Connettiti con noi

Gusto

Miele, nettare d’oro

L’Italia ne produce quasi 60 varietà, tutte di alto livello, eppure continua a importarne dosi massicce (e spesso adulterate…) da Paesi come l’Argentina e la Cina. Ma apicoltori e associazioni di categoria non si danno per vinti. E sfidano dumping, pesticidi e variazioni climatiche ormai incontrollabili a colpi di marketing territoriale, sistemi bio e certificazioni ad hoc

architecture-alternativo

Gli Egizi pensavano che le sue goc­ce ambrate fossero nientemeno che le lacrime del Dio Sole Ra. Aristote­le lo definiva “sudore del cielo”, men­tre per Plinio era “l’umore segreto del­le stelle”. Solo qualche esempio stori­co e filosofico per indicare come, fin dall’antichità, al mie­le sia sempre stata attribuita un’origine divina. Convinzio­ne rafforzata anche dai molteplici usi a cui il nutriente ali­mento si è spesso prestato: da condimento a conservan­te e dolcificante ante litteram, fino a offerta votiva e dono propiziatorio. Meno risaputo, invece, che a tutt’oggi il pregiato netta­re costituisce un prodotto d’eccellenza nazionale. Qualche cifra? Con oltre 50 varietà prodotte dalle coste mediter­ranee ai crinali di Alpi e Appennini, 50 mila apicoltori, un giro d’affari da 60 milioni di euro (le stime salgono a 2,5 miliardi, considerando l’importanza che le api rivesto­no per settori come quello ortofrutticolo) e canali di ven­dita diretta utilizzati da quasi 20 milioni di italiani, la filie­ra che vi ruota attorno si presenta in buona salute e con in­teressanti opportunità occupazionali anche per i giovani. Specie per quanto riguarda il biologico: studi recenti, in­fatti, attestano che, con circa il 10% degli alveari trattati con criteri bio, l’apicoltura è il comparto zootecnico trico­lore che sfrutta tale metodo con più incidenza.

IL DOLCE E L’AMARO… Eppure, malgrado siamo ai primi posti nell’Unione Eu­ropea per la produzione di miele (circa 130 mila quin­tali l’anno), ne importiamo quantità anche maggiori (170 mila quintali); in testa ci sono Paesi come Argen­tina e Cina (che ormai rifornisce, in quest’ambito, il 40% del fabbisogno del Vecchio Continente). Specialmente da quest’ultima arrivano vasetti che contengono, accanto alla scarsa qualità, anche qualche insidia: la maggior parte vie­ne riempita, infatti, con miscele “tagliate”, ovvero allunga­te, con zuccheri del riso e derivati da pollini Ogm (secon­do un allarme lanciato dalla stessa Commissione europea). Ma com’è possibile tutto ciò? Una delle principali cause di tale fenomeno sono le continue variazioni a cui è soggetta la produzione annua, strettamente dipendente dagli sbal­zi ed eccessi climatici degli ultimi anni che colpiscono di­rettamente flora e fauna. «Nel 2012 abbiamo registrato un calo del rendimento del 60-65%. Ecco perché siamo co­stretti a importarlo da oltre confine. E, a fronte di minori quantità, è normale che il prezzo del nostro rincari, mentre quello del prodotto straniero è parecchio inferiore», spie­ga Vincenzo Buccheri, sindaco di Sortino (Sr) e presiden­te del network Le città del miele, una rete di oltre 50 co­muni sparsi lungo la Penisola che promuove la conoscenza di questo alimento e il suo consumo sulle tavole degli ita­liani. «Un chilo di nettare raccolto nel nostro Paese costa, in media, dai 7-8 ai 10 euro sugli scaffali; la stessa quantità proveniente da Argentina o Cina viene venduta, invece, a 4-5 euro. Praticamente la metà». Attraverso sagre e manifestazioni dedicate, fattorie didatti­che, percorsi informativi sull’apicoltura nelle scuole e per­fino concorsi nazionali di gastronomia, l’associazione gui­data da Buccheri si pone come obiettivo «la difesa di que­sta eccellenza nazionale, che a oggi conta almeno 56 va­rietà ottenute dalle acacie e dai castagni di Chatillon (Ao) agli agrumi e al timo dei Monti Iblei, nella Sicilia sud-orientale, fino al mirto e al cardo sardi. E qualcosa si sta muovendo, se consideriamo che nell’ultimo decennio, in Italia, si è passati da un consumo pro capite di 250 gr a 400 gr di prodotto». Gli usi di alcune varietà di miele

INNOVARE TUTELANDO AMBIENTE E CONSUMATORITuttavia, accanto a squilibri climatici e casi di dum­ping, l’apicoltura tricolore deve superare anche al­tri ostacoli. Lo sottolinea Francesco Panella, presidente di Unaapi, associazione di secondo grado che riunisce grup­pi presenti in 11 Regioni – prevalentemente nel Nord e nel Centro – e che rappresenta un quinto del comparto nazionale. «Grande responsabilità della sempre più fre­quente morìa di api e piante va ravvisata, in primis, nei pesticidi chimici, negli insetticidi killer (tra tutti, i neoni­cotinoidi, ndr) e in generale nelle tecniche aggressive adottate dall’agricoltura industriale». Nei mesi scorsi Panella ha inviato una lettera ai mini­stri (ora dimissionari) Clini (Ambiente), Cata­nia (Agricoltura) e Balduzzi (Salute) per richia­mare l’attenzione sull’importanza di un’apicol­tura non contaminata da Ogm. «Chiediamo alle istituzioni di darci la possibilità di fare mie­le che non sia corrotto da sostanze genetica­mente modificate. In questa direzione, la stra­da del biologico è interessante anche per il no­stro settore perché, tutelando la salute di fio­ri e api, oltre all’aspetto meramente etico, pro­pone una visione in prospettiva che è la vera chiave di volta per il futuro di tutto il sistema». Vero è che produrre miele “bio” comporta co­sti produttivi superiori, all’incirca del 30%, rispetto ai me­todi più tradizionali. Una maggiorazione che, comunque, si traduce in un incremento di prezzo affrontabile: non oltre il 10% per quanto riguarda la vendita al dettaglio. «È un’esigenza sempre più sentita dai produttori e sempre più richiesta dai consumatori, secondo una proficua dialet­tica tra le parti», conclude Panella.

SE IL BIO È ANCHE ETICO E proprio ai consumatori si rivolge Diego Pagani, pre­sidente di Conapi: «Leggete sempre bene le eti­chette di vasetti e barattoli. Che ci dicono molto su in­gredienti e provenienza del miele». In tempi recenti, specie in seguito ai controlli sempre più mirati di Nas e Guardia Forestale, è stato impresso un giro di vite al commercio di prodotti adulterati nel nostro Paese, ma l’attenzione e la prudenza non sono mai troppe. Racconta, per esempio, Pagani: «Mesi fa, nel porto di Na­poli, è stato sequestrato un carico di miele contraffatto di origine cinese ed etichettato in Spagna, pronto per essere immesso sugli scaffali della Gdo italiana come nettare biologico». Ça va sans dire… «Ci siamo costi­tuiti parte civile e il giudice ha accolto la nostra richie­sta. Proseguiremo su questa linea anche in futuro». Specializzato nella produzione di miele bio, commercializzato pre­valentemente col marchio Mieli­zia & Alce Nero, Conapi – che raggruppa circa mille imprendito­ri del settore, con quasi 15 milio­ni di euro di fatturato 2012, +10% sul 2011 – ha un’im­pronta etica molto forte. «In partnership con Slowfood portiamo avanti un progetto di sviluppo dell’apicoltura in Etiopia e collaboriamo attivamente anche con Li­bera Terra: molti dei nostri soci hanno donato gli al­veari ai terreni confiscati alla mafia». Da circa tre anni, poi, l’associazione è promotrice di un’iniziativa che vede coinvolto un gruppo selezionato di detenuti del carce­re bolognese Dozza, interamente finanziata da Conapi per quanto riguarda attrezzatura e apiario con cui tene­re i corsi di formazione. «È un mestiere che necessita di tempo per essere appreso, esigendo un alto grado di specializzazione; nello stesso tempo, può essere svolto in solitudine, non richiedendo il contatto con gli altri». Nel 2012 sono stati raccolti circa 400 kg di miele; l’an­no precedente, più favorevole come clima, 600 kg. Ol­tre al duro impatto con la realtà carceraria, cosa ricor­da Pagani di quella esperienza? «Una delle guardie che accompagnavano formatori e detenuti durante i corsi si è talmente appassionata che ha iniziato a dedicarsi al­l’apicoltura». E poi le impressioni che sono state raccol­te presso gli “apprendisti” della Dozza: «Alla fine è ri­masto affascinato da questo mondo anche chi, all’inizio, mostrava diffidenza». Un pensiero, tra tutti: «La bellez­za delle api è il loro essere libere», scrive un detenuto.

APPROFONDIMENTI

Api? Una danza cosmica

Miele, due ricette dello chef Simone Rugiati

La super-nera parla siculo