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Monte delle Vigne: non solo Lambrusco
Andando controcorrente, in una zona famosa per la produzione di vini frizzanti Monte delle Vigne ha puntato fin dalla nascita su due vitigni autoctoni, ma declinati in versione ferma. Ecco perché ha avuto successo
Nella sua Cronica, tra le fonti più interessanti sulla storia dell’Italia centro-settentrionale del 13esimo secolo, Fra’ Salimbene de Adam definiva le colline di Ozzano Taro, nel parmense, «Li Monti delle Vigne». Questa zona era, infatti, già allora rinomata per l’arte della vinificazione. Non sorprende, dunque, che nel 1963, acquistando il podere Villa di Monticello, Pietro Pizzarotti sognasse di riportare la vite in quelle terre. Un sogno rimasto per lui irrealizzato, ma fatto proprio dal figlio Paolo, che nel 2004 lo ha trasformato in realtà entrando come socio di maggioranza nella cantina confinante, Monte delle Vigne, appunto.
L’ingresso della Famiglia Pizzarotti in Monte delle Vigne
Nata nel 1983 con appena 7 ettari di vigneti nel cuore della Doc Colli di Parma, questa piccola realtà era già salita a quota 20 nel 2000, con l’aggiunta del podere Bella Foglia, ma è stato proprio l’ingresso della famiglia Pizzarotti che le ha dato nuovo slancio. Già dal 2005 sono stati piantati nuovi ettari di vigneto per raggiungere i 40 piantati (60 complessivi). Fin dalle origini la scelta è stata quella di “uscire dagli schemi”.
«Siamo viticoltori parmensi audaci e contemporanei», racconta l’amministratore delegato, Lorenzo Numanti. «Se la nostra zona è famosa per la produzione di vini frizzanti, specialmente il Lambrusco, a cui in passato si riconosceva poco valore, la nostra cantina ha invece scelto di dedicarsi sì a due vitigni autoctoni – Barbera e Malvasia aromatica di Candia –, ma di declinarli in vini fermi. Siamo stati i primi a introdurre sul mercato locale un rosso fermo, con il nostro Nabucco», aggiunge Numanti, «per poi proseguire nel 1999 con il Callas, bianco dedicato alla famosa cantante d’Opera».
I fiori all’occhiello Nabucco e Callas
Una scelta controcorrente, ma dettata dalla consapevolezza del potenziale di espressione di quello specifico terroir. Con il tempo, poi, la produzione si è ampliata non solo in termini di quantità, ma anche di varietà, aggiungendo Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Croatina, Lambrusco Maestri e Cabernet Franc. All’ampliamento nella coltivazione si è affiancato quello produttivo. Nel 2006 è stata, infatti, inaugurata la nuova cantina ipogea. Il progetto, disegnato e costruito dall’architetto Fiorenzo Valbonesi perché si integrasse con lo scenario naturale circostante, si sviluppa su tre livelli per mantenere intatta la qualità della materia prima attraverso la pigiatura gravitazionale; mentre la struttura esterna rende omaggio alla vicina via Francigena, con il suo rivestimento in mattoni di terracotta che richiama le strutture medievali della zona.
La sostenibilità della cantina ipogea
Una scelta, quella di realizzare una cantina ipogea, ossia interrata per impattare il meno possibile sull’ambiente circostante, perfettamente in linea con l’attenzione alla sostenibilità che è alla base della filosofia di Monte delle Vigne. Non a caso la struttura è dotata di impianto fotovoltaico da 40 kW, sistema solare termico e di recupero delle acque piovane per l’irrigazione, oltre che di procedure per il riciclo dei materiali. E l’obiettivo per il prossimo futuro è quello di aumentare l’utilizzo di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili.
Del resto, il pieno rispetto della natura che circonda la tenuta è una condizione indispensabile per il mantenimento della biodiversità del territorio e del benessere delle generazioni presenti e future.
La conversione al biologico dei terreni
Per questo nel 2016 la cantina ha iniziato la conversione al biologico dei suoi terreni. Il progetto è stato portato a compimento nel 2021, quando è stata realizzata la prima vendemmia interamente in biologico e certificata Icea (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale). Già da molti anni, infatti, l’azienda limita l’utilizzo di prodotti fitosanitari in vigna e predilige tecniche naturali e poco invasive, come il sovescio per il controllo delle erbe infestanti. Del resto, come sottolinea Numanti, «i terreni vitati che fanno parte della cantina e che sono stati acquistati dal padre di Paolo Pizzarotti nel 1963 erano all’inizio dedicati all’allevamento di frisone olandesi. I pascoli seguivano già all’epoca un regime biologico e questo ha consentito di preservare la qualità e la salubrità dei nostri terreni. La percezione di questo valore, inteso anche come patrimonio per la comunità, è stata la linea guida che ci ha spinto a lavorare secondo le logiche di sostenibilità ambientale. Una sostenibilità che non si è limitata solamente al vigneto, ma che ha voluto il suo naturale riflesso anche nella nuova cantina, costruita nel 2004. Oggi raccogliamo i frutti di un lungo percorso in cui abbiamo creduto fortemente, vedendolo riconosciuto e apprezzato su un mercato sempre più sensibile alla tematica».