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Musei d’impresa, dove la produzione si fa storia
Patrimonio inestimabile che il mondo ci invidia, i musei aziendali italiani, nati come esperienze autonome, oggi sono in buona parte riuniti in una delle reti associative più all’avanguardia a livello internazionale

Una ricca panoramica della storia produttiva, culturale e progettuale del nostro Paese e delle sue eccellenze nei principali settori del made in Italy – design, food, moda, motori, economia e ricerca –, ma anche un viaggio nell’evoluzione della società e dei costumi (e della tecnologia) visto attraverso piccoli e grandi oggetti d’uso quotidiano, macchinari aziendali, foto d’epoca e quant’altro rientri nel patrimonio delle società. È l’affascinante e – purtroppo – ancora poco conosciuta offerta dei musei d’impresa, una realtà che affonda le sue radici nel passato recente (una quindicina d’anni appena), ma può vantare ricchezze ben più antiche.
A OGNUNO LA SUA FORMULABenché l’obiettivo comune sia quello di far conoscere al grande pubblico la storia e i valori aziendali e, naturalmente, il loro rapporto con il territorio e la comunità in cui operano, il fatto che questi musei e archivi siano nati perlopiù come iniziativa autonoma dell’imprenditore, ha dato vita a formule molto differenti. Sia in termini costitutivi – ci sono realtà sostenute direttamente dall’impresa, altre governate da fondazioni o associazioni – sia organizzativi. Così ognuno ha le sue regole: c’è quello visitabile su appuntamento e quello con regolari giorni di apertura (anche se difficilmente si tratta dell’intera settimana), quello più tradizionale e quello che punta a sfruttare al massimo le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Insomma, si tratta di un mondo fatto di esperienze decisamente diverse tra loro, anche perché hanno il merito di rispecchiare fedelmente l’anima delle singole aziende.
DALLE AUTO ALLA LIQUIRIZIA Cosa aspettarsi dunque da questo patrimonio all’interno del quale, già nel 2003, la guida Turismo industriale in Italia del Tci annoverava oltre cento strutture? Basta dare un’occhiata agli associati di Museimpresa (l’associazione italiana dei musei e degli archivi d’impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria), che ne riunisce più di 50, per iniziare a farsi un’idea. Si spazia dai grandi nomi del food & beverage come l’Archivio storico Barilla, la Collezione Branca, o ancora la Galleria Campari e il Martini Visitor Center – da non perdere le locandine pubblicitarie d’epoca, spesso realizzate da artisti celebri, che testimoniano con forza i cambiamenti della società – al mondo dell’energia, ben rappresentato dagli archivi storici di Enel ed Eni, dalla Fondazione Aem, ma anche dall’Archivio storico e museo Italgas. E se tra i più noti e visitati ci sono certamente quelli dedicati ai motori, come il Museo Ferrari e quello della Piaggio, stanno acquisendo risonanza le esposizioni legate al mondo della moda e del design, eccellenze del made in Italy per antonomasia. È il caso delle strutture di Alessi, Kartell e Guzzini, così come del Museo Salvatore Ferragamo o di Casa Zegna. Tra le chicche da non perdere anche il Museo del Cavallo giocattolo (Artsana Group) e quello della Liquirizia “Giorgio Amarelli”, l’Aboca Museum e il Museo dell’Orologio da torre G.B. Bergallo. E se risulta davvero impossibile citarli tutti, altrettanto difficile è sceglierne solo alcuni da segnalare: ciascuno ha un suo valore inestimabile e a renderne uno più affascinante dell’altro, vista la loro diversità, sono principalmente i gusti e gli interessi personali.
APPROFONDIMENTI | |
QUANDO IL LAVORO DIVENTA ARCHEOLOGIA A volte poi, ci sono musei che della cultura industriale di un territorio servono a preservare solo (si fa per dire) il ricordo. È quanto sta accadendo, per esempio, nel biellese e nell’area di Prato, storicamente legate rispettivamente alla produzione laniera e tessile, e fortemente colpite dalla crisi. Non che i due distretti siano del tutto scomparsi, ma senza dubbio stanno affrontando molte difficoltà. In Piemonte, restano, anche per merito dell’alta qualità delle lane prodotte, colossi come Zegna, Loro Piana, Fratelli Piacenza e Visconti, accanto ad altre circa 800 aziende, ma prima della crisi erano circa 1.300. Anche peggiore la situazione a Prato. Il distretto tessile più importante d’Europa contava fino a 15 anni fa 13 mila telai contro i 2 mila di oggi, e le imprese sono scese da 5.800 a 2.900. Un bel colpo, non c’è che dire. In memoria delle glorie di un tempo e della lunga tradizione radicata in quelle zone, oltre alle aziende ancora in piedi, sono nati due interessantissimi musei. Nel biellese, l’ex Lanificio Zignone, oggi Fabbrica della ruota, ospita una mostra permanente sull’industria tessile, mentre a Prato è sorto il Museo del tessuto all’interno dell’ex cimatoria Campolmi. Un bel modo per non dimenticare che, però, lascia un po’ l’amaro in bocca.
Credits Images:Il Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli
