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Ve la dò io la Confindustria
“Non ha visione, è una casta come le altre e spesso difende il passato per paura del futuro”. Così Filippo Astone, autore de Il partito dei padroni, spiega cosa non va nella più importante organizzazione imprenditoriale italiana
Il 26 maggio scorso, per la prima volta nei 100 anni di storia di Confindustria, il protagonista dell’assemblea privata riservata ai soci è stato uno scrittore e giornalista. Un cronista di nome Filippo Astone, autore de Il partito dei padroni. Come Confindustria e la casta economica comandano in Italia, un documentato pamphlet di 380 pagine pubblicato da Longanesi sulle responsabilità di Confindustria e delle élite economiche nella conduzione del Paese. Anche a lui si riferiva la presidente Emma Marcegaglia, quando, con voce rotta dall’emozione, ha esordito dicendo «È in corso un attacco alla libertà e all’indipendenza di Confindustria. Ma noi ci difenderemo». Così Astone si è guadagnato il soprannome di Grande Accusatore dei Padroni.
E quali sarebbero le responsabilità delle élite imprenditoriali nel declino del Paese?
Intanto diciamo subito che le élite economiche hanno le medesime colpe delle élite politiche e sindacali. Quello che ho dimostrato è che le responsabilità sono diffuse, e che in Italia non esiste solo la casta politica, ma che tutta l’Italia è dominata da tante caste intrecciate e confuse fra loro, che sono inefficienti, prive di idee nuove, tese solo alla perpetuazione del loro potere, autoreferenziali e molto costose. Questo non significa che ciascuna categoria è una casta, ma che c’è un casta dentro ognuna. In questo panorama la Confindustria non fa eccezione.
Avranno anche qualche merito. O no?
Io riconosco all’attuale vertice della Confindustria alcuni meriti. Come aver sostenuto la battaglia dei confindustriali siciliani in favore della legalità, che ha fatto scuola in tutto il Paese. Battaglia sulla quale io mi soffermo lungamente, esponendone la genesi, le difficoltà e i risultati. E pubblicando per la prima volta la lista – con tutti i nomi e i cognomi – degli industriali siciliani espulsi da Confindustria per mafia. O aver compiuto passi avanti nella riduzione costi della sede centrale di Confindustria, l’unica che dipende dal presidente Marcegaglia in prima persona. Scrivo anche che le inchieste a carico della Presidente e dei suoi famigliari porteranno, probabilmente, a un nulla di fatto. Ma il punto vero è che la Confindustria, non solo quella odierna, ha la responsabilità di non avere alcuna idea nuova per lo sviluppo del Paese. Pensa di salvare la situazione scaricando i costi della crisi sui giovani, gli operai, i precari, sulle fasce più deboli della popolazione.
Perchè dice “i collaboratori della Marcegaglia”?
Perchè credo che la presidente non abbia letto il libro, altrimenti non si sarebbe espressa in quel modo. La mia impressione è che alcuni collaboratori della presidente Marcegaglia le abbiano fatto credere che il mio libro sia un attacco manipolato dal suo grande rivale nelle battaglie di potere interne all’associazione, e cioè Luca Cordero di Montezemolo. E che lei, in buona fede, ci sia cascata.
In effetti è ciò che si pensa…
Ma no. Assolutamente no! Il capitolo dedicato a Montezemolo non è delicato. Racconto di come è stato cooptato da Gianni Agnelli. I successi della Ferrari e la grande visibilità e incisività che ha avuto Confindustria quando lui la presiedeva. Ma anche la sua recente perdita di potere, il progetto politico che sta dietro la sua fondazione Italia Futura, e gli scivoloni giovanili.
Da dove nasce la voglia di desacralizzare la Confindustria?
Nasce dal fatto che non ha niente di sacro! E quindi deve essere raccontata come tutte le altre realtà umane, senza pregiudizi negativi né inutili timori reverenziali. Togliere dagli altari qualcosa che non ha nessuna ragione per starci mi diverte molto.
Nel libro si sofferma sul gigantismo e i costi di Confindustria che sarebbe una macchina più complessa addirittura del ministero degli Esteri. Ma è la stessa Confindustria che punta il dito contro gli sprechi della politica?
È così. Io descrivo questa realtà per evidenziare come Confindustria è del tutto simile alla cosiddetta “casta” politica che attacca tutti i giorni. Anzi, ne fa parte a pieno titolo, ed è organizzata come un partito, con tanto di divisioni, lotte intestine, trame di corridoio e la presenza di un apparato di mandarini. Ma il punto non sono i costi.
Ah no? E qual è?
Il primo è, come ho detto, l’assenza di visione. Il secondo è che Confindustria non è una istituzione al di sopra delle parti, come cerca di presentarsi. Il terzo è che il discorso a senso unico della casta non è altro che l’ennesima manipolazione politica, che ha precise finalità.
Quali?
Far passare un’ideologia antipolitica e liberista che porti alla privatizzazione degli enti pubblici locali, una torta gigantesca, che potrebbe finire nelle mani dei soliti noti, e dei servizi essenziali come l’acqua. La fine dei contratti collettivi di lavoro, una crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, la morte del welfare state e altre cose di questo genere, con costi sociali enormi nel senso che se si riduce il potere d’acquisto dei lavoratori, crolla anche la capacità di comprare le merci prodotte dalle imprese.
Come commenta le sortite del Presidente della Unione industriali di Roma, Aurelio Regina, contro Emma Marcegaglia?
Questo dimostra che esiste una guerra politica interna a Confindustria per la successione. Il prossimo presidente sarà importante anche in vista delle elezioni politiche alle quali si vorrebbe presentare in qualche modo anche l’ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. Ora, è del tutto evidente che le esternazioni di Regina – legatissimo all’ex presidente di Confindustria, tanto da presiedere, per esempio, la società dei sigari toscani della quale Montezemolo è socio di riferimento – sono una mossa tattica nell’ambito di questa guerra politica. E Regina è uno dei due possibili candidati montezemoliani per la successione. L’altro è l’industriale bergamasco Andrea Moltrasio.
Ma gli industriali sono tutti conservatori e cattivi?
Nel mio libro io parlo solo dell’élite che domina l’associazione che non coincide affatto con la base economica del Paese, con gli imprenditori che tengono in vita l’associazione. Non mi riferisco certo agli imprenditori in genere, che sono la forza motrice della società. L’imprenditore, a mio avviso, è quello che descriveva il grande sociologo Joseph Schumpeter, un soggetto che rischia il suo capitale nella costituzione di progetti innovativi e che, se lavora bene, vede premiato il suo rischio. Di imprenditori così è piena l’Italia. Solo che, purtroppo, non esprimono la maggioranza che guida attualmente, e ha guidato in passato, la Confindustria. Ma non è detto che la situazione prima o poi non cambi. Alcuni segnali sono molto incoraggianti. Come la rivoluzione siciliana. Ad animarla ci sono imprenditori come Ivan Lo Bello e Antonello Montante, che guidano aziende che competono grazie all’innovazione di prodotto e di servizio, non hanno bisogno di aiuti dallo Stato, rischiano ogni giorno il loro capitale e competono sui mercati internazionali. Un esempio per l’Italia intera.
Credits Images:Filippo Astone