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Lunettes al museo
Dal 1.300 a oggi. La struttura di Pieve di Cadore (BL) passa in rassegna nascita ed evoluzione degli occhiali. Accanto alle migliaia di pezzi unici esposti, reperti e allestimenti multimediali testimoniano la fiorente produzione artigianale e industriale di lenti e montature nel territorio
Un viaggio lungo più di settecento anni, che prende le mosse dal basso Medioevo, quando si diffusero le prime lenti per correggere i difetti della vista di monaci e letterati, e prosegue con i primi studi scientifici sull’ottica, tra’600 e ‘700, fino ad arrivare ai vezzi modaioli delle classi più abbienti dell’800. Senza dimenticare, naturalmente, la nascita e l’espansione dell’industria moderna dell’eyewear, nel segno della migliore tradizione artigianale made in Italy in fatto di stile, eleganza e design.
Con i suoi oltre 2 mila pezzi in mostra, il Museo dell’occhiale di Pieve di Cadore, in provincia di Belluno, costituisce l’unica esposizione permanente, in Italia, legata alla storia, agli aspetti culturali e di costume e al valore economico di questa importante invenzione dell’ingegno umano.
«Il Museo è anche, in parte, una rappresentanza diretta del distretto dell’occhialeria cadorina», ha commentato a Business People la curatrice dell’ente, Laura Zandonella, «pertanto il suo legame con il territorio è inscindibile». Facciamo qualche passo indietro, tornando idealmente a metà del secolo scorso in quel di Pieve di Cadore, paesino situato in una conca tra le valli dei fiumi Boite e Piave, e circondato dalle Dolomiti.
In concomitanza con i Giochi Olimpici Invernali del 1956 fu inaugurata la prima Mostra dell’occhiale attraverso i secoli, poi riproposta tre anni dopo all’Università di Padova. Un’iniziativa lanciata dall’estro e dall’intraprendenza dell’eclettico studioso Enrico De Lotto, che in quell’ambito auspicò l’istituzione di un vero e proprio museo nazionale. Il sogno si sarebbe realizzato molti anni dopo la sua morte, anche grazie all’impegno di Vittorio Tabacchi, presidente della ditta locale Safilo e appassionato collezionista di occhiali, che si attivò per l’acquisizione di alcune importanti raccolte. L’azione congiunta della Regione del Veneto, della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno Ancona, della comunità montana e di altri enti provinciali e consorzi e associazioni di settore consentì l’inaugurazione del Museo dell’Occhiale a Tai di Cadore nel 1990.
La sua gestione fu inizialmente affidata al Centro Servizi Occhialeria, fino all’istituzione, nel 1996, della Fondazione Museo dell’Occhiale riconosciuta in seguito come onlus, tuttora attiva e presieduta da Vittorio Tabacchi. Nell’intento di dare una collocazione più adeguata al ricco patrimonio di manufatti e oggetti d’arte d’antan e numerosi documenti, nell’agosto 2007 fu inaugurata una nuova struttura nel palazzo Cos.Mo (Centro operativo servizi museo dell’occhiale) a Pieve di Cadore, dove attualmente risiede.
Ai visitatori sono proposti due specifici percorsi museali, uno incentrato sulla nascita e l’evoluzione delle lenti dal Medioevo all’età moderna, e l’altro focalizzato sul distretto industriale bellunese. Il primo itinerario strizza l’occhio, in particolare, agli amanti dell’antiquariato di gran classe: ecco che si possono ammirare particolari pince-nez (“pinza- naso”, in uso prima che venissero inventate le stanghette), fassamani (“faceà- main”, faccia a mano, da tenere in mano), lorgnettes (occhialini) per dame, dai manici lunghi traforati o incisi, monocoli, lenti d’ingrandimento, così come astucci artistici, bastoni da passeggio da galantuomini e ventagli femminili in cartapesta, impreziositi da occhiali, binocoli da teatro, cannocchiali corti e terrestri, per non dimenticare scatole magiche e caleidoscopi. Oro, madreperla, argento, tartaruga, avorio, smalti e turchesi, tra i materiali più pregiati, esaltano la maestria artigianale di questi gioielli di precisione in voga dal XVIII fino alla fine del XIX secolo.
Spiccano, in questo contesto, le collezioni dell’ottico belga Georges Bodart, 1.600 pezzi realizzati tra il XVI secolo e la metà del XX, e acquistati nel 1987; quella del parigino Jean Bernard Weiss, entrata nel Museo a fine anni ‘90; le raccolte più recenti di studiosi quali Enrico De Lotto e Luca Moioli. Completano la sezione tematica macchine, utensili e semilavorati della collezione di Giuseppe Favero di Calalzo di Cadore, di proprietà dell’ente dal 2001.
Leggi l’intervista alla curatrice Laura Zandonella
Il secondo allestimento, invece, tra documenti originali, foto storiche e filmati d’epoca, testimonia la peculiarità del distretto industriale dell’occhialeria cadorina a partire dalla fine del XIX secolo. Dalla prima fabbrica di occhiali sorta nel 1878 in un vecchio mulino da grano, per opera della società costituitasi tra Angelo Frescura e i fratelli Leone e Giovanni Lozza, e che in soli dieci anni di attività arrivò a produrre fino a 500 pezzi al giorno, fino all’espansione del settore nel bellunese all’inizio del ‘900, grazie anche all’intraprendenza di imprenditori ex operai come Ulisse Cargnel, prima delle dure battute d’arresto durante la I Guerra Mondiale.
Nel 1934, dalle ceneri della Cargnel, nacque Safilo a opera di Guglielmo Tabacchi. Con la ripresa del secondo dopoguerra, il distretto cadorino era costituito da 80 aziende, con 4 mila operai che producevano 15-20 mila paia di occhiali quotidianamente. Un interessante excursus è riservato agli occhiali da sole, con primi esemplari presenti già nella Venezia settecentesca; accessori che, in epoca moderna, cominciarono a diffondersi dopo la II Guerra Mondiale, diventando un oggetto di consumo di massa, seppur chic e glamour. Lenti polarizzate tonde, ovali o quadrate, colorate o fumé; stanghette sottili e superleggere, magari impreziosite da ricami e decori artistici; montature pesanti, avvolgenti e a volte stravaganti, non solo in metallo, ma anche in resine sintetiche, più duttili e meno costose, come la bachelite: accanto ai modelli retrò esposti nelle teche moderne delle sale museali, varie gigantografie alle pareti passano in rassegna star cinematografiche e altri personaggi famosi diventati testimonial “involontari” di particolari sunglasses e dei loro brand.
Tra tutti, l’indimenticabile Audrey Hepburn nei panni di Holly Goolightly in Colazione da Tiffany mentre ammira le vetrine della rinomata gioielleria americana, indossando un paio di raffinati Manhattan firmati Oliver Goldsmith. Un’immagine che l’ha lanciata nel firmamento delle fashion icon di ogni tempo. Il secondo itinerario, invece, è caratterizzato principalmente da una forte impronta storica connessa al territorio di riferimento dell’ente, arricchito da documenti originali, foto d’epoca e filmati più recenti. Il racconto multimediale comincia a partire dalla fine del XIX secolo: dalla prima fabbrica di occhiali, sorta nel 1878 in un vecchio mulino da grano per opera della società costituitasi tra Angelo Frescura e i fratelli Leone e Giovanni Lozza, e che in soli dieci anni di attività arrivò a produrre 500 pezzi al giorno, fino all’espansione del settore nel bellunese, grazie anche all’intraprendenza di imprenditori ex operai come Ulisse Cargnel.
Per gli anni a venire, vengono ricordati, naturalmente, i primi passi di colossi quali Safilo (fondata nel 1934, dalle ceneri della Cargnel) e Luxottica (nata nel 1961), gli sviluppi delle piccole e medie imprese della zona, queste ultime specializzate, soprattutto, in singole fasi della produzione e della lavorazione dell’occhiale, e l’avvento della globalizzazione. Il Museo di Pieve di Cadore, con le sue articolate sezioni tematiche e gli accurati allestimenti espositivi, offre pertanto una concreta testimonianza della laboriosa operosità del territorio racchiuso tra le valli delle Dolomiti, in cui storicamente affonda le sue radici l’occhialeria italiana di alta gamma e che tutt’oggi ne rappresenta un baluardo.
Credits Images:Con oltre duemila pezzi, è la principale esposizione italiana sulla storia e gli aspetti di costume legati agli occhiali