base agli obiettivi aziendali, selezioniamo i mezzi, valutiamo il Roi (ritorno sugli investimenti, ndr), attraverso analisi econometriche molto approfondite. È un lavoro forse oscuro all’opinione pubblica ma ben conosciuto e apprezzato dai clienti. Il mondo è sempre più frammentato, il consumatore sempre più infedele, dobbiamo “ingaggiarlo attivamente” (non a caso il nostro positioning è “Active engagement”): quando è a casa, quando è al lavoro, quando viaggia, quando è in vacanza. Tutto questo attraverso il processo che chiamiamo “channel planning & implementation” che è un’attività molto sofisticata; altro che colpire nel mucchio, per tornare alla provocazione di Feltri! Anzi, se vuole venirci a trovare, saremo lieti di approfondire tutto ciò insieme a lui.
Come vi comportate con le testate, i canali Tv e radio e gli altri mezzi in fase di lancio?Non ragioniamo solo secondo gli schematismi classici del costo contatto, ma valutiamo rigorosamente e in termini prospettici le nuove proposte. Il nostro è un “approccio neutro”, nel senso che valutiamo ogni singola novità in funzione dell’utilità all’interno delle strategie di comunicazione dei nostri clienti.
Che tipologia di aziende ricorre al centro media invece di “fare da sé”?A differenza di quanto si può pensare, non sono solo le grandi aziende a ricorrere alla consulenza di Mediaedge: Cia, ma anche molte medie e medio-piccole. Oltre la metà dei nostri clienti ha budget inferiore ai 3 milioni di euro. Anche chi non ha grandi budget da spendere preferisce affidarsi a dei professionisti capaci di farglieli investire bene.
Sono sempre calde le polemiche sui criteri di assegnazione delle gare, che avvengono il più delle volte sulla base del ribasso, invece che sulla qualità del servizio e sulla storia professionale della struttura. Questo alla lunga non va a scapito del cliente?In questo momento siamo in un loop. La percezione di riduzione della qualità del nostro lavoro da parte dei clienti porta a dire: “Sono tutti uguali, la qualità tende verso il basso e quindi voglio pagare ancora di meno”. Nel breve periodo questa situazione andrà a scapito del cliente stesso, perché una scelta errata del centro media determina strategie di comunicazione non ottimali; io personalmente diffiderei di un consulente che propone come unico fattore differenziante un ridotto costo del servizio. Nel medio-lungo danneggia tutto il comparto: su un aspetto così delicato e al contempo strategico come la comunicazione, le centrali media non possono prescindere dagli investimenti in ricerche, know-how e talenti; il continuo ribasso delle remunerazioni non può che portare a un impoverimento della qualità del nostro contributo.
Il gruppo Wpp possiede altri centri media. Vi fate concorrenza tra voi?Assolutamente si. In ogni caso é il cliente che invita le strutture che ritiene più idonee alla gestione della propria comunicazione. Le sigle all’interno del gruppo Wpp sono assolutamente autonome, con management indipendenti; ogni società ha il suo bilancio e la sua filiera di riferimento a livello internazionale.
Sulla questione dei “diritti di negoziazione” sono stati addirittura presentati dei disegni di legge al fine di rendere più trasparente il sistema. Qual è la sua opinione in merito?I diritti esistono, sono una realtà di fatto e la nostra posizione è quella di renderli il più trasparenti possibile. Le fonti di ricavo di un centro media sono solamente due: fee dal cliente e diritti di negoziazione dalle concessionarie. I diritti esistono e vengono pagati alle centrali media e si calcolano sul volume gestito dalla centrale, non sul singolo cliente. All’interno dell’attuale contesto, il diritto di negoziazione è una componente importante della redditività delle centrali media. Consente infatti di poter continuare a investire in competenze e qualità del servizio. Quindi rendiamoli trasparenti, non aboliamoli.Ritengo che il legislatore stia cercando la strada migliore per eliminare le aree grigie. Sono d’accordo sull’obiettivo; per fare questo la trasparenza è l’unica strada in ragione di due principali motivi: la maggior condivisione con i clienti dei sistemi di remunerazione ed evitare al contempo il rischio, come già successo in altri Paesi in caso di abolizione, che i diritti trovino nuove forme e quindi, paradossalmente, si faccia un passo indietro nella via alla trasparenza.
Continuerà secondo lei il processo di concentrazione dei centri media in atto anche in Italia da qualche anno?Nel mondo continuerà per forza ed essendo noi dei telliti”, delle filiali, riguarderà anche l’Italia. Alla fine rimarranno non più di cinque- sei gruppi: Wpp, Publicis, Omnicom, Interpublic, Havas. Per Aegis, altro grande player, penso valga un discorso a parte.
Cosa intende?Essendo Aegis rimasta l’unica grande centrale media indipendente, cioè non legata a una agenzia creativa, continuano da tempo le voci su una sua probabile acquisizione.
È cambiato qualcosa nelle vostre strategie dopo l’uscita burrascosa di Marco Benatti?Benatti era Wpp, non Mediaedge: Cia, quindi la risposta non posso darla io. Dovreste rivolgere questa domanda a Wpp Italia o a Sir Martin Sorrell. È più corretto rispondere che il cambiamento di strategie della nostra azienda è legato al mutamento del management. La mia vision è che Mediaedge: Cia debba evolvere diventando sempre più consulente di comunicazione, non solo centrale media. Per realizzare questo ambizioso progetto avevo bisogno di un direttore generale che avesse eccellenti conoscenze tecniche combinate alla capacità di gestione delle relazioni con i clienti, senza dimenticare la sua abilità, per me fondamentale, di motivare le persone all’interno dell’agenzia. Per questa ragione ho chiesto a Luca Vergani di continuare a lavorare con me ricostruendo un binomio collaudato nel corso degli ultimi anni.
In quali direzioni si svilupperà nel 2007 il vostro business?Nel 2006 abbiamo raggiunto la quota di mercato di circa il 15% con un gestito di circa 1,3 miliardi di euro, confermando così la prima posizione nel ranking. A partire dal 2007 amplieremo il portafoglio dei servizi da proporre ai nostri clienti. Vogliamo diventare la McKinsey della comunicazione. Sono appena nate MecInteraction per tutta la parte digitale, MecContent per la gestione dei contenuti (dal product placement alla creazione di programmi e canali), interagendo sempre di più con le concessionarie e gli editori. Stanno inoltre per nascere MecSponsorship e MecEvent, fornendo sia la consulenza sia, a richiesta del cliente, l’organizzazione e la gestione diretta di iniziative all’interno di questi ambiti.
Quali sono i valori fondanti dell’azienda?Sono due: trasparenza e meritocrazia. Da questo deriva tutto il resto: identità, spirito di squadra, motivazione e coerenza tra comunicazione interna e percezione esterna. Il mio obiettivo è arrivare alla creazione di un vero e proprio spirito di appartenenza, vorrei creare le condizioni fondamentali per avere quel clima ideale che consente soltanto ad alcune aziende di eccellere.
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