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Motori

Hypercar e supercar da sogno: la sostenibilità non è di moda

Sostenibilità, riduzione delle emissioni e dei consumi sono gli imperativi della nuova mobilità. Allora perché la crisi delle quattro ruote non sembra minimamente colpire le hypercar da sogno?

architecture-alternativo La Ferrari SF 90 XX stradale da 1.030 Cv, che costa 770 mila euro

Sostenibilità, transizione ecologica, effetto serra, mobilità individuale a rischio: l’auto soffre. Chi, tuttavia, non sembra patire queste crisi di sistema sono hypercar e supercar da 400 cavalli in su, elettriche o termiche. È vero, sono sportcar prodotte in pochi esemplari, ma tra Ferrari, Porsche, McLaren, Lamborghini, Maserati, Corvette e brand esotici vari si superano diverse centinaia di migliaia di pezzi all’anno, emozionanti da guidare, esclusivi da mostrare e parecchio inquinanti.

Con i motori termici, spanno-metricamente, le fuoriserie emettono in media da 250 a 400 grammi di CO2 per km, con le ibride ricaricabili oltre 100 grammi di CO2 per km. In tempi di Fit for 55 non sono certo noccioline. Quello che sorprende di più è il fatto che i costruttori di auto premium e i generalisti stiano lanciando una serie di modelli totalmente elettrici molto performanti. Kia Ev6 Gt spara 585 Cv e lascia di stucco in accelerazione Ferrari e Porsche, Mercedes Eqe Suv 43 Amg sfoggia 476 Cv, Bmw iX di più: 619 Cv; Tesla Model S Plaid addirittura 1.020 Cv, con un prezzo-base di 131 mila euro.

Potenze che si traducono in consumi di circa 3-7 km per kilowattora. Elementare allora porsi la domanda: ma le auto elettriche non sono le fondamenta della transizione ecologica? Cinquecento o mille cavalli che ci azzeccano con un veicolo che dovrebbe portare dal punto A al punto B grazie all’energia prodotta sfruttando il sole, l’acqua, il vento? O più semplicemente: ha senso progettare e costruire ancora oggi questi bolidi, anche elettrici?

Perché ha ancora senso realizzare Hypercar

La risposta di pancia è “certo che no”. La realtà, invece, ancora una volta supera il buon senso. Basta vedere quanto è successo al MiMo, il festival motoristico tenutosi all’Autodromo di Monza tra il 16 e il 18 dello scorso giugno: sono stati più di 60 mila gli appassionati che non si sono voluti perdere una parata di hypercar come l’Aston Martin Valkyrie da 1.160 cavalli, la Ferrari Roma da 620 cavalli per 206 mila euro, la McLaren Artura, 680 Cv, che richiede uno sforzo economico in più dato che di euro ne costa 236 mila, l’elegante Suv Maserati Grecale Trofeo, 530 cv per 117 mila euro…

Sì, è vero, si potevano anche effettuare test drive di vetture più convenzionali elettriche e ibride plug-in, ma a far girare la testa ai convenuti sulla pista brianzola sono state solo le superpotenze su ruote, alla faccia di ogni considerazione sulla nuova modalità sostenibile. Perché sognare, contrariamente a quanto avviene per acquistare le vetture classe platinum, non costa nulla e non solo in Italia è ancora ben radicata la cultura motoristica che classifica velocità e potenza come valori assoluti.

MiMo

Una foto dal mimo MiMo, il motor show di Milano e Monza

Ed ecco la prima risposta al perché dell’esistenza di modelli elettrici apparentemente assurdi: una vecchia legge del marketing dice che l’immagine di un marchio si assesta al livello del suo prodotto di maggiore prestigio, quindi Bmw, Mercedes, Audi, Volvo, Tesla e compagnia elettrificante piazzano le loro bandierine in cima all’Everest del mercato per illuminare di luce positiva i loro modelli, chiamiamoli così, di seconda fascia, restando ben contenti se trovano facoltosi clienti per i modelli più potenti (e cari) che garantiscono margini di guadagno da leccarsi i baffi.

Eppure, la politica manda segnali allarmanti: un nutrito plotone di città italiane, Milano compresa, stanno pianificando la riduzione del limite di velocità a quota 30 all’ora. Tentativi per ridurre i consumi e di conseguenza l’inquinamento, comunque, erano già stati fatti in epoche non sospette. Il “Decreto Ferri”, per esempio, entrò in vigore nel luglio del 1988. In pratica, riduceva a 90 km/h la velocità massima consentita su strade extraurbane e a 110 km/h quella sulle autostrade. Pensata come una sorta di moratoria in vista dell’esodo estivo, rimase in vigore per un anno. Limitare la varianza di velocità tra i vari tipi di mezzi è un bene sostengono gli esperti: consente di evitare numerosi incidenti. Così come ridurre da 130 a 110 km/h la velocità in autostrada vale risparmi di carburante dal 15 al 20%.

MiMo-motor-show-2023

Mentre Maranello svela la Ferrari monstre, la Sf 90 XX stradale da 1.030 cv e 770 mila euro, «un tentativo di diminuire la cilindrata dei motori in effetti c’è già stato», dice Aldo Ferrara, specialista in malattie respiratorie, Executive Manager all’European Research Automotive Medicine. «Era la filosofia dell’ibrido modulato: downsizing del motore termico fino al tricilindrico da 1.500 cc e potenza massima di 120 Cv per una produzione di 125/130 grammi di CO2 per km con batterie 48V. Lo scopo era quello di pervenire a un Full Hybrid alimentato dal motore».

Per Enrico De Vita, ingegnere meccanico, tra i fondatori del Movimento dei Consumatori, «potenze totali al di sopra dei 250 cavalli sono oggi anacronistiche, con i tanti autovelox voraci e per le colpe inflitte al subconscio dagli ambientalisti. Il marketing ne fa una bandiera, un numero da pubblicare, una news per vendere», dice De Vita. «Ma se guardiamo oltre, si vede che i cavalli termici in più servono a gratificare l’erario con una maggiore tassa di circolazione (3,67 euro ogni cavallo) e a consumare più carburante. Se poi sono kW elettrici, non pagano (per ora) il bollo, ma per via delle batterie pesano e durante le accelerazioni si auto-prosciugano». Insomma, oggi, 250 puledri nella schiena bastano e avanzano pure. Il resto, fate voi.

McLaren-Artura

McLaren Artura, auto da 680 cavalli


* Ha collaborato Nicole Berti di Carimate – Articolo pubblicato su Business People di settembre 2023, scarica il numero o abbonati qui