Motori
Auto elettriche in Europa: non è solo questione di incentivi
È un momento di svolta per il Vecchio Continente: al bando dei motori diesel e benzina dal 2035 si uniscono gli ingenti fondi stanziati dal Recovery Fund per accelerare la transizione alla mobilità sostenibile. Ecco cosa ci aspetta e come si stanno organizzando i diversi Paesi
I gruppi che producono mezzi di trasporto in Europa Unita sono tra i maggiori beneficiari del Recovery Fund, il piano di investimenti – 723,8 miliardi di euro – preparato dalla Commissione europea per sostenere le economie degli Stati membri dopo la pandemia. Come è noto, tra gli obiettivi del Piano c’è quello di accelerare la transizione ecologica verso una mobilità sostenibile e i mezzi di trasporto che usano motori termici sono da tempo nel mirino di iniziative politiche che con il passare degli anni ne limiteranno la vendita fino all’uscita dal mercato nel 2035.
Diverse sono le strategie attraverso le quali i Paesi beneficiari dei soldi del Pnrr intendono investire queste risorse. E anche l’ammontare dei contributi è differente. La Spagna, che produce 2,5 milioni di vetture all’anno contro le 500 mila che invece si fabbricano in Italia, può usufruire di 23,9 miliardi di euro, il più alto contributo del New Generation Automotive a un Paese dell’Ue. A oggi, il piano spagnolo prevede investimenti per 9,3 miliardi di euro sulla mobilità sostenibile, sicura e connessa in ambienti urbani e metropolitani. Altri 7,7 miliardi distribuiti a pioggia su strade interregionali e autostrade aumenteranno la sicurezza e la qualità dei viaggi sulle strade spagnole che, grazie ai contributi europei del passato, hanno già fatto notevoli passi avanti.
Naturalmente un’attenzione particolare sarà riservata alle colonnine di ricarica e ai sistemi elettronici di controllo della velocità. Da tempo in Spagna la velocità massima varia in base alla congestione del traffico. In alcune ore della giornata, i limiti si abbassano anche di 20 km per ridurre le emissioni di CO2 e prevedono multe ai trasgressori. Obiettivo dei fondi è anche il potenziamento dei corridoi e della rete di trasporto transeuropea, ai quali sono destinati quasi 3 miliardi. Più di 3,7 miliardi avranno il compito di aumentare la competitività industriale e la sostenibilità, con una particolare attenzione a garantire al settore automobilistico di non perdere posti di lavoro.
Con i 19 miliardi destinati all’Italia, il Pnrr rappresenta una grande opportunità di sviluppo economico e sociale, ma anche un gigantesco banco di prova per capire se la politica sarà in grado di agire nell’interesse pubblico. Alla transizione 4.0, che interessa la filiera dell’auto, tante pmi e la ricollocazione sul mercato del lavoro di molti occupati, è destinata la fetta più grossa, pari a 13,3 miliardi di euro. Duecentotrenta milioni, invece, andranno alla sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto su strada, 740 milioni sono destinati allo sviluppo di infrastrutture di ricarica elettrica, 1 miliardo per le energie rinnovabili e le batterie e 300 milioni agli autobus elettrici. Investimenti anche al Fondo per il programma nazionale di ricerca con 1,8 miliardi. Infine, 1,6 miliardi serviranno a rafforzare le strutture di ricerca e a creare eccellenze nazionali di R&S nel campo delle tecnologie abilitanti, che sono in pratica i Kets (Key Enable Technologies), strumenti, dispositivi e risorse interconnesse tra loro e con la rete Internet che, grazie a questa iterazione, permettono alle imprese di migliorare i processi, creando al contempo il valore aggiunto necessario per generare vantaggio competitivo. Un piano che guarda al futuro e a scongiurare in Italia il rischio di perdere posti di lavoro nella filiera dell’auto, che con lo stop ai motori termici nel 2035 o anche prima è reale.
«Sono 70 mila i posti di lavoro a rischio nell’industria automotive, legati alla produzione di componenti che non serviranno per l’elettrico», spiega il direttore dell’Anfia Gianmarco Giorda. «L’elettrico a oggi non è in grado di compensare la perdita di posti di lavoro, non basta costruire colonnine di ricarica o altri componenti. Servono piuttosto azioni per portare in Italia pezzi di filiera legati alla produzione di batterie per le auto elettriche». Che l’attuale mondo dell’automotive sia da proteggere è fuor di discussione. Secondo Motus-E, ente fondato con l’obiettivo di creare una piattaforma comune di dialogo tra tutti gli attori della filiera, dai gestori delle infrastrutture ai costruttori, il Fondo nuove competenze, previsto dal Pnrr, è da rimodulare poiché investe su conoscenze troppo generiche e quindi non è davvero utile alla riqualificazione dei lavoratori. Motus-E propone di modificarlo, prima aggiornando il database delle competenze ufficiale del ministero del Lavoro (Atlante Lavoro) e poi concentrando gli investimenti su nuove professionalità. Per esempio, istituire dottorati industriali con trattamenti contributivi di favore se le imprese che li finanziano alla fine del corso assumono gli iscritti o se il dottorato è volto a progetti di riconversione delle imprese (batterie, elettronica di potenza, nuovi metodi produttivi, eccetera). Ma anche trasformare gli istituti tecnici superiori istituendo percorsi formativi volti alla mobilità elettrica, utili alla formazione dei lavoratori che devono riconvertirsi.
Le ricette di Motus-E ricordano che nel quadro delle nuove professioni alcune competenze vanno importate. Lo si potrebbe fare offrendo stipendi elevati, una forte copertura contributiva e defiscalizzazione agli esperti, anche italiani, assunti dall’estero per recuperare il gap. Dopo Spagna e Italia, il terzo gradino del podio è appannaggio della Germania, che potrà contare su un contributo di 11,6 miliardi di euro dal plafond Fondo perduto.
Per ora i tedeschi hanno programmato la creazione di un’efficiente economia dell’idrogeno, attraverso lo sviluppo di una catena di valore europea per i sistemi di celle a combustibile. Inoltre, la messa in opera, l’espansione e lo sviluppo di infrastrutture rispettose del clima, investimenti in ricerca e sviluppo e promozione di azionamenti alternativi, carburanti e tecnologie pulite. Ma anche digitalizzazione e miglioramento dell’efficienza nell’area dell’ecosistema automobilistico KoPa 35c. Questo investimento mira a supportare i produttori di veicoli e l’industria dei fornitori che sono in un processo di trasformazione sostenibile, tecnologica e produttiva. Infine, rafforzare la presenza industriale europea nel settore dei semiconduttori lungo tutta la catena del valore.
In Francia sono 8 i miliardi di euro destinati alla mobilità sostenibile sui 40 del Pnrr. I progetti sono “work in progress” come avviene negli altri Paesi. Gli obiettivi abbastanza chiari. Per prima cosa investire per inventare e produrre in Francia i veicoli del futuro con un budget di 1,5 miliardi di euro. Poi 200 milioni di sovvenzioni per aiutare i subappaltatori nelle loro trasformazioni. Seicento milioni per aiutare le aziende operanti nell’automotive; 150 milioni a fondo perduto per auto verdi soprattutto a idrogeno.
Il Portogallo destina alla rivoluzione della mobilità solo 967 milioni, senza però rinunciare allo sviluppo di progetti solidi, con un forte contributo al miglioramento dei sistemi di trasporto pubblico. Come l’estensione delle reti metropolitane di Lisbona e Porto, la metropolitana leggera tra Odivelas-Loures, la linea Brt di Boavista e la decarbonizzazione del trasporto pubblico e privato. Non è però tutto oro ciò che luccica sotto il sole di questa torrida estate europea.
Sono tanti i nodi da sciogliere. Per esempio, usando la leva dell’impatto del Regolamento CO2 sul sistema italiano, la richiesta di allocazione preferenziale all’Italia del Just Transition Fund. «Perché è giusto che la transizione sia realmente supportata da politiche strutturali per lavoratori e imprese di settore», sostiene Francesco Naso, Segretario generale di Motus-E, «ed è opportuno che l’Italia e l’Europa lavorino insieme affinché questi aiuti vengano sfruttati nel modo più efficace». Il fondo, cui verrà destinato anche il ricavato delle sanzioni comminate alle Case auto che non rispetteranno i target, ha l’obiettivo di accompagnare le imprese nella transizione e supportare i lavoratori al raggiungimento delle competenze necessarie nel New Deal. Un altro spinoso tema riguarda la trasparenza dei dati. «Non si può accettare che la gestione delle risorse avvenga ancora senza garanzie di massima trasparenza», sostiene Naso. «Mancano meccanismi di consultazione dei cittadini per orientare le scelte politiche formulate nel Piano e su Italia Domani, la piattaforma online per verificare lo stato di attuazione del Pnrr, ci sono tanti documenti, ma mancano i dati disponibili in formato aperto, disaggregato e interoperabile, fondamentali per il monitoraggio». Ma non si tratta di un caso solo italiano: anche la Commissione europea e i Paesi che la formano non sono prodighi nella fornitura dei dati.
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