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Gusto

Dalla Gioconda: la filosofia del ristorante nelle parole dello chef

Costruire un futuro nuovo reinterpretando il patrimonio gastronomico nazionale senza per questo perderne i valori. È la base del successo dello chef Davide di Fabio, allievo di Massimo Bottura

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Dalla Gioconda, primo ristorante da titolare dello chef Davide di Fabio, è il coronamento (per ora) di una vita che ha seguito una direzione molto precisa: dalla natia Rho fin quasi al confine con l’Abruzzo, a Gabicce Monte, con uno snodo di vita fondamentale alla corte di Massimo Bottura sulla via Emilia. Oggi è il talento più fulgido dei nostri giovani in cucina e aspira a un ruolo di protagonista in questa estate che, per lui, è iniziata con la nomina a “Novità dell’anno” per la prestigiosa guida Espresso.

Cosa si prova ad aprire un locale tuo? Quando ho deciso di venire a Gabicce sapevo di non essere solo, ma di poter contare su Stefano (Bizzari, figlio del Ceo di Gucci) e Allegra (Tirotti, design e accoglienza): è stata una grande fortuna. Aprire un locale in un momento cosi particolare da un lato spaventa, ma dall’altro ti carica di energia e di voglia di fare bene.

Quale piatto prevede che diventerà il più richiesto dell’estate? L’anno scorso il piatto più richiesto e stato il fiore di zucca ripieno come un classico tortello mantovano, fritto e servito con fiori di sambuco, zucca e mostarda. Quest’anno? Spero un piatto ancora da creare…

Come nascono i piatti Dalla Gioconda? Da un’intuizione che diventa ricerca e si trasforma in un piatto. Il territorio non deve avere confini, così come la creatività . Due prodotti super locali ti possono far viaggiare con la testa e arrivare ovunque.

Lombardia, Teramano, via Emilia: cosa rappresentano per lei questi luoghi del passato e cosa troviamo di questi, oggi, nei suoi piatti? Sono le mie radici. Per parlare di futuro bisogna conoscere il passato. La cucina italiana si basa su ricette, gesti, tramandati di generazione in generazione. È sempre più difficile cercare nuove strade, visto che quasi tutto è già stato detto. Mi piace ricreare a partire da una decostruzione, da un recupero della matrice del gusto di alcuni piatti della memoria, per poi ricostruirli non come erano originariamente ma farne qualcosa di nuovo. Mi piace creare una connessione tra passato e presente, interpretando in chiave originale le influenze e le contaminazioni senza tradire il gusto italiano. Storicizzare un processo di cambiamento, creativo, di valori, legati alla nostra cultura e ai nostri giorni per costruire un futuro nuovo senza perdere il patrimonio gastronomico nazionale.

Quale territorio influenza maggiormente la sua cucina? Forse l’Abruzzo. Per me insieme alle Marche e alla Romagna costituisce un’unica regione enogastronomica. In questo senso la mia Zuppiera (piatto dell’anno per Identità Golose, ndr) credo sia emblematica. Deriva della tradizione marchigiana, ma anche abruzzese, di condire la pasta con il sugo rimasto del brodetto di pesce. La mia è una moderna interpretazione, che include anche una rivisitazione delle cosiddette “virtù” teramane, un intingolo contadino ricco di ingredienti… L’incontro tra queste due suggestioni ha portato a più formati di pasta conditi con sugo di brodetto di pesce, sostenuti dai crudi dei medesimi pesci e nappati da diverse salse.

Dalla Gioconda era una balera, cosa resta di quell’atmosfera? Vorrei che il mio ristorante incarnasse la magia degli anni d’oro dell’Italia che fu e che potrà essere, ovvero gli anni 50-60 con la loro sana voglia di divertirsi, la musica, spensierati, ma anche laboriosi e “seri” dal punto di vista dell’impegno quotidiano.

Quale è il segreto del successo in sala? Star bene e far star bene i clienti. Con lo staff al completo cerchiamo di far sentire tutti come a casa, di far divertire le persone con un approccio fresco.

Un paio di abbinamenti riusciti tra i suoi piatti e vini scelti da Bizzarri? A San Benedetto del Tronto si usa mettere anche il peperone nel brodetto di pesce. Io non lo aggiungo nella preparazione della Zuppiera di pasta e pesci dell’Adriatico, ma Stefano lo recupera con il vino in abbinamento, che ha in sé le classiche note di peperone del vitigno. Per la Saraghina al caviale proponiamo invece l’Albana di Romagna, storico vino bianco del territorio.