Stile
Sigaro Cubano o sigaro Toscano? L’eterno dilemma
Secondo i puristi del sigaro sono le uniche due scelte “accettabili” quando si parla di qualità. Un duello che prosegue da tempo immemore ma è destinato a non avere un vincitore, perché è impossibile decretare quale sia il migliore. È tutta questione di gusti

I puristi del sigaro teorizzano l’esistenza di due macro-categorie, dalle quali sono concesse rare evasioni. La scelta di campo presenta due grandi opzioni: Toscano oppure cubano. Ovvero, i due prodotti-icona che hanno fatto la storia. Le nuove tendenze, che si manifestano nei sigari al caffè, alla vaniglia o al limoncello, vengono lasciate ai pur numerosi sperimentatori. Per i puristi ci sono soprattutto i due pezzi da novanta, nelle molteplici versioni di ognuno: Toscano – con la “t” maiuscola, in quanto marchio – o cubano. «Un sigaro deve sapere di tabacco», ammette l’esperto Raffaele Rosmini, coordinatore nazionale di segreteria di Cigar Club Association – l’associazione che riunisce oltre 70 club e migliaia di appassionati in Italia e all’estero – e presidente del Cigar Club Valtiberino. Precisata la premessa, s’innesca il dilemma che accompagna il settore da 200 anni. Quale dei due è migliore? «Impossibile stabilirlo. È questione di gusti». Considerazione che serve a spiegare come i due “antagonisti” siano profondamente diversi. Sarebbe come chiedersi se fossero più bravi i Beatles o Rolling Stones. Non c’è una verità, ma solo opinioni.
Le differenze tra sigaro Toscano e cubano
«La prima differenza», ragiona Rosmini, «è nel tabacco. Quello utilizzato per il Toscano è il Kentucky coltivato in Italia, mentre le varietà del cubano, più dolci, vengono dall’isola caraibica. Lì le metodologie sono diverse, c’è un disciplinare quasi maniacale». Diversità produttive, di composizione, ma anche morfologiche e organolettiche.
Il cubano, detto anche puro habano, l’avana, perché tutte le componenti sono prodotte, coltivate e manufatte a Cuba, è un long filler: è realizzato con foglie di tabacco intere e la varietà utilizzata per il ripieno è detta criollo, mentre per la capa (la parte superficiale) e il capote (la sottofascia, che non c’è nel Toscano) si sceglie la varietà corojo. Le foglie terminali della pianta, più potenti e ricche di nicotina, sono dette ligero, quelle intermedie (seco) sono più aromatiche e le foglie più vicine a terra (volado) hanno un’ottima combustibilità. Le differenze tra i mix generano le tipicità, alle quali sono abbinate le marche: Cohiba, Montecristo, Partagás, H. Upmann, Hoyo de Monterrey e Romeo y Julieta le più note.
La storia del cubano, di cui si hanno tracce già nel Cinquecento, è legata anche a quella della Rivoluzione cubana: con l’avvento del regime castrista – Fidel era fumatore di Cohiba, marca fondata nel 1966 e che fino al 1982 è stata destinata in esclusiva a lui e ai diplomatici in visita – le imprese di tabacco vennero nazionalizzate; seguirono l’embargo americano, la chiusura di diverse fabbriche, il tentativo di rilancio e la creazione della società Habanos, nata nel 1994 dalla separazione delle attività del monopolista di Stato, Cubatabaco. Oggi Habanos (il 50% è ancora di Cubatabaco, l’altro 50% appartiene alla multinazionale Altadis) detiene il monopolio della produzione e vendita dei sigari cubani con i diversi marchi. Diadema è la società distributrice in Italia, nella totalità delle marche: Milano e Roma vantano “La Casa del Habano”, da Nord a Sud si contano oltre 300 tra tabaccherie con “Specialisti Habanos” e “Habanos Point”, più quelle tradizionali. Sono oltre 2 milioni i pezzi distribuiti ogni anno da Diadema – il cui giro d’affari si attesta intorno ai 18 milioni di euro annui – in Italia: ognuno arriva da Cuba ed è realizzato totalmente a mano.
Sigaro Toscano: 200 anni di storia
Anche la storia del prodotto made in Italy è antica: nel 1815, nella manifattura di Firenze, una partita di tabacco – lasciata a essiccare al sole estivo – venne bagnata da un acquazzone e venne usata per produrre sigari di basso costo. Fu subito un successo, l’acqua fece fermentare il tabacco donandogli un gusto nuovo. Nel 1818 cominciò così la produzione. Poi la svolta molto tempo dopo, nel 2006, quando il gruppo Maccaferri (la famiglia è socio di maggioranza) rilevò dalla British American Tobacco il ramo d’azienda che produce e commercializza sigari toscani, dando vita all’attuale Manifatture Sigaro Toscano. Oggi l’azienda – con circa 250 tabacchicoltori, 1.800 addetti, un centro di sviluppo a Foiano della Chiana e 2 manifatture (Lucca e Cava de’ Tirreni) – fattura 103 milioni e sforna 210 milioni di pezzi all’anno di cui 2 milioni a mano.
Il tabacco Kentucky – di origine americana – arriva da Toscana, Campania, Lazio, Umbria e Veneto. È determinante, per i sigari lavorati a mano (altri sono realizzati a macchina), il contributo delle sigaraie che diventano tali dopo un lungo periodo di formazione. Un lavoro che è «rimasto pressoché identico da più di 200 anni e spesso viene trasmesso di madre in figlia», recita il sito internet della società che produce uno dei simboli dell’eccellenza del made in Italy nel mondo. Un esempio di artigianalità tutta italiana e un prodotto unico: il gusto pieno è determinato dalla particolare tecnica di fermentazione del tabacco, che prevede periodi di stagionatura lunghi, e la forma tronco-conica irregolare (da qui il famoso soprannome di “stortignaccolo”) lo rende riconoscibile anche ai meno esperti. Ne esistono diverse varietà, da quelli fatti a mano (Originale, Originale Selected, Originale Millennium, il Toscano del Presidente) ai tradizionali (tra questi Antica Tradizione, Antica Riserva, Classico ed Extravecchio) passando per linea d’autore (Garibaldi, Soldati e Modigliani) e ammezzati (il Toscanello è la specialità della casa). Ma ci sarà mai un vincitore del “duello” tra Toscano e cubano? «Prima chi fumava l’uno snobbava l’altro», commenta Rosmini. «Oggi non è più così perché la crescita della passione porta con sé anche una voglia di maggiore conoscenza. No, non ci sarà mai un vincitore». Ed è questo il bello.
