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Gusto

Pino Cuttaia: memoria commestibile

Il suo è un ritorno alle origini, alla concretezza, ai gusti diretti che sappiano evocare il ricordo. Nascono così i piatti dello chef bistellato del ristorante “La Madia”

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Le suggestioni della Sicilia sono tante, ma solo di recente una generazione di grandi interpreti sta rendendo giustizia al valore assoluto della sua cucina dove gli ingredienti sono fondamentali, ma hanno bisogno di menti e mani che li sappiano lavorare e immaginare in piatti di alta cucina. Sul filo della memoria della propria vita, Pino Cuttaia dopo un apprendistato al Nord tra Soriso e Biella lavora dal 2000 a Licata, luogo particolare tra il barocco ragusano e i templi di Agrigento, al progetto de La Madia, un sorprendente ristorante che riempie un evidente bisogno di riferimenti culinari in questa regione tanto da arrivare nel 2006 alla prima stella Michelin e già nel 2009 alla seconda.

Ma l’impegno è continuo e profondo, perché portare le persone in quel di Licata non è banale, ma è fondamentale per apprezzare al meglio tutti i rimandi di atmosfere e sapori che Pino trasferisce in ricette che sono “memoria commestibile” come il Merluzzo affumicato alla pigna, il Cannolo di melanzana perlina in pasta croccante, ricotta, pomodorino e Ragusano Dop, la Parmigiana di melanzane “del giorno dopo” o il Raviolo di Calamaro.

Chi sono i clienti de La Madia?
La scorsa estate non verrà certo ricordata come quella dei grandi numeri. Per motivi meteo e congiunturali, la stagione tradizionalmente molto piena e ricca è stata compressa in poche settimane, con un pubblico sempre meno italiano e locale. Meno siciliani che tornano alle loro case dal lavoro in altre città e meno italiani in genere ma, per fortuna, turisti e gourmet da tutto il mondo. È bello che vengano fin qua per apprezzare la mia cucina e la Sicilia, ma spiace davvero che molti connazionali trovino sempre più difficoltà a godersi l’alta cucina. Nasce proprio per loro!

Cosa l’ha portato a diventare uno chef?
Colpa dello Champagne. Anche se non proprio direttamente… Durante il capodanno del 1981 ero in cucina a lavare i piatti e come incentivo a lavorare bene c’era proprio la promessa di aprire una bella bottiglia tutta per me. Fu una rivelazione di gusto e sapore che mi convinse che il mio posto era sempre più nei fornelli.

Cosa si diverte di più a fare in cucina?
Capire come interpretare un piatto legato a una memoria personale o collettiva attraverso una suggestione moderna. Il divertimento per me è riportare alla luce un piatto familiare, metterlo quasi in un’altra dimensione, un modo per parlare sia alle persone dai gusti semplici e immediati che ai gourmet più esigenti e scafati. In tal senso mi piace usare molti dei macchinari che hanno rivoluzionato la cucina negli ultimi anni, come le macchine per il sottovuoto, l’azoto liquido, i sifoni, le cotture a bassa temperatura. Quando il loro utilizzo non è fine a se stesso, rappresentano un esempio di come la tecnologia abbia portato qualità e cambiato lo scenario della cucina. Devo anche confessare che, dopo tante diavolerie tecnologiche, le cotture che ora mi affascinano sono le più semplici, (ghiaccio, fuoco, carbone), che trovo affascinanti e primigeni.

Suggestioni della Sicilia e percorso personale: cosa c’è di speciale in questa regione che affascina i gourmet?
Oggi si parla molto di benessere in generale e lo stare bene a tavola è centrale, con il cibo diventato mezzo di comunicazione globale. C’è stata una fase di grande sofisticazione sia nella comunicazione sia nel cibarsi, ora siamo a un ritorno alle origini, alla concretezza, che nei piatti significano gusti diretti che evochino memoria e ricordo. Se aumentiamo ancora la complessità tecnica, andiamo fuori dalla realtà: il versante della Sicilia dove si trova Licata è quello più legato alla Magna Grecia, quindi semplicità, manifattura, contadini e pescatori, tutti lavori vicina a mia sensibilità.

Melanzane, pomodori, pesce: quali sono gli ingredienti cardine della cucina siciliana?
Quelli che ha appena nominato in realtà sono ingredienti usati in tutto il Sud, che ritroviamo anche in Sicilia. Aggiungerei senz’altro pesce spada, sgombro, acciuga, tonno, cocuzza, mandorla, pistacchio. La Sicilia è un continente, non una regione e gli ingredienti sono spesso molto più specifici e circoscritti. Certo è più difficile da raccontare a livello di cucina, perché c’è meno cultura dei luoghi e questo è tutto da scoprire, anche qui abbiamo ingredienti e ricette particolari di alcune città.

Da chi e da dove prende ispirazione per i nuovi piatti?
Può essere un suono, un viaggio, un ingrediente, uno scambio o la stagionalità: si deve sempre stare attenti a comporre il puzzle al momento. Ci sono l’idea e l’indizio ma è impossibile sapere dove si approderà; l’importante è capire che c’è qualcosa che ti sta emozionando e che non sai mai se il contorno diventerà protagonista o viceversa.

Disponendo di un biglietto gratis, dove deciderebbe di andare?
Sicuramente sceglierei di circumnavigare il Mediterraneo con tappe e scali in Grecia, Turchia, Spagna, Nord Africa, Medio Oriente per osservare somiglianze e differenze, capire come i piatti possono essere simili e diversi, comprendere come la cultura influenzi l’uso degli stessi ingredienti. È molto più facile di quello che si pensa incontrare piatti con gli stessi ingredienti, ma molto diversi nel gusto e altri con gusto più simile anche se realizzati partendo da ingredienti diversi. È la magia di questo luogo multiculturale che è il Mediterraneo.

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Lo chef Pino Cuttaia