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I marchi, vera sfida del futuro
Mercato italiano ed europeo, strategie di marca, design, time to market, distribuzione, tecnologia ed ecologia, nuovi servizi finanziari: il presente e il futuro dell’auto secondo Ralf-Otto Limbach, amministratore delegato e presidente di Volkswagen Group Italia
Come è stato il 2006 per il vostro gruppo in Italia?
Per Volkswagen Group Italia il 2006 è stato un anno forte. Siamo cresciuti del 4% in numero di auto consegnate, ancora di più in fatturato. La marca Volkswagen è andata molto bene (150 mila auto), per Audi è stato un anno record con 60 mila, eccellente anche il risultato di Seat (31 mila), un po’ più modesto quello di Skoda con circa 13.000 macchine, ma in gennaio 2007 anche quest’ultimo marchio si è mosso bene. Tutto questo senza forzare il mercato con iniziative sporche. La nostra è una crescita regolare, non particolarmente concentrata in alcuni momenti dell’anno. Il nostro obiettivo è vendere al cliente un’auto che, nel momento in cui volesse rivenderla come usato, abbia un elevato valore residuo (la Golf per esempio è la macchina che sul mercato italiano ha il valore più elevato anche dopo tre anni). Questo fidelizza la clientela.
Il rilancio della Fiat ha modificato gli equilibri del mercato italiano e parzialmente anche europeo. Solo fino a tre anni fa sembrava che Fiat fosse in vendita e che il vostro gruppo stesse per acquistarla. Qualche rimorso?Prima di tutto grandi complimenti ai colleghi Fiat, hanno fatto un ottimo lavoro e i risultati si vedono su tutti i mercati, non solo in Italia. Però devo dire che per noi la Fiat non è un concorrente diretto, perché ci troviamo in un segmento diverso. Il prezzo medio in Italia per la marca Volkswagen è quasi 22 mila euro, superiore di circa 10 mila rispetto al prezzo medio Fiat. I nostri vertici hanno buone relazioni con quelli Fiat. Si è parlato sicuramente di vari progetti, soprattuto di collaborazione industriale (non certo distributiva, perché lì si va a toccare direttamente il cliente!). Non sarebbe una novità, noi per esempio abbiamo già sviluppato la Cayenne insieme a Porsche. Ma non mi risultano concreti progetti relativi al controllo azionario della Fiat.
Gli esperti del settore sono convinti che nel giro di pochi anni in Europa resteranno non più di quattro-cinque produttori. È d’accordo con questa analisi?Anni fa pensavamo che la concentrazione industriale ci avrebbe dato dei vantaggi di economie di scala, con l’assorbimento dei costi fissi al crescere dei volumi; oggi sappiamo invece che è fondamentale una certa agilità produttiva. L’importante è riuscire a trovare il punto d’equilibrio tra economie di scala e flessibilità, anche se sono convinto che tra le due sarà sempre più importante la seconda, che significa velocità e personalizzazione. In conclusione credo che il processo di concentrazione sia arrivato alla fine; forse ci potranno essere delle novità per Chrysler, ma nel complesso il panorama dei gruppi industriali dovrebbe restare stabile. Le vere sfide strategiche si hanno e si avranno sempre di più a livello dei singoli marchi, perché sono questi che arrivano al cliente, non i conglomerati. Il cliente Audi la compra perché è un’Audi, non una Volkswagen vestita da Audi. I marchi sono più numerosi oggi di 30 anni fa. Noi ne abbiamo otto e posso immaginarne ancora altri nel futuro.
A proposito di design, l’esperienza del “family look” fatta soprattutto con Audi suscita opinioni contrastanti: c’è chi parla di utili sinergie, chi di omologazione. Per una marca di segmento premium, come Audi, il family look è importante. Il cliente Audi dice “ho comprato un’Audi”, indipendentemente dal modello, mentre il cliente Volkswagen “ho comprato una Golf”. Nelle fasce alte del mercato vince la marca nel suo complesso, in quelle più base lo specifico modello. Ma la marca Volkswagen oggi è in fase di “upgrading” nella percezione del cliente e si sta avvicinando alla segmento premium.
È di questi giorni la nomina di Walter de’ Silva, un italiano, ai vertici del design del vostro gruppo a livello mondiale. È un messaggio molto significativo, uno dei passi più importanti degli ultimi anni, determinato dalla svolta che de’ Silva ha dato ad Audi. Con la Q7 ha disegnato un’auto bellissima che quasi nasconde le dimensioni, un Suv che è quasi un Van. La sua è una responsabilità immensa: il design oggi è la numero uno tra tutte le motivazioni possibili per comprare un’auto, ormai anche sui segmenti più bassi. Una macchina brutta non è più vendibile.
Ma che cos’ha un designer italiano di più e di diverso dagli altri?L’eleganza, la linea, lo stile. È capace di disegnare una nuova macchina con un gesto morbido della mano. De’ Silva è oggi giorno il miglior designer: la A6 Avant per noi è la macchina più bella degli ultimi anni.Quindi si andrà verso forme più tondeggianti anche sugli altri vostri marchi?Penso di sì, in ogni caso più eleganti.
La società odierna è sempre più veloce e “consuma” in breve tempo le passioni per un prodotto. Come si concilia questa velocità dei consumatori con il mercato dell’auto che ha un time-to-market molto lungo?Prima di prendere una decisione sulla produzione di una nuova vettura servono fino a tre anni; dopo gli ingegneri hanno bisogno di tre-quattro anni per sviluppare il progetto; infine l’auto, una volta uscita sul mercato, deve poterci restare per almeno cinque anni. Quindi quando pensiamo a una macchina del futuro, pensiamo a un futuro di almeno dodici anni. Prima degli ingegneri scendono in campo i sociologi perché innanzi tutto dobbiamo ragionare per segmenti sociali, riuscendo a immaginarli come saranno tra quindici anni. Le loro ricerche partono dai bisogni attuali e devono intuire i bisogni futuri, bisogni magari oggi inesistenti o latenti. Poi vediamo le possibili soluzioni tecnologiche, segmento per segmento. Successivamente interviene il marketing, in termini di analisi commerciale ed economica, relativamente alla propensione all’acquisto da parte del potenziale cliente.
E il design in che fase interviene?Dall’inizio e comunque un top designer può modificare punti importanti del progetto fino agli ultimi 24 mesi.Cosa suggestiona un designer, la fantasia, la fantascienza, cos’altro?Io credo che lo stimolo principale venga dalla sessualità, ma non vanno trascurati anche i meccanismi psicologici di difesa, la ricerca di sicurezza: questi ultimi spiegano per esempio il grande successo dei Suv, che ti fanno sentire protetto, al sicuro come dentro un castello. Invece le forme di una Porsche 911 toccano, anche inconsapevolmente, la nostra sensibilità sessuale. Comunque noi sappiamo abbastanza bene quali sono le regole che possono portare al successo meglio di altre. Ma questo è un segreto che preferiamo tenere per noi!
In tema di ecologia e risparmi nei consumi, quale dovrebbe essere l’alimentazione del futuro?Nessuno lo sa. È certo che avremo ancora auto a benzina e diesel, senz’altro non a idrogeno perché la tecnologia è molto indietro. Avremo anche le ibride, dotate cioè anche di motore elettrico, ma si tratta di una soluzione transitoria, perché possono risolvere specifiche situazioni legate alle scelte politiche sul traffico urbano, sulle limitazioni di accesso in città. Ma non vanno bene sulle tratte extraurbane, per la loro limitata autonomia e la mancanza di un’adeguata rete di rifornimento. Semmai vedo un futuro per le macchine piccole da quattro posti, facili da parcheggiare, dai bassi consumi e poco inquinanti. Non c’è mai una soluzione unica, la domanda è sempre più segmentata e le risposte devono essere sempre più individualizzate.
Ma valgono ancora le classificazioni per segmenti?Ancora lavoriamo ufficialmente con 36 segmenti, ma stiamo assistendo a modifiche importanti: tendono a concentrarsi quelli più alti e quelli più bassi, a scapito di quelli intermedi.
In tema di governance aziendale il vostro gruppo – come molte altre aziende tedesche – adotta il sistema che prevede la partecipazione dei sindacati ai comitati di gestione. Con quali risultati? Secondo lei sarebbe applicabile anche alle imprese italiane?Dopo aver vissuto in diversi Paesi, per esperienza diretta posso dire che il sistema tedesco è diverso e non sempre il più adatto. In generale siamo noi tedeschi l’animale strano, e questo non dà tutti i vantaggi che possiamo immaginare dall’esterno. È un sistema che cerca il compromesso permanente: cercare l’armonia, evitare le decisioni estreme non è sempre facile.
Nel 2002 un regolamento europeo ha offerto ai rivenditori la possibilità di vendere più di una marca, aprendo concessionarie multimarca. Perché queste non hanno avuto successo in Italia?Quando qualcuno a Bruxelles prende delle decisioni senza parlare con il mercato è sempre un problema. I clienti in questo caso non erano solo i consumatori finali ma anche i concessionari. Oggi questi ultimi si trovano in una situazione più difficile di prima, perché i clienti sono sempre più esigenti. Se io, concessionario, avessi una marca tedesca e ne aggiungessi una giapponese, non creerei alcuna sinergia tra le due. Il multimarchio in Europa non ha avuto successo in nessun Paese. Non siamo negli Usa dove conta solo il prezzo: per i tedeschi vale soprattutto la tecnologia, per gli italiani il design. Il multimarchismo nel caso del nostro gruppo invece è un po’ diverso: noi abbiamo cinque marche e troviamo le sinergie necessarie all’interno del nostro gruppo. Molti concessionari hanno il portafoglio completo grazie ai nostri marchi e il nostro magazzino centrale rifornisce i ricambi necessari per tutte le marche del gruppo. Forse si è affermato di più nel settore dell’usato, anche se comunque non è facile nemmeno qui, perché ci vogliono professionalità, preparazione e serietà. Torniamo alla centralità del marchio, la marca è sacra. Se io voglio comprare un vestito di Armani non vado al supermercato, ma nella boutique esclusiva di Armani, dove pretendo un trattamento esclusivo, voglio “vivere” l’atto dell’acquisto, farmi quasi sedurre.
Volkswagen Group Italia segue direttamente anche il mercato dell’usato?Gestiamo direttamente non più di 2.000 autovetture che è il nostro parco vetture aziendali, che ci servono soprattutto per tenere sempre sotto controllo il polso del mercato. Del vero business se ne occupano i concessionari, ai quali noi diamo un’adeguata formazione anche in questo campo. In generale in Italia l’usato conta meno rispetto ad altri Paesi europei, dove abbiamo un rapporto di un’auto nuova per una usata. Ma anche qui il settore è in crescita e ci stiamo preparando per una nuova politica commerciale, ma sempre passo dopo passo e tramite la nostra rete.
Come si stanno muovendo i veicoli commerciali?Quest’anno venderemo poco più di ottomila pezzi, in crescita rispetto ai seimila dell’anno scorso; è un mercato piccolo ma comunque in sviluppo costante. Con il nuovo furgone Volkswagen Crafter avremo finalmente un prodotto forte.
Ma se non sbaglio il Gruppo Volkswagen ha un ruolo importante anche per l’economia italiana? Sì infatti, vorrei porre l’attenzione su questo aspetto che spesso si considera di secondaria importanza. Pensi che noi acquistiamo in Italia, per la produzione a livello mondiale, oltre tre miliardi di euro di componentistica di primo impianto, una cifra molto importante.
E come si evolve il settore dei servizi finanziari, del leasing, del full renting ecc.?È un fenomeno molto importante, anche nel settore dell’auto l’uso del bene comincia a diventare sempre più importante rispetto al suo possesso. C’è una fascia di pubblico che dà valore anche al proprio tempo e quindi apprezza le comodità di formule come il full renting. Volkswagen Bank offre sempre più prodotti in questo ramo. In Italia si è condizionati dal sistema. Il mio sogno è quello della stabilità che si traduca in certezza di regole amministrative. Invece oggi queste cambiano in continuazione e per chi sta nel business è un grosso problema. Se si pensa all’ultima finanziaria, alle diverse e successive versioni, alle difficoltà interpretative che permangono tuttora si capisce quanta incertezza e sfiducia regni. I clienti ci sono, ci sono i soldi, ma non c’è la certezza che può dare stabilità al mercato.
I vostri principali concorrenti (Bmw, Mercedes, Fiat con Ferrari, Honda, Toyota) sono presenti in Formula 1, mentre voi partecipate fortemente alle gare di durata col marchio Audi. Perché questa scelta?Perché dovremmo fare la Formula 1? Non siamo conviniti che il ritorno sarebbe proporzionato all’impegno economico. È difficile sapere quanti clienti si avvicinano alla marca grazie alla presenza in F1. I clienti Audi invece sanno che abbiamo vinto cinque volte di seguito la 24 Ore di Le Mans. E poi la Formula 1 è poco utile anche a livello di sviluppo tecnologico, in quando si tratta di tecnologia cosi specifica che è parzialmente trasferibile alla produzione di serie.
Lei che auto guida?Sia Audi A8, che Volkswagen Phaeton.
Quali sono a suo parere le auto più belle mai prodotte al mondo?La vecchia 500 Fiat e la Porsche 911. Macchine dietro alle quali c’era del genio, auto che hanno fatto storia e hanno linee perfette.
Per quali motivi avete cambiato la denominazione della società da Autogerma in Volkswagen Group Italia?Abbiamo cambiato nome perché non vogliamo più essere considerati un importatore e neanche un distributore. Oggi vogliamo essere percepiti come un’azienda moderna di servizi per i nostri clienti, che sono innanzi tutto i concessionari e poi i clienti finali. Il secondo motivo è l’opportunità di usare il potenziale di un nome di dimensione multinazionale anche nel rapporto con i collaboratori dal più alto potenziale di sviluppo professionale. Nella classifica delle aziende presenti in Italia siamo al tredicesimo posto e siamo al secondo, dopo la Fiat, nel settore dell’automotive. Se vogliamo attrarre i talenti, i migliori laureati, il nome Volkswagen Group Italia attira certo più del nome Autogerma.
LE PASSIONI DI LIMBACH | ||
LibroUn uomo vero di Tom Wolfe | Programma TvNessuno | VinoOggi come oggi il vino italiano è il migliore al mondo |
FilmProfumo di Tom Tykwer, tratto dal romanzo di Patrick Suskind | LuogoSiena durante il Palio | HobbyFare musica (chitarra e tastiere); sci; auto d’epoca |
Musica U2 | PiattoPesce crudo | SquadraLa Nazionale italiana di calcio (detto da un tedesco…) |
Ralf-Otto Limbach