Connettiti con noi

Gusto

Il team vincente di Zia restaurant a Trastevere

Nel suo Zia restaurant a Trastevere, lo chef Antonio Ziantoni ha riunito un team affiatato che gli ha fatto conquistare la prima stella Michelin

architecture-alternativo

Da molti indicato come il prossimo riferimento della cucina italiana di qualità, Antonio Ziantoni e il suo Zia Restaurant nel quartiere Trastevere di Roma, sono in realtà un’opera collettiva in cui più giovani talenti collaborano per proporre piatti decisi e ricchi, con percorsi gustativi insoliti e appaganti, che hanno fatto breccia anche tra i giovani e reinterpretano il concetto di cucina “stellata” italiana.

Come è nato il suo amore per la cucina?
Avevo cominciato a studiare da geometra, mentre per mantenermi lavoravo in un piccolo ristorante di Vicovaro (Rm), dove sono nato. Ho iniziato come cameriere, ma sono passato presto ai fornelli e mi sono subito appassionato. Alla fine, sono andato alla scuola di cucina Alma, a Parma. È seguita tanta gavetta in Cina, Australia, e poi a Londra e in Francia, ma in cuor mio l’idea è sempre stata quella di aprire un ristorante nel mio paese. Purtroppo, non è stato possibile, quindi mi sono orientato su Roma. Zia nasce nel 2018, fina da subito come fine dining anche se l’idea era di proporre uno stile meno ingessato.

Si parla tanto di territorio e di sostenibilità, come li interpreta?
Da Zia abbiamo sempre avuto una mentalità da trattoria, soprattutto dal punto di vista del personale: chiudiamo due giorni alla settimana e solo due giorni apriamo sia a pranzo che a cena. Dal punto di vista delle materie prime, ci orientiamo su una filiera corta, scegliendo ingredienti del territorio e tagli meno costosi. Ci fidiamo di piccoli fornitori bravi e accurati, e lavoriamo con le specialità di stagione.

Lo chef Antonio Ziantoni

Quali sono secondo lei gli ingredienti e le tecniche più identitarie della vostra cucina?
Ci identificano tanti ingredienti che spesso noi italiani non sappiamo sfruttare al meglio. In questi giorni mi fa impazzire il radicchio rosa di Gorizia, ma anche i cardi piemontesi. A Roma siamo fortunati, arrivano materie prima da tutta Italia e i turisti non vogliono solo Lazio in tavola. Non proponiamo i classici del fine dining, ma facciamo bene le cose che ci piacciono. Per questo la stella Michelin ci ha quasi sorpreso.

Quali sono i vostri caratteri più riconoscibili?
Andrea Mele (sous chef): Ogni piatto deve essere appagante e ricco, gustoso, le sfumature ci interessano, ma ancora di più il gusto complessivo. Cerchiamo di solleticare il cervello intrattenendo la pancia. Negli ultimi mesi ci incuriosiscono le carni di germani e faraone, per i quali bisogna lavorare molto in termini di ricerca e preparazione del taglio.

Come curate la sala?
Valentina Bivona (direttrice di sala): La sala rappresenta il 60% del successo di un locale. Mettiamo in campo un servizio molto attento, ma non invasivo o ingessato. Anche per questo i giovani vengono spesso e, per certi versi, siamo simili a un ristorante trasteverino: non abbiamo oggetti di design onnipresenti, il locale è minimal, ma mai freddo. Inoltre, proponiamo sia menu alla carta sia un menu degustazione.

Cosa troviamo nei bicchieri di Zia?
Matteo Pola (sommelier): Il criterio di scelta dei vini è seguire i gusti della clientela e la cucina di Antonio, quindi ben vengano i piccoli produttori, cantine artigianali che stupiscono ma non sono ancora conosciute. Siamo sempre in cerca di nuove chicche senza trascurare le etichette blasonate. Per ora siamo sulle 600 referenze e ci lavoriamo costantemente. Sono tanti i percorsi al bicchiere e al calice, ma al momento il vino rosso è quello dominante, con scelte che cadono spesso sui classici di Toscana e Piemonte, ben affiancati dal cesanese, la superstar del futuro del vino naturale nel Lazio.

Anche la pasticceria oggi può essere centrale nella proposta di un fine dining
Christian Marasca (pastry chef): Abbiamo creduto tanto nella pasticceria classica, nei sapori che richiamano le tradizioni. La nostra bandiera può essere definita il Babà con uva verjus in aspic e una quenelle di crema chantilly alla vaniglia, con la bagna un po’ rivista, ma senza troppo zucchero. Altro esempio della centralità e piccola rivoluzione nei dolci è la Brioche sfogliata con crema alla vaniglia, un dolce da mettere al centro della tavola, da prendere con mani e condividere.