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Fabio Sbianchi: «Andare controcorrente»

Capacità di anticipare il mercato e tanta perseveranza: così il sogno dell’assicurazione su misura è diventato una realtà che ambisce al Nasdaq di Wall Street dopo cinque anni a fatturato zero: «Non importa se all’inizio non vi capirà nessuno, perseguite un business anche se lo vedete solo voi»

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Fabio Sbianchi è l’uomo che ha rivoluzionato i modelli assicurativi per l’auto: grazie alla sua Clear Box, un apparato di bordo con Gps e sensori che registrano percorso e tempi d’uso, le compagnie di assicurazione possono ritagliare prodotti innovativi e su misura, i clienti invece pagare di meno l’Rc auto. Geniale. Non lo diciamo noi: Octo Telematics controlla il 45% del mercato mondiale, lavora con tutte le principali case automobilistiche e compagnie assicurative registrando 7 mila nuovi clienti ogni giorno. Eppure Fabio Sbianchi non è quello che ci si aspetta. Non lo è per come appare – abiti, auto, orologi – e non lo è per quello che dice. Ai giovani imprenditori per esempio: «Non innamoratevi del valore della vostra azienda, ma del successo nella vita». A se stesso: «Meglio possedere una frazione di un’azienda grande che il cento per cento di una piccola». Questo è Sbianchi: ha inventato un business che prima non c’era e trasformato una bella idea in un prodotto che gli altri nel mondo possono solo copiare. Questa è Octo Telematics: una multinazionale presente in 26 Paesi, con 130 aziendeclienti nel mondo, di cui oltre 20 sono attive solo in Italia e coprono la gran parte dell’offerta assicurativa. Con un obiettivo ambizioso: la quotazione al Nasdaq di New York.

«Meglio possedere poco di un’azienda sana che il 100% di un’idea mai realizzata»

Che cosa è il successo per Fabio Sbianchi?
Innanzitutto è il successo nella vita intesa nel suo complesso: il lavoro, le relazioni fra colleghi e amici, la famiglia, le passioni e i sogni da realizzare. In una parola: equilibrio.

Come lo si raggiunge?
Non lo so, è una ricerca che non può mai concludersi. La felicità sta tutta nella ricerca della felicità. Anche da un punto di vista professionale: il successo è già qui, sulla strada che si percorre, prima ancora che nella meta finale.

Sembra uno spot per la sua azienda. È anche una filosofia di vita?
E pensare che invece tutto è nato da un motivo molto pratico, direi di portafoglio. Mentre mia moglie lavorava ormai da mesi all’estero spostandosi avanti e indietro con l’aereo – eravamo negli anni ‘90 – ho ricevuto una telefonata del nostro assicuratore che mi chiedeva 800 mila lire di premio, nonostante l’auto di mia moglie non si muovesse mai dal box. Sei mesi dopo, stessa richiesta. Allora mi son domandato: perché non esiste un’assicurazione auto personalizzata, ritagliata sulle abitudini di chi guida, sulla distanza percorsa e il reale utilizzo? Il giorno dopo sono andato in ufficio e ho detto ai miei: inventiamoci qualcosa.

Da impiegato a imprenditore. Immagino la solita trafila: l’idea geniale ma pochi soldi per realizzarla, i tempi duri poi il successo…
Invece no. Non nel mio caso. Ero da qualche anno il direttore tecnico e operativo di Viasat, e facevamo antifurti satellitari, quindi ho provato a vendere la mia idea al management interno. Mi sembrava la cosa più logica e naturale da fare.

E loro?
Hanno fatto la cosa più logica e naturale: mi hanno detto di no. Forse è stata quella la mia fortuna. Un no. Dal loro punto di vista il rifiuto aveva una sua ragione: hanno saputo valutare il ritorno sugli investimenti, che è stato zero tondo per i primi cinque anni. Per me è stato un “no” importante.

Le passioni di Fabio Sbianchi

Sono i famosi “no” che insegnano a crescere?
Detto altrimenti: sono quei momenti di difficoltà e di crisi che ci fanno fare il salto, che ci impongono di scavare e scoprire risorse fino a prima insospettabili.

Anche risorse economiche?
I soldi per partire arrivarono da un Business Angel che nel 2001 mi firmò un assegno da 50 milioni di lire, a dimostrazione che credeva nella mia idea. Ma la risorsa più importante sono le persone. Così nel 2002 mi dimetto e assieme a sei colleghi, il mio team di fedelissimi, apriamo Octo Telematics: l’idea è di sviluppare un primo prototipo di strumento in grado di monitorare le abitudini del guidatore e di consentire ai clienti e alle compagnie di assicurazione di risparmiare e prevenire i rischi. Eravamo convinti che una Clear Box di questo tipo, rispetto al mercato di nicchia degli antifurti satellitari, potesse avere un bacino più ampio: c’erano 35 milioni di potenziali clienti in Italia e 200 milioni in Europa.

Ma nessuno cliente vostro…
No. Per cinque anni fatturato zero. Eravamo in anticipo sui tempi? Forse.

Possiamo trarne una prima lezione di management, tipo “non correte troppo avanti”?
Al contrario. Fatelo! Non importa se all’inizio non vi capirà nessuno. Non importa se vedete un business dove tutti gli altri temono invece una inutile complicazione, se non addirittura uno svantaggio. Credeteci. Il mio caso è esemplare: andavamo dalle assicurazioni per vendere un prodotto capace di certificare l’utilizzo o meno dell’auto. Il nostro “contatore” andava intuitivamente contro il business model di un assicurazione, che guadagna anche se il veicolo non corre rischi. Capito? Sembrava che facessimo solo gli interessi dei clienti finali. In realtà stavamo introducendo il pay-per-use prima ancora che esistesse questa espressione. Oggi è entrato nelle abitudini di tutti: si pagano a consumo musica e film, Internet e applicazioni. Anche l’Rc auto, e grazie a noi. Ma all’epoca eravamo in anticipo.

Qual è l’idea vincente che ha fatto il successo di Octo?
La Clear Box consente non solo alla compagnia di assicurazione di capire il comportamento e lo stile di guida del conducente per offrigli una tariffa personalizzata, ma anche al cliente finale di poter usufruire di servizi a valore aggiunto, per esempio sotto il profilo dell’assistenza o in caso di furto. Senza contare che l’automobilista vede premiati i propri comportamenti corretti di guida con tariffe più convenienti.

Com’è il suo stile di leadership? Ma soprattutto: funziona?
Mi hanno assunto in Viasat perché mi ritenevano un ottimo “fluidificatore”. Oggi si usa una parola diversa: facilitatore. E forse è quello che so fare meglio: so come ottimizzare il lavoro mio e degli altri, come renderlo più fluido portandolo dritto all’obiettivo.

Un leader “maieutico”, per usare un concetto preso in prestito dalla filosofia di Socrate?
Come una levatrice aiuta le partorienti a far nascere i bimbi, così il leader “facilitatore” tira fuori dagli altri il loro meglio, valorizza quanto c’è di buono nel suo team, porta alla luce idee originali che i suoi collaboratori non pensavano neppure di avere in testa. Poi però nel biglietto da visita c’era scritta una più prosaica e sintetica job description: “Program Manager”.

Già, torniamo con i piedi per terra. Parliamo di denaro. Quanto conta nella carriera di un manager?
Forse più all’inizio che alla fine. Il denaro può spingere ad agire in due maniere: a cercarne perché non c’è affatto o, se c’è, a volerne di più. Quando nel 1997 lasciai la mia piccola ditta – lavoravamo bene e molto installando parabole per conto di Telespazio sui tetti di Inps, Inail e catasto – lo feci anche per un ottimo stipendio da Program Manager. Poi invece, quando cambiai lavoro per seguire il mio sogno di imprenditore, fu un salto nel buio: per cinque anni non ho percepito stipendio. Ma era quella la spinta giusta per andare avanti. Più recentemente, quando abbiamo venduto le prime quote di Octo Telematics a tre fondi stranieri e anche oggi che la maggioranza è passata interamente in mano a Renova Group, importante gruppo di investimento privato russo, la motivazione ad agire è stata sempre la medesima e coerente: potevamo restare padroni assoluti di una piccola azienda, oppure avere una quota parte di una azienda più grande. La seconda opzione è, a dispetto delle apparenze, la più razionale.

In molti avrebbero preferito tenere saldo il timone della società e non vendere…
o so. Eppure pensiamoci: è meglio avere una piccola frazione di un grande tesoro o il 100% di un forziere quasi vuoto? Oggi Octo Telematics, con 260 dipendenti, è tra le aziende al mondo che fatturano di più pro capite.

Il leader tira fuori dagli altri il loro meglio,

valorizza quanto c’è di buono nel suo team,

porta alla luce idee originali che

i collaboratori non sapevano neppure di avere

Qual è il suo consiglio a chi si mette oggi in impresa?
Innamoratevi della vita, non delle azioni della vostra spa.

Che cosa non ha prezzo?
Accompagnare i miei figli quando fanno sport e seguirli nelle gare.

Che macchina guida?
Una Smart. Il vecchio stereotipo del businessman di successo, tutto macchina di lusso, segretaria e mega ufficio non funziona più: è superato. Oggi contano di più altri valori, per esempio la misura, il sapersi accontentare. Che non significa rinuncia, anzi. Significa trovare e dare il vero valore alle cose. Non esistono più status symbol. Guardi la mia giacca: mi ci siedo sopra, la stropiccio e lei non fa una piega. Non sarà alta sartoria ma è altamente funzionale. Elegante e sempre in ordine: non è quello che si chiede a una giacca? E allora va bene così, non serve di più.

Altri valori che la guidano?
Essere un uomo giusto, fare del bene. Ma il bene si deve fare, non raccontare.

Torniamo all’azienda: ci descrive il vostro modello di business?
Tutto ruota attorno le nostre Octo Box, una struttura diffusa sul territorio e un asset strategico. Noi gestiamo il traffico dati fra le scatole e il centro servizi, attraverso un rapporto con i migliori carrier, e forniamo ai clienti le Octo Box in comodato d’uso, complete di attivazione, abbonamento Gsm e installazione delle stesse sul veicolo, con una fee annuale sui canoni di servizio attivati.

Come siete venuti fuori dalla crisi che ha colpito l’economia globale?
Con numeri da capogiro: 3,1 milioni di clienti attivi in Italia e 400 mila all’estero, 7 mila nuovi ogni giorno e oltre 35 mila installazioni alla settimana. Lavoriamo con 130 aziende in 26 Paesi del mondo, tra Europa, Usa, America del Sud, Asia e Australia. E possiamo contare su 3.500 installatori.

In che modo ci siete riusciti?
Abbiamo tenuto la barra dritta, avendo ben chiaro la nostra mission: svolgere un ruolo guida per l’intero settore dei servizi telematici per assicurazioni, autonoleggio, flotte e case produttrici, declinando la telematica come soluzione integrata e non come prodotto. È così che abbiamo convinto i big come Bmw, Fiat, Honda, Mercedes, Toyota, Opel e Volkswagen fra i produttori e Unipol Sai, Generali, Intesa Sanpaolo, Sara, Ina Assitalia, Axa e Groupama fra le assicurazioni.

E adesso?
Vogliamo continuare ad aprire al mercato nuovi segmenti e modelli di business. E ce la faremo perché abbiamo le spalle più larghe oggi di quando siamo nati, grazie anche alle successive iniezioni di capitale ottenute vendendo quote di partecipazione. Oggi la struttura societaria è composta da Renova Group, che possiede il 72% delle quote, e Pamplona Capital Management, fondo anglo-americano titolare del restante 28%.

A lei non rimane nulla della “sua” Octo.
Al contrario: a me rimane una piccola parte di un grande impero, che è meglio della sovranità su un’isoletta. Poi la soddisfazione di aver creato qualcosa che prima non c’era. Infine, l’ambizione di portarla alla Borsa di New York.

È questo il prossimo obiettivo?
Sì, il mio sogno è quotarla al Nasdaq di Wall Street e suonare la campanella che indica l’apertura delle contrattazioni. So che prima o poi succederà. Quella campanella suonerà anche per me e sarà il segnale di addio. Lascerò il mio posto.

Anche di Sbianchi si può fare a meno?
Si può e si deve.

Chi o che cosa, oggi, fa il successo di una azienda?
Le persone che ci lavorano. Tutte e ciascuna, ma nessuna in particolare. Mi spiego: un’azienda ha raggiunto il successo quando va avanti anche a prescindere dalle singole figure, a qualunque livello. Vale anche per i numeri uno: quando ci si accorge di non essere più un volano di crescita, meglio farsi da parte. Per questo credo che Octo Telematics possa andare nelle mani di un giovane condottiero, capace di farla crescere ancora di più. Non voglio essere io il limite. Il limite, posto che ci sia, bisogna spostarlo sempre in avanti.

Le date di Octo Telematics

2002Fabio Sbianchi fonda Octo Telematics e avvia la collaborazione con Unipol Assicurazioni, il primo grande cliente. Comincia la sperimentazione di soluzioni telematiche su 2.500 veicoli e mezzi pesanti in tutta Italia.

2005 – Prima polizza Rc auto con tariffa specifica basata sui servizi telematici (Unipol) e prima assicurazione pay-per-use (Axa). In seguito anche Bmw e Fiat scelgono Octo Telematics.

2010 – La proprietà passa nelle mani di tre fondi di private equity internazionali (Charme II, Amadeus Capital, R Capital Partners). Una quota va anche al management.

2011 – Viene raggiunto il primo milione di clienti attivi.

2014 – Renova Group, importante gruppo di investimento privato russo, acquista la maggioranza della partecipazione in Octo Telematics.

Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese pubblicato ad agosto 2015

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Era direttore tecnico e operativo di Viasat quando ha avuto l’idea alla base di Octo Telematics. È stato il mancato sostegno dei suoi superiori di allora a spingerlo ad avviare la propria azienda con pochi fedelissimi collaboratori