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Lifestyle

Il golf è un affare di famiglie

Dagli Agnelli ai Benetton, dai Monti Riffeser ai Ferragamo, molte dinastie dell’imprenditoria tricolore si sono messe in gioco nel business del green. Un’opportunità promettente, ma ancora poco sfruttata, sul fronte turistico

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Gli imprenditori che investono nel setto­re golfistico nel Bel­paese sono in mag­gioranza di passa­porto italiano, a dif­ferenza di quanto avviene, rimanen­do nell’area del Mediterraneo, in Pae­si quali Spagna o Turchia, capaci negli scorsi decenni di attirare i capitali in­ternazionali, anche grazie a politiche di agevolazioni fiscali. I tempi lunghi del­la macchina burocratica (per l’appro­vazione di un progetto di un campo da golf bisogna attendere parecchi anni) e la presenza della criminalità organiz­zata nel Sud Italia, l’area che meglio si adatta per le sue condizioni meteorolo­ giche alla disciplina, sono i due princi­pali ostacoli agli investimenti stranieri. In ogni modo, gli Agnelli, i Benet­ton, i Monti Riffeser e molte altre fami­glie note hanno da tempo legato il loro nome a circoli golfistici. Royal Park I Roveri, a Fiano, vicino a Torino, è sta­to fondato nel 1971 da Umberto Agnel­li e ancora oggi è guidato dalla fami­glia: presidente è Allegra Agnelli, vice­presidente il figlio Andrea. Il campo dei Benetton, presieduto da Gilberto, ha 27 buche e si trova ad Asolo, nel trevigia­no. La tenuta della famiglia Monti Riffe­ser a La Bagnaia, nel senese, ospita un campo da 18 buche. Santo Versace è poi azionista del Golf club des Iles Bor­romées, sulle rive del Lago Maggiore, e Paolo Gerani, vicepresidente di Gilmar, ha dato vita, alle porte di Rimini, al Ri­viera Golf Resort. E ancora, il fiorenti­no Massimo Ferragamo, membro della famiglia della maison di moda, è l’arte­fice del maxipolo di Montalcino, com­posto da un resort e da un mega-campo da golf; la famiglia Manuli (attiva tra le altre cose nei settori industriale e finan­ziario) è proprietaria delle Terme di Sa­turnia Spa & Golf Resort; Laura Biagiot­ti ha aperto, alle porte di Roma, il Mar­co Simone Golf. Nonostante le difficoltà non manca co­munque qualche imprenditore stranie­ro, ma la loro presenza rimane insuffi­ciente rispetto alle potenzialità del ter­ritorio. Per esempio, in Sicilia la catena spagnola Nh Hoteles è proprietaria del­l’Hotel Donnafugata Golf Resort & Spa, mentre il gruppo inglese Rocco Forte ha aperto il Rocco Forte Verdura Golf & Spa Resort. In Sardegna sono invece presenti Starwood, Atahotel e Colony Capital. E se il super miliardario ame­ricano Donald Trump ha colonizza­to mezzo mondo con il suo Trump Golf Portfolio, l’Italia non figura però nel suo perimetro di attività. Fare di un golf club un’attività redditi­zia sembra del resto non essere impre­sa facile, come dimostrano anche le re­centi difficoltà incontrate dal Cortina Golf e dai suoi noti soci-giocatori (tra cui nomi del calibro di Guido Barilla e Paolo Scaroni). Un campo da 18 bu­che richiede un investimento di alme­no 5 milioni di euro per la sua costru­zione, budget a cui bisogna poi aggiungere i costi di gestione annua­li. La vendita del­le quote sociali del club agli iscritti è sempre stata un’opzione mol­to diffusa in Italia, con punte che hanno superato per alcuni circoli anche l’80% del totale dei ricavi complessivi. Una scelta non sufficiente, però, a mante­nere i bilanci in attivo, soprattutto ne­gli ultimi due anni segnati da un calo dei tesserati. I golf club attivi oggi in Ita­lia sono 419, di cui 280 associazioni sportive affiliate alla Federazione italia­na golf e 137 aggregate. I circoli affiliati ospitano percorsi da nove, 18, 27 o 36 buche omologati alla pratica agonisti­ca, mentre i club aggregati sono costi­tuiti da campi pratica e strutture dedica­te alla promozione sportiva con un nu­mero inferiore a nove buche (sono noti anche come circoli “promozionali”). Il golf è una disciplina che ha conosciuto un vero boom fino al 2011, anno in cui i soci erano più di 101 mila (in aumen­to del 70% rispetto al 2001), i club as­sociati 268 e quelli aggregati 138. Ne­gli ultimi due anni però, al continuo in­cremento dei club non è corrisposta la crescita dei tesserati: nel 2013 sono sta­ti poco più di 93 mila i soci dei circo­li. In due anni si sono cioè persi 7 mila associati.

Approfondimenti

Monti Riffeser

Famiglia Agnelli

Biagiotti Group

Quali sono allora le altre strade percor­ribili per raggiungere il break-even? I soldi si possono raccogliere attraverso la vendita di unità immobiliari (le clas­siche seconde case) edificate all’inter­no della proprietà del circolo o ai suoi confini. Esperienze di successo non mancano nel passato, come tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso il Golf Club Monticello, alle porte di Milano, o il Bogogno Golf School, in Piemonte. La crisi che ha investito il settore immo­biliare ha reso però molto meno red­ditizia questa attività negli ultimi anni. La terza opzione, quella più in voga, è l’apertura al mercato turistico. Tanti cir­coli hanno stretto convenzioni con ho­tel, altri, in minoranza, hanno puntato su strutture ospitali, come i resort, al­l’interno del club stesso. Il settore è ol­tretutto in crescita: secondo Iagto, l’or­ganizzazione mondiale del turismo golfistico, negli ultimi due anni il fat­turato del comparto è aumentato nel mondo del 20%, con un trend positi­vo del 9,3% nel 2013 e dell’11,1% nel 2012. E le aspettative per il 2014 sono ancora ottimistiche. Nel mondo i turi­sti che viaggiano perché interessati a praticare il golf sono circa 25 milioni. La loro spesa complessiva ammonta a 40 miliardi di dollari con una media a viaggio di circa 1.600. «In Italia il turi­smo legato a questo sport ha raggiun­to un fatturato di 500 milioni di euro, con un milione di pernottamenti alber­ghieri, corrispondenti a 500 mila giri di golf», spiega Maurizio De Vito Pi­scicelli, consulente della Fig nell’am­bito delle politiche turistiche. Il trend è positivo anche da noi, con percentua­li di incremento del business che in al­cune regioni superano anche il 40%. Tanto che ad aprile l’Italia è entrata nel­la top ten delle prime destinazioni nel mondo per il turismo golfistico secon­do la classifica stilata sempre da Ia­gto. «Il golfista che arriva in Italia», ri­prende De Vito Piscicelli, «è un turista di prossimità, in larga prevalenza euro­peo: in prima posizione figurano i tede­schi, seguiti da austriaci, inglesi, fran­cesi, svizzeri, scandinavi e russi. La sua età media è compresa in prevalenza tra i 46 ed i 55 anni e, in misura mino­re, tra i 56 e i 65 anni. Il golfista spen­de due volte più del turista medio: non solo per i servizi legati alla disciplina, ma soprattutto per i trasporti, l’allog­gio, i ristoranti, lo shopping e il diver­timento. Spesso decide di trasferirsi da noi, armato della sua sacca da golf, nei mesi invernali, quando dalle sue parti il clima è troppo rigido. La presenza di un campo offre così all’ospitalità del Mez­zogiorno e delle isole la possibilità di destagionalizzare il flusso turistico». L’importanza del golf per lo sviluppo del turismo nel nostro Paese non è sfug­gita alle istituzioni governative. «Il golf, e in particolare il turismo sportivo lega­to al golf, rappresentano un’opportuni­tà per portare un numero cospicuo di nuovi turisti nel nostro Paese e riattivare un circuito virtuoso in grado di incen­tivare il giro d’affari» recitava una nota del Ministero del Turismo nel 2010 in occasione della presentazione del di­segno di legge Misure per incentiva­re il turismo sportivo tramite la diffusio­ne del gioco del golf e la realizzazio­ne di impianti golfistici. Dalle promes­se però non si è passati ai fatti. Il dise­gno di legge non è mai stato approvato e rimane parcheggiato nelle stanze di Montecitorio.