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Gusto

Vino d’abbazia

Alla scoperta delle migliori etichette d’Italia, frutto del profondo legame tra viticoltura e ordini monastici

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Il vino in Europa e nel mondo ha sempre avuto un profondo e inscindibile legame con il cristianesimo perché incarna nella liturgia cattolica il sangue di Dio ed è l’elemento cardine nello svolgimento della messa. Gli stessi monaci ne sono stati produttori e difensori della produzione ai tempi delle invasioni barbariche nella nostra Penisola. Non dovrebbe sorprendere, quindi, la presenza sul mercato di molti vini prodotti all’interno di abbazie, conventi e altri luoghi di culto. In Toscana c’è persino una Doc, la Sant’An- timo a Montalcino, che prende il nome dall’omonima abbazia e che indica la produzione di vini da vitigni internazionali diversi dal classico sangiovese (citiamo in questo caso i profumati e ricchi Olmaia di Col d’Orcia e Summus di Banfi). L’abbazia di Sant’Antimo, tuttavia, non produce vino e si limita a dare il nome alla zona, mentre la vicina Abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Si) conta su un’azienda agricola enorme: 850 ettari da cui nascono ceci, farro, grappe e liquori, ma il cui fiore all’occhiello è il Grance Senesi, un vino a base sangiovese, che prende il nome dalle fattorie fortificate con funzioni di granai e magazzini di vaste tenute agrarie di proprietà dell’Ospedale Santa Maria della Scala. Sempre in Toscana, nel grossetano, troviamo la comunità monastica di Siloe che produce, oltre a ortaggi, confetture e legumi, La Grangia, un ciliegiolo Doc della Maremma (solo 3 mila bottiglie).

Più vicino a Firenze, troviamo il vino del Podere La Poggerina, che viene prodotto dai discendenti dei Frati Servi di Maria su 15 ettari vitati. Molti di questi vini sono reperibili online grazia al lavoro di Cristiano Ciancamerla, che dal 2004 li raccoglie nel portale Terra in Cielo – Emporio Monastico insieme a tanti altri prodotti realizzati dai monaci in tutta Italia.

Tra le più note abbazie e cantine commerciali c’è sicuramente l’Abbazia di Novacella in Val d’Isarco (Bz), dove 22 monaci curano ben 25 parrocchie, trovando anche il tempo per supervisionare la produzione di molti vini. Nella linea “Insolitus”, è da poco uscito l’Hora Sylvaner Orange, un sylvaner di quota (720 mt slm) in località Rasa. Non ci spostiamo di molto per incontrare la cantina convento Muri Gries a Bolzano: nel vigneto Klosteranger i benedettini producono un Lagrein di respiro internazionale e profonda territorialità. Anche in Veneto troviamo un vino di altissimo livello: l’Harmonia Mundi. Prodotto da Padre Antonio, con la supervisione di Celestino Gaspari dell’immaginifica cantina Zymè, questo vino nasce dal vigneto urbano di San Francesco della Vigna a Venezia con uve Teroldego e Refosco dal peduncolo rosso.

Sempre in Veneto, l’Abbazia di Praglia sui Colli Euganei è abitata dalla più grande comunità monastica d’Italia e le origini della sua vigna pare risalgano al 1130. La prima vendemmia “restaurata” è del 2011, i 12 ettari di vigna dalla pianura risalgono le colline con varietà autoctone e internazionali, offrendo prodotti come il Domnus Abbas, da uve Chardonnay, Garganega e Raboso in parti uguali, e il Sollemnis, Moscato Fior d’Arancio vinificato in versione secca. Nel Lazio incontriamo forse il più famoso di questi vini, ovvero il “vino delle monache” Coenobium – un bianco da uve Trebbiano, Malvasia e Verdicchio – e il Coenobium Ruscum, macerato arancione e perfettamente in linea con le bevute migliori del genere. L’azienda che li produce è il Monastero Trappiste di Vitorchiano, nel Viterbese. In Liguria i padri Carmelitani scalzi producono molti prodotti per la cura della persona, ma anche un notevole Vermentino da vigne terrazzate nell’azienda Monte Carmelo di Loano. Gli stessi frati sono attivi anche a Venezia, dove gestiscono un brolo sperimentale nei pressi della chiesa di Santa Maria di Nazareth: nel vigneto-giardino vengono coltivate 21 nuove varietà antiche di Venezia, che finiscono nel bianco Ad Mensam e nel rosso Prandium.

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