Gusto
La raffinata semplicità di Daniel Canzian
Dite addio alla ricerca spasmodica della novità per lasciare spazio al meglio della tradizione gastronomica italiana (rivista ma non stravolta). Intervista allo chef Daniel Canzian, che festeggia i primi dieci anni del suo ristorante milanese
Veneto giramondo che, ormai da dieci anni, ha il suo ristorante a Milano, è anche l’ultimo chef italiano ad aver collaborato attivamente con un maestro come Gualtiero Marchesi. Quest’autunno Daniel Canzian rivoluziona la sua proposta con una “transizione” tutta da scoprire, grazie alla quale si conferma uno dei protagonisti e imprenditori più importanti della nostra scena gastronomica.
La transizione gastronomica della cucina italiana andrà verso la trattoria?
Penso sia opportuno rivalutare il concetto e il significato del termine trattoria, perché se con questo si identifica un locale in cui vi è una decontrazione delle complessità e delle ricette del fine dining allora sì. Per quello che ho avuto modo di vedere, infatti, le persone sono sempre di più alla ricerca della semplicità. Qualora, invece, si intenda un posto in cui si paga poco, non molto curato nell’aspetto e nel servizio, no, non ci sarà un ritorno verso la trattoria “popolare”. Il fine dining continuerà a evolversi, ma con una consapevolezza maggiore del commensale e di chi lavora nel settore.
Costoletta di vitello impanata e Rustin negàa: cosa li rende piatti imprescindibili?
Entrambi hanno una storia da raccontare. Non devono essere proposti solo dalla ristorazione “popolare” perché facenti parte di un’epoca passata. Certe ricette dovrebbero essere maggiormente rispettate e non snaturate, perché appartenenti alla nostra storia. La rivisitazione è ufficialmente decaduta come anche la ricerca spasmodica di alcune tecniche gastronomiche che sono unicamente tendenze e che in quanto tali, passano di moda. Tra le irrinunciabili ricette della tradizione veneta – che entreranno in menu – figurano la Faraona al vino rosso, le Sardine in Saor, la Granseola alla Veneziana e il Granciporro in cocotte, tutte ricette che fanno parte della cultura del territorio.
Quali sono le cucine regionali più ricche di spunti per il suo lavoro?
Secondo me sono tutte allo stesso livello, ed è proprio questa la base dell’eccezionalità della tradizione gastronomica italiana. Mi piacerebbe che si affermassero ristoranti di cucina regionale, con una proposta verticale e non influenzata da altri territori, specialmente in città come Milano, dove al momento i ristoranti sono divisi per lo più per nazionalità.
Il rapporto con i produttori di materie prime è questione delicata e costosa, come prestare maggiore attenzione a questo aspetto nel nostro quotidiano?
Andando al mercato. Quanti effettivamente lo fanno? Siamo così certi che ordinare online sia più che sufficiente? Io non ne sono convinto. Qualora fosse così, io sono in controtendenza. Se prima compravo personalmente per lo più la verdura, ora controllo ogni singolo ingrediente. Preferisco investire il mio tempo andando a scegliere tutto ciò che entra nella mia cucina.
Ritmo e atmosfera della sala sono fondamentali, quali accorgimenti mette in campo nel suo locale?
Lo sono sempre stati e lo diventeranno ancora di più. Siamo pronti a celebrare il decennale del ristorante e contestualmente abbiamo attuato un restyling degli spazi. È un lavoro quotidiano e costante che richiede molta attenzione se si vuole rendere il locale ancora più accogliente. La sala è il primo punto di contatto con il commensale, che vuole sentirsi sempre meno cliente e più persona.
Preferisce offrire il menu alla carta o un percorso degustazione?
Non si può escludere uno o l’altro. Non voglio costringere le persone a scegliere solo tra due percorsi di degustazione, quando magari vorrebbero mangiare un piatto veloce, o viceversa. Mi auguro che si si affermi l’abitudine, per i clienti, di non guardare più il menu ma, grazie a un’affinità creatasi con lo chef e in funzione delle proprie esigenze, di scegliere solo se ordinare un percorso di degustazione o due piatti.
Com’è impostato il wine pairing?
Il pairing è molto interessante, ma più ingredienti si aggiungono e più si rischia di confondere il palato. Un menu da sette portate, ad esempio, si traduce in altrettanti piatti con circa sei ingredienti l’uno, il che vuol dire che al palato si percepiscono più di 42 gusti. Se a questi si abbinano diversi vini, cocktail o centrifugati, il pericolo è che si crei confusione nella percezione dei sentori. Tutto questo, inoltre, non fa bene dal punto di vista della salute e della nutrizione. Per questo ho deciso di proporre un nuovo wine pairing che darà la possibilità di scegliere tra due tipi di vino: i clienti ordineranno una sola referenza di una cantina e di questa degusteranno una verticale, provando diverse annate a cui verranno abbinati i piatti in menu.