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Lavoro

L’importante è che sia femmina

Entro il 2012 i vertici delle società quotate e a partecipazione statale dovranno essere composti per un quinto da donne. Centinaia di poltrone restano ancora da riempire. Business People ha provato a fare il punto della situazione con i professionisti di Eric Salmon & partners, Korn Ferry e Russel Reynolds Associates

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Tra spread e controlli fiscali, manovra e liberalizzazioni, la questione sembra caduta nel dimenticatoio, ma è ormai giunta l’ora di adeguarsi se non si vuole incorrere nel rischio sanzioni: una legge approvata a fine giugno scorso, la 21/2011, impone, a partire da quest’anno, che i consigli di amministrazione e i collegi sindacali delle società quotate o a partecipazione pubblica annoverino il 20% di donne, quota che dovrà salire a un terzo entro il 2015. Secondo le stime questo significa dover “rintracciare” circa 700 consigliere e 200 sindaci già entro la fine del 2012. Mission impossible? Lo abbiamo chiesto a chi sta lavorando su questo fronte: Maurizia Villa, managing director di Korn Ferry Italia, Massimo Milletti, presidente per il nostro Paese di Eric Salmon & partners, Alberto Amaglio, manager director della filiale tricolore di Russel Reynolds Associates, e la sua collega Giulia Belloni, specializzata nel settore dei financial services.«Temo che se non fosse stata emanata una legge non ci si sarebbe mossi su questo versante», ammette Milletti, «ma forse sarebbe stato meglio prevedere una maggiore progressione, un meccanismo di adattamento più spalmato nel tempo: oggi la disponibilità di professioniste pronte per assumere ruoli importanti nei cda non è così ampia, di conseguenza si pone la questione di riuscire a soddisfare questa improvvisa e consistente domanda proponendo persone che siano davvero preparate». Più ottimisti i colleghi di Korn Ferry e Russel Reynolds, ma comunque convinti che difficilmente i tempi verranno rispettati. Insomma, qualche ritardo va messo in conto, anche perché, come osserva Giulia Belloni: «Salvo qualche eccezione rappresentata da grandi gruppi che hanno voluto rispondere immediatamente alle richieste della legge, l’adeguamento da parte del mercato è un po’ lento». «Bisogna innanzitutto tenere conto che ci sono dei tempi tecnici da rispettare, legati per esempio alle scadenze dei consigli», aggiunge Maurizia Villa. «C’è poi da dire che non c’è stata ancora alcuna comunicazione “ufficiale” indicante calendario e modalità specifiche, quindi siamo un po’ tutti in attesa. Del resto, ogni grande cambiamento, e questo è un grande cambiamento, richiede tempo. Sta però anche a noi agire da stimolo».

PROFESSIONALITÀ INNANZITUTTO. E infatti, se le aziende, salvo qualche eccezione, sembrano iniziare a muoversi solo ora, le società di executive search non si sono fatte cogliere impreparate. Anzi, hanno iniziato già da tempo a lavorare per individuare profili professionali e possibili candidate. «Associazioni e società di executive search hanno agito un po’ tutte in modo simile, ossia identificando, attraverso candidature già esistenti piuttosto che attraverso sourcing una serie di professioniste “papabili”», osserva Amaglio. «Abbiamo fatto un lavoro mirato per l’elaborazione di un database», aggiunge Villa, «ma non partendo dai nomi. Siamo andati a vedere in primo luogo i requisiti del consigliere indipendente – come, per esempio, l’onorabilità o la mancanza di conflitti di interesse – e poi le competenze professionali. Questo perché noi che facciamo questo mestiere dobbiamo assumerci la responsabilità di non andare a ricoprire le posizioni per numerologia, ma proporre consiglieri indipendenti che possano veramente portare valore, e non solo per funzioni di controllo». Del resto, come sottolinea Amaglio, «il tema di portare nel board competenze internazionali e organizzative esiste indipendentemente dalla questione della componente femminile, così – dovendo stendere un profilo per le nuove componenti – sicuramente queste caratteristiche saranno fondamentali». Inoltre, «una domanda interessante che sta emergendo», ha notato Milletti, «è quella di donne che abbiano esperienza nell’ambito della gestione del personale, così che possano entrare nel consiglio e assumere un ruolo importante anche nei comitati di remunerazione».

COSA ACCADRÀ A CHI NON SI ADEGUA?

Qualora la composizione di cda e collegi sindacali non rispetti le quote indicate, la legge prevede innanzitutto una diffida da parte della Consob, che darà quattro mesi di tempo per adeguarsi. In caso di inottemperanza, scatteranno le multe: da 100 mila euro a 1 milione per i board, da 20 mila a 200 mila per i collegi sindacali. A quel punto ci saranno altri tre mesi di tempo per “mettersi in regola”, dopodiché i componenti eletti decadranno dalla carica.

UNA SOLUZIONE IMPERFETTA MA NECESSARIA. Quello che resta da capire è se la soluzione delle quote rosa possa veramente risolvere l’innegabile predominanza maschile al vertice delle società. L’ultimo rapporto “EuropeanPwn boardwomen monitor”, realizzato dal Professional women network, ha reso noto che nel 2010 in Italia solo il 43% delle aziende aveva almeno una donna nei cda, ossia la percentuale più bassa d’Europa. E secondo un’indagine dell’ufficio studi Cerved Group la situazione è ancora più nera, la percentuale al 2010 scende infatti al 38,8%, mentre il peso delle donne tra gli amministratori sarebbe rimasto stabile, tra il 2007 e il 2010, intorno al 9% (altre stime scendono addirittura sotto l’8%). «Sono d’accordo che la soluzione delle quote rosa forse non è la migliore, che sentirsi imposti non è il massimo», commenta Milletti, «ma non credo che ci fosse un’alternativa». «L’esperienza insegna che quando ci si trova di fronte a una condizione molto arretrata bisogna prendere posizioni di rottura», concorda Belloni. «Tanto più che la soluzione si è già rivelata molto efficace in Nord Europa. I nostri colleghi che operano in quei Paesi hanno un’attività di inserimento donne molto più vivace della nostra e hanno anche aiutato a far emergere alcune professioniste italiane. Piuttosto, un rischio da tenere presente, è quello di affidare ad un’unica persona un numero eccessivo di cariche, che non le consentirebbe di fare un buon lavoro. Sta già accadendo. Nell’entusiasmo iniziale una serie di società si sono subito adeguate e cosa è successo? Gli stessi nomi compaiono in diversi board». «Sicuramente, in un primo momento, le persone più gettonate si troveranno ad assumere più incarichi», conferma Milletti, «così come le aziende imprenditoriali potranno cadere nella tentazione di coinvolgere qualche membro in più della famiglia, ma credo che si tratterà solo di una fase di assestamento. Già nel medio termine sono sicuro che i cda vanteranno professioniste estremamente valide. Solo la partenza sarà un po’ più complicata». 30 DONNE GIÀ AL TOP

UNO SGUARDO OLTRE I CONFINI

Non sorprende, ma il primo Paese europeo a introdurre le quote rosa è stata la Norvegia. Le aziende quotate a Oslo, già dal 2006, devono garantire l’ingresso delle donne nei board, pena sanzioni pecuniarie o, addirittura, lo scioglimento aziendale. L’obiettivo era quello di raggiungere il 40% entro il 2008 ed effettivamente da un paio d’anni le donne ricoprono il 41% delle posizioni di vertice. Diversa la strada intrapresa dalla Germania, che sta provando ad agire attraverso la cosiddetta “moral suasion”: il governo ha invitato le società a raggiungere, entro il 2015, il 20% di presenza femminile. In caso contrario, una legge introdurrà una quota obbligatoria

ENTUSIASMO E RESPONSABILITÀ. La buona notizia è che, comunque, il mondo femminile, anche se non sempre d’accordo con la soluzione imposta dalla legge, sta prendendo molto seriamente la questione e non intende affatto lasciarsi coinvolgere solo per fare numero. Se Giulia Belloni riconosce di aver riscontrato «grande entusiasmo, voglia di prepararsi e di dedicare tutto il tempo necessario alle nuove responsabilità», Maurizia Villa racconta: «Nel percorso di ricerca che ho seguito negli ultimi mesi ho avuto modo di parlare con professioniste di altissimo livello. Molte hanno però dichiarato di non essere disponibili a ricoprire posizioni di consigliere. In alcuni casi era una scelta legata a situazioni di conflitto o alla mancanza di interesse per il settore o l’attuale composizione del board, ma spesso mi hanno confessato di essere completamente assorbite dal loro ruolo manageriale attuale e di non avere quindi il tempo necessario da dedicare a un nuovo incarico. Da questo punto di vista le donne esprimono una serietà veramente notevole: se sanno di non essere in grado di gestire un compito seriamente, preferiscono rinunciare».

BOARD IN ROSA, DEFAULT DIMEZZATI