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A ciascuno il suo spot
Solo la profilazione dei comportamenti del consumatore su new media e Tv digitale riuscirà a sbloccare lo stallo del mercato pubblicitario tricolore. La vision di Luca Vergani, ceo di Mec Italia
Se si sommano gli effetti della crisi economica all’interminabile fase di transizione che sta vivendo l’intero comparto dei media tricolori il risultato è inequivocabile: -9,7%.Questo è il dato complessivo (fonte: Nielsen) dell’andamento del mercato pubblicitario italiano nel primo semestre 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’unico più nel panorama dei mezzi osservati è quello ormai familiare di Internet, che continua a crescere a tassi meno eclatanti che in passato ma pur sempre a due cifre (+11%). È comunque un dato di poco conforto visto che anche una piattaforma che si era sempre dimostrata a prova di budget limitati, la radio, ha visto la raccolta contrarsi del 5%. La verità è che tutta la filiera sta facendo più fatica del previsto ad assorbire il prolungarsi della recessione, e solo ora è cominciata la vera lotta alla sopravvivenza, quella selezione naturale che porterà gradualmente e inevitabilmente alcuni player di tutti i comparti — dai canali Tv alle agenzie pubblicitarie, passando per le case di distribuzione fino ai centri media — a sparire da un mercato che non può più saziare tutti in maniera indistinta. Ne è convinto Luca Vergani, ceo di Mec Italia. Gli abbiamo chiesto cosa è cambiato per quelli che, come lui, sono i registi dell’allocazione delle risorse destinate all’advertising, e soprattutto in che prospettiva bisogna lavorare nei prossimi mesi alla luce di questi cambiamenti. Anche se fiducioso nella forza dei mezzi che i centri media (in particolare del suo, che, nato esattamente dieci anni fa dalla fusione di Mediaedge e Cia, ha cavalcato in pieno la rivoluzione digitale) hanno a disposizione, Vergani sa che non sarà facile.
Come pensa evolveranno le dinamiche del mercato pubblicitario italiano nel corso del 2013? È sempre più difficile fare previsioni. Certo, provare a farlo, e al meglio, è il nostro lavoro. Ma è sempre più complesso, per due fattori. Innanzitutto la crisi, per cui le aziende cercano di stabilire la pianificazione quando hanno il maggior numero di informazioni, ovvero il più tardi possibile. In secondo luogo, le innovazioni tecnologiche e la sempre maggiore flessibilità sviluppata dagli editori, che fanno sì che l’investitore possa decidere di andare on air nel giro di pochissimi giorni. E, fatta eccezione per le affissioni e il cinema, e i periodici, naturalmente, che necessitano di tempi più lunghi e incomprimibili, possono coprire qualunque mezzo in tempi rapidissimi. In pratica, oggi è diventato possibile andare on air entro una settimana dalla pianificazione, ed è al tempo stesso un’opportunità e una necessità di mercato, che non implica una ridotta strategia, ma una minor sicurezza degli investimenti. Per rispondere alla sua domanda: no, non mi aspetto che l’anno prossimo da questo punto di vista ci siano cambiamenti drammatici. La speranza, l’augurio, è che ci sia una crescita tendenziale. Perché con tutti i meno di quest’anno, onestamente peggio di così può solo diventare un disastro… e poi ci sono ancora troppi player.
Troppi player? Su quali livelli della filiera? Su tutti. Se il mercato nel complesso si comprime e fa -10, significa che l’intero sistema sta cambiando non solo nella dimensione, ma anche nella forma.
Il perdurare della crisi non ha comportato una selezione naturale? Sta cominciando ora: nel cinema ci sono forti scossoni, l’affissione è molto cambiata, per la prima volta anche la radio è toccata dalla crisi, mentre quello che sta succedendo alla Tv è sotto occhi di tutti. Specialmente rispetto al piccolo schermo assistiamo a un fenomeno radicale: fermo restando che Rai e Mediaset restano imprescindibili per i volumi delle audience, i consumatori in Tv stanno cambiando le loro abitudini di fruizione. E dopo l’esplosione del digitale terrestre, ora ci sono parecchi canali che lottano per la sopravvivenza. È lì che ci sarà la selezione più dura. Molte emittenti non riusciranno più a essere sostenibili dal punto di vista economico, e il loro numero si ridurrà drasticamente.
Sembra essere un fase di transizione interminabile, quando pensa che si assesterà la situazione? Ci sono mercati simili al nostro con cui stabilire un paragone? Guardando alla Spagna, per esempio, che ha realizzato il passaggio al Dtt in una sola notte in tutta la nazione, abbiamo osservato che le audience si sono consolidate dopo sei mesi, e solo a quel punto il mercato si è rimodulato. Direi che anche noi cominceremo a conoscere un assestamento a partire da sei mesi dopo l’ultimo switch-off.
Molti ne parlano, ma nessuno o quasi agisce: a questo punto l’Auditel non sarà del tutto obsoleto? Non servono nuove forme di misurazione delle audience? Assolutamente sì. E l’elaborazione di nuovi strumenti di misurazione fa il paio con la nostra mission aziendale, che è proporci non più come semplice centro media, ma come business partner dei clienti. Parliamo sempre meno di metric media, e sempre più ci diamo a monte degli obiettivi di business e misurando poi a valle le campagne attraverso le vendite, oppure metriche legate all’awareness dei brand. Naturalmente dipende dai mercati e dalle aziende prese in considerazione. Oramai organizziamo le attività sfruttando indicatori molto prossimi al business o addirittura di business vero, come per l’appunto le performance di vendita.
Risultati a medio termine per pianificazioni a brevissimo termine. Non è un’incongruenza? No, anzi. Oramai abbiamo dati sulle vendite disponibili quasi in tempo reale, o comunque utile per fare scelte rapide. Queste informazioni sono fondamentali per capire su quali parametri vado a organizzare la campagna, poi applichiamo tecniche di derivazione digital, generalmente sviluppate a partire dal Web, per affinarla.
Per esempio? Le tecniche behavioural. Ovvero pianifico un mezzo non tanto perché il potenziale cliente è all’interno di un cluster predefinito attraverso strumenti sociodemografici, ma lo scelgo analizzando il tipo di comportamento del mio target. Indipendentemente dalle sue caratteristiche, se ha avuto un certo tipo di navigazione online, l’utente può essere appealing per il mio prodotto e gli faccio vedere il banner. È così che funziona sul Web. Ma lo stiamo gradualmente portando su altri mezzi, e negli Usa ci sono già esperimenti condotti sulla Tv.
E per quel che riguarda il panorama italiano? Grazie alla presenza nelle case italiane dei decoder, potrebbe diventare altrettanto semplice tenere traccia della navigazione dell’utente, ovvero del percorso di fruizione che ha avuto il telespettatore. Ma è possibile anche accedere ad altri tipi di informazione, come gli orari dedicati alla Tv, la composizione del nucleo familiare, il tipo di interazione. E se riusciamo a misurare anche la televisione con queste logiche, potremmo arrivare a far vedere in due case diverse due spot differenti nello stesso istante e sullo stesso canale. Posso, per esempio, trasmettere lo spot di un alimento animali sullo schermo di una famiglia che possiede un cane o un gatto e quello di un’altra categoria merceologica laddove non ci sono animali. Questo significa minor dispersione delle risorse. Non è buying. Semplicemente non sparo nel mucchio col cannone, ed efficiento la campagna.
Entro quando pensa sarà possibile lavorare così? Mi auguro tra uno o due anni.
Comporterà anche un’evoluzione nel “paniere” degli investitori pubblicitari? Non credo. Finora non ci sono stati stravolgimenti nel ranking delle categorie che investono in comunicazione. L’automotive, il food, la cura personale ci sono e ci sono sempre stati, la finanza rimane l’eterna attesa, visto che non ha ancora definito il ruolo strategico della pubblicità. Forse qualche cambiamento me lo aspettavo e me lo aspetto ancora rispetto al settore dei giochi e del gambling, ma bisogna prima vedere cosa stabilirà la nuova legge in tal senso. Probabilmente continuerà a crescere un comparto più trasversale, che usa la tecnologia come facilitatore: è al mondo delle aziende che propongono online servizi di vendita legati a beni personali (Zalando, uno su tutti), case, viaggi ed elettronica di consumo.
Credits Images:Luca Vergani