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Tolstoj, il ricco che amava i poveri

Grande proprietario terriero oltre che scrittore di fama mondiale, Lev Tolstoj espresse chiaramente nelle sue opere una posizione critica nei confronti della sua stessa classe di appartenenza, proponendo una soluzione personalissima per il futuro economico della Russia

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Probabilmente chi ha letto Guerra e pace o Anna Karenina, preso dalle lunghe vicende dei loro numerosi protagonisti, non si è più di tanto soffermato a riflettere sulle opinioni di tipo economico e sociale che il loro autore espresse con chiarezza nel corso di queste opere. E non pensiamo tanto ai palesi ragionamenti sul significato della Storia che Tolstoj mette diffusamente per iscritto nel primo dei suoi due romanzi più celebri, quanto alle idee che fa manifestare ai personaggi e che, in realtà, rispecchiano il suo stesso pensiero. Perché lui, Lev Nikolaevic Tolstoj, figlio di aristocratici possidenti rimasto orfano in giovane età, nel corso della sua vita rifletté a lungo su questi temi, al punto da impegnarsi a scrivere anche veri e propri saggi. Ma per capire al meglio la sua posizione, bisogna prima fare un piccolo passo indietro.

POSSIDENTE ILLUMINATO «I rappresentanti della classe dei proprietari terrieri, prima dell’abolizione della servitù della gleba avvenuta nel 1861, vivevano di una rendita procurata dagli amministratori dei loro possedimenti, dei quali ignoravano il vero reddito», spiega Fausto Malcovati, presidente del comitato scientifico dell’Associazione Italia Russia nonché slavista di fama internazionale. Tolstoj non era da meno, anche perché in un primo momento era anche impegnato nella carriera militare. Fu dopo l’assedio di Sebastopoli, nel 1855, che si ritirò nella sua tenuta e iniziò a occuparsene. «Fu lì che avvenne la sua prima presa di coscienza della situazione economica, in particolare delle condizioni di vita dei contadini», prosegue Malcovati. «Si rese conto che la servitù era un assurdo, non solo storicamente ma anche dal punto di vista economico, perché portava con sé la totale passività dei proprietari terrieri. Maturarono in lui idee chiare sul futuro della sua classe di appartenenza, idee che espose solo pochi anni dopo in Guerra e pace». Benché, infatti, in quest’opera la questione non sia particolarmente sviluppata, se non per il fatto che la maggior parte dei suoi protagonisti sono grandissimi latifondisti (uno di loro non conosce nemmeno i confini dei suoi possedimenti…), c’è un passaggio in particolare in cui la voce di Tolstoj risuona nelle parole del principe Andrej Nikolaevic Bolkonskij. Di fronte a un ingenuo Pierre Bezuchov che, preso da spirito umanitario, intende donare case migliori, un ospedale e molto altro ai contadini, Andrej afferma con decisione che la vera soluzione non è “fare beneficenza” e migliorare in maniera esteriore la vita dei contadini, ma rendere meno bestiale e gravoso il loro lavoro.

TRE ESEMPI

Ma è in Anna Karenina che Tolstoj sviluppa il tema in modo più approfondito. «Nel romanzo sono almeno tre le situazioni in cui si riflettono chiaramente le sue idee economiche», chiarisce Malcovati. «Il primo esempio è Stiva Oblonskij, il tipico proprietario terriero che vive al di sopra dei propri mezzi e deve intaccare il patrimonio. Questo è un atteggiamento che Tolstoj condanna in maniera violenta». In sostanza il personaggio di Oblonskij sta a rappresentare tutta quella parte di aristocratici possidenti che sta dilapidando le proprie ricchezze, perché non è in grado di controllare le proprie uscite. «Una strada che porta all’eliminazione di una classe di proprietari incompetenti. All’opposto c’è l’esempio fulgido del proprietario terriero presso il quale uno dei protagonisti, Konstantin Dmitrevic Levin, si ferma andando all’elezione del Maresciallo della nobiltà. Qui emerge un concetto utopistico che Tolstoj svilupperò più ampiamente in altri scritti a venire: questo possidente sostiene di riuscire ad amministrare bene la sua proprietà perché non ha più terra di quanta possa coltivarne con il numero di contadini a sua disposizione». Terza e ultima tipologia di aristocratico descritta da Tolstoj è Levin stesso. «Levin è il proprietario cosciente dei problemi, quello che sbagliando cerca di modernizzare la produzione scontrandosi con le resistenze dei contadini, che ancora sbaglia mettendosi a falciare con loro, perché non sa farlo e in più quello non è il suo mestiere ». In sostanza Levin rappresenta lo stesso Tolstoj (come confermato dal cognome Levin che richiama il nome dello scrittore), un proprietario che impara, di errore in errore, di non poter imporre ai contadini un ammodernamento che non sono pronti ad accettare, ma che cerca di alleggerire il più possibile il loro lavoro affinché possano vivere meglio.

Altre opere interessanti per comprendere la visione economica di Tolstoj

Esattamente quello che il principe Andrej sosteneva in Guerra e pace. «Inoltre Tolstoj mette in luce come un grande latifondista sia comunque destinato a dipendere da situazioni esterne: anche Levin, come gli altri, dipende dagli amministratori che, benché non disonesti, lo rendono succube di una situazione che non può controllare», spiega il professore. «Levin è l’esempio di come Tolstoj sia irritato da questa situazione, senza però poterci fare nulla, perché ha troppa terra per poterla amministrare da solo come il suo amico virtuoso. Tolstoj in Levin proietta, in fondo, se stesso come colui che sa di avere troppo, di essere troppo ricco. La sua tendenza era quella di sentire la proprietà e la ricchezza come un peso che gli impediva una vita secondo i criteri che avrebbe voluto». Un punto di vista che, estremizzandosi, alla fine della sua vita lo porterà ad abbandonare casa e famiglia per viaggiare verso la Crimea su treni di terza classe e morire di polmonite nella stazione ferroviaria di Astàpovo. Da segnalare, nel racconto di come Levin studi a fondo l’economia, la citazione di un autore come John Stuart Mill – letto «per primo con grande entusiasmo» – che nel periodo in cui venne scritto il romanzo rappresentava la massima autorità in materia, grazie al successo del volume Principi di economia politica pubblicato nel 1848. Citazione che testimonia la conoscenza degli autori più in voga del momento da parte di Tolstoj.

RITORNO ALLE ORIGINI Per comprendere il punto di vista di Tolstoj risulta prezioso anche l’epilogo di Anna Karenina. «Contiene il suo pensiero non solo economico ma anche etico», osserva Malcovati. «Quello cui aspira, almeno a quel tempo, è un modello illuminato di vita patriarcale, ben rappresentato dal rapporto che Levin ha con i suoi contadini. È proprio parlando con loro arriva anche a chiarire il suo concetto di fede, scoprendo Dio in un rispetto profondo della natura tipico dei contadini. È molto importante la considerazione che Tolstoj aveva per il nucleo contadino della Russia». Tutte idee che il celebre scrittore cercò di mettere in pratica nel corso della sua lunga vita. Basti pensare che, quando dopo l’abolizione della servitù della gleba fu scelto come giudice di pace, venne ben presto allontanato dalla carica perché si pronunciava sempre a favore dei contadini, a scapito dei suoi pari. Si distinse inoltre per l’impegno sociale, al punto da entrare apertamente in conflitto con la burocrazia zarista, per esempio per la volontà di gestire direttamente i fondi raccolti per i contadini in occasione delle carestie. «Fu solo il suo prestigio internazionale a impedire che venisse arrestato e messo a tacere», conclude Malcovati.

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Lev Nikolaevic Tolstoj © GettyImages