Connettiti con noi

Design

Francesco Panella: se non è pratico, non è design

Così la pensa l’imprenditore della ristorazione nonché conduttore di ‘Little Big Italy’, che in cucina mette al primo posto organizzazione e comodità

architecture-alternativo Credits: © Barbara Ledda - Photomovie

«Il piatto simbolo del periodo confuso che stiamo passando? Direi le scrumbled eggs, eppure ci farebbe un gran bene tornare alla semplice pasta al pomodoro, così sana e buona». Raggiungiamo Francesco Panella, 51 anni, romano, mentre è di corsa tra un set e l’altro, su e giù dagli aerei. È infatti ripresa la nuova stagione di Little Big Italy, in onda su Canale 9, il fortunato programma in cui va alla ricerca dei migliori ristoranti italiani in America e nel mondo, e li presenta con il suo stile inconfondibile al pubblico.

Panella è “figlio d’arte”: la famiglia è dal 1922 proprietaria de L’Antica Pesa, storico ristorante di Trastevere, trasformato poi da Francesco e dal fratello Simone in un locale affermato e amatissimo dalle star (si sono seduti ai suoi tavoli da Leonardo di Caprio a Jennifer Lopez). Ristoratore e abile comunicatore, Panella è diventato celebre in tv con Il mio piatto preferito, su Gambero Rosso, trasformandosi ben presto in un globetrotter della cucina.

Un’avventura non solo televisiva ma anche imprenditoriale, che si è recentemente arricchita di un nuovo importante tassello: Francesco Panella è ora anche partner operativo di Gioia, uno dei migliori ristoranti italiani di Chicago, in società con lo chef del ristorante, Federico Comacchio, professionista con oltre 30 anni di esperienza nelle cucine stellate Michelin. Bravo a esportare la buona cucina italiana oltre confine, Panella commenta: «Vorrei che in ogni ristorante italiano non si riconoscesse solo il made in Italy dei piatti e delle ricette della tradizione, ma anche quello del design e dello stile di arredamento che lo caratterizza. Dovremmo farci riconoscere per l’unicità della nostra cultura, capace di declinare il bello e il buono in ogni forma», dice.

Quanto conta per lei il design in una cucina?
Sono nato nella Roma degli anni 70, cresciuto e nutrito nel fermento culturale degli anni 80, un’epoca caratterizzata da grandi maestri dell’arte come Mario Schifano, un periodo di forte sperimentazione in tutte le arti, dalla fotografia al cinema. L’arte e il design fanno parte del mio Dna, ne sono molto appassionato. Oggi apprezzo e seguo molto i progetti di Mauro Porcini, che è un amico, ma soprattutto un grande designer e geniale innovatore nel settore. Sono profondamente convinto che l’organizzazione degli spazi, il concept dell’ambiente e la scelta dei singoli materiali influenzino in maniera non secondaria la cucina che vi si realizza.

Dunque, anche la sua?
Certamente. Se penso a casa mia, il pensiero corre al frigorifero. In tanti sono ossessionati dalle dimensioni, che personalmente mi interessano poco. Preferisco invece che il frigo abbia un’efficace organizzazione degli spazi interni. Per come lavoro io, l’organizzazione e la comodità devono essere al primo posto in cucina.

Le nuove tecnologie aiutano?
Ho una cucina ipertecnologica, sono amante di ogni novità che esce sul mercato: mi piace testare tutto. Le innovazioni tecnologiche delle strumentazioni sono importanti non solo perché permettono di migliorare la qualità della cucina o di velocizzarne i passaggi, ma anche tutto il lavoro che c’è dietro e che spesso nemmeno immaginiamo. Pensiamo alla pulizia, ad esempio. Ci sono oggi macchinari sofisticati che permettono un lavaggio più veloce e accurato, capaci da soli di migliorare molto l’organizzazione e quindi anche il risultato finale.

Cresciuto nel ristorante di famiglia, Antica Pesa, nel 2012 avvia l’internazionalizzazione del marchio con l’apertura di Antica Pesa Brooklyn, seguito da altre esperienze sempre negli Usa e a Doha. Ha debuttato in Tv con Il mio piatto preferito in onda per tre stagioni su Gambero Rosso Channel HD e su Sky, mentre Little Big Italy, nato nel 2018, è oggi uno dei prodotti di punta della programmazione di Nove (Discovery)- (foto © Barbara Ledda – Photomovie)

Quanto conta per lei l’estetica?
Per me non esistono colori o materiali più ispiranti di altri, ma l’estetica generale per me è importante e deve essere calibrata al luogo. Il mio locale di Roma ha un design più tradizionale e dinamico di quello di New York. Di certo amo tutte le linee funzionali e pulite, il design che è veramente tale perché pratico. Riflettendo invece sulla cucina di casa, la definisco il mio secondo salone: è il luogo in cui amo di più ricevere gli amici, quello in cui in assoluto passo più tempo in compagnia. Per questo deve essere confortevole e accogliente: in fondo, il momento appena precedente al pasto, non è quello più bello, quello che non vorremmo finisse mai?

Viaggiando molto, ha notato delle differenze nella percezione della cucina come ambiente della casa?
In Europa, e in Italia in particolare, la cucina è il fulcro di ogni abitazione: il perno attorno al quale tutto ruota, l’ambiente che siamo spinti a rinnovare non appena cambiamo casa, perché ci piace personalizzarlo secondo le nostre esigenze. In America tutto è diverso. Ogni casa ha una sorta di cucina già preorganizzata e predefinita, le modifiche non vengono quasi mai fatte, spesso gli ambienti sono standard e impersonali. Le due concezioni dell’ambiente rispecchiano le diverse culture della tavola.

Che cosa intende?
Da noi in cucina si fa cultura. Ci si siede a tavola e, mangiando, si parla e si discute del cibo che si sta gustando in compagnia, quasi come fosse una dissertazione filosofica. In America, ci si ritrova a tavola per motivi di business, si va a mangiare con qualcuno per chiudere con lui un affare: ciò che è nel piatto passa in secondo piano, e di certo non è argomento di conversazione.

Ristorante-Antica-Pesa

La sala del ristorante L’Antica Pesa di Roma (foto © Leonardo Cestari)

Il periodo pandemico ha favorito la riscoperta della cucina casalinga e la valorizzazione degli spazi della cucina?
Partirei proprio dagli spazi: molti hanno approfittato per ottimizzare il locale a loro disposizione, altri hanno investito in nuovi elettrodomestici. Di certo possiamo dire che se la pandemia ha, in generale, accentuato la nostra attenzione sull’abitazione, la cucina è stato l’ambiente in cui si è vissuto di più, quello maggiormente sfruttato. Per mangiare, per ritrovarsi. Oggi, poi, tutti amano considerarsi degli chef…

Si avverte una punta di ironia nelle sue parole.
Non posso che essere felice dell’attenzione di cui gode tutto il mondo del food, ormai da diversi anni. Noto però un atteggiamento, specie nelle nuove generazioni, che tende a premiare anche in cucina il cosiddetto “super-estro”: molti si cimentano nella creazione di quelle che definisco “piccole cose stragustose e goduriose”, ma poi non sono in grado di mettere insieme un pasto completo e sano. La cucina, in realtà, richiede equilibrio e profonda concentrazione. Ho la sensazione che si stia andando in un’altra direzione.

Vale a dire?
Verso l’idea di dover fare la rivoluzione a tutti i costi. Credo sia invece importante una sorta di ritorno all’ordine, per rimettersi ai fornelli sul serio, ritrovandosi davanti ai piatti della nostra tradizione. Ritengo che da questo punto di vista sia necessario, nelle cucine di casa come in quelle dei grandi chef, un design che sia il più funzionale e pulito possibile, capace di razionalizzare con estro lo spazio della cucina.

Ordine, organizzazione, pulizia: sono parole ricorrenti in questa intervista.
Sono fermamente convinto che la pulizia di un piatto, la sua bellezza essenziale, equivalga alla pulizia del pensiero. In questo periodo di estrema confusione politica e sociale, faremmo bene a tornare ai fondamentali, fatti bene. Come la nostra pasta al pomodoro.


Intervista pubblicata su Il futuro declinato al presente – edizione 2023 dello speciale L’Anima della cucina di Business People