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Leadership

Scale up in tre passi: i consigli di Mark Roberge

Il manager, imprenditore e docente della Harvard Business School ha messo a punto un modello scientifico per analizzare quando, come e su quali fattori basare lo scale up del business. Ecco come funziona

architecture-alternativo Docente di vendite e marketing presso la Harvard Business School, Mark Roberge è anche cofondatore di Stage 2 Capital

La pandemia prima, la guerra in Ucraina poi, con la conseguente crisi energetica e il galoppo dell’inflazione, hanno dato filo da torcere sia alle start up sia alle imprese più “consolidate”. Per lungo tempo, più che a un modello di business scalabile, si è pensato solo alla sopravvivenza sul mercato, tagliando i budget e contenendo gli investimenti. Ora, però, si torna a parlare di scale up. È tempo di guardare oltre e ricominciare a parlare di crescita. Cosa non facile visto che, anche le aziende rimaste in piedi nonostante tutto, sono spesso a corto di risorse e non possono permettersi di veder sfumare eventuali investimenti o di alterare il precario equilibrio raggiunto senza, non dico la certezza, ma almeno buone probabilità di successo.

Mark Roberge: dalla sales acceleration formula al modello di business scalabile

È qui che entra in gioco Mark Roberge, docente di vendite e marketing alla Harvard Business School e co-fondatore di Stage 2 capital, ex VP Sales di HubSport, già ideatore della sales acceleration formula, un sistema predittivo per allineare vendite e marketing e far incrementare in modo esponenziale i fatturati e le performance dei sales. Roberge ha applicato il suo approccio scientifico alla cosiddetta scalabilità di un business e messo a punto un modello in tre step che aiuta ad analizzare come, quando e su quali fattori basare l’innesco della crescita e come operare per renderli praticamente effettivi.

Mark Roberge

Mark Roberge ritratto nel corso del suo intervento al Sales Forum organizzato da Performance Strategies

Lo scale up di un prodotto o servizio in tre passi

Il fattore decisivo per andare incontro a un successo, in questi casi, è scegliere il momento giusto per fare lo scale up e, al contempo, procedere alla giusta velocità.

Tutto ha inizio con il Product Market Fit

Il primo concetto che dovrebbe guidare nell’analisi è quello di Product Market Fit, introdotto nel 2005 da Eric Ries e Steve Blank per indicare quella fase di attività di un’azienda raggiunta quando un prodotto o un servizio è in grado di soddisfare un mercato nello specifico. Quella che porta al raggiungimento del Product Market Fit è una fase importantissima. È quella in cui vengono svolti test e raccolti feedback che consentono di “fallire rapidamente” per giungere, con minor rischio e investimento, al prodotto giusto. Si tratta, insomma, di un fattore indispensabile di agilità per un’impresa.

«Avere un prodotto che può vendere bene non corrisponde ad avere il Product Market Fit», spiega tuttavia Roberge. L’adeguatezza del prodotto rispetto al mercato va approfondita e verificata attraverso alcuni specifici parametri. Tra questi, uno è certamente il livello di fidelizzazione del cliente perché, continua l’esperto, «l’unità di misura imprescindibile è sempre il livello di attenzione del cliente». Se, infatti, «il mondo pre-internet si basava solamente sull’advertising e sul successo delle vendite, ora, invece, tutto verte in maniera molto consistente sulle recensioni che i clienti lasciano online. Inoltre, oggi sono moltissimi i business che si basano su meccanismi di abbonamenti e subscription per l’utilizzo di prodotti e servizi. In questi casi, se i clienti non sono soddisfatti del prodotto o servizio sottoscritto, il mese successivo saranno clienti persi, perché non saranno affatto propensi a rinnovare l’acquisto».

Ma nella new economy, lo sappiamo, tutto scorre in maniera rapida. Ecco perché, sottolinea Roberge, già dal primo mese dopo l’acquisizione di un nuovo cliente è possibile (e si dovrebbero) cominciare ad avere dei dati sulla sua retention. Basterà, innanzitutto, interrogarlo sul livello di soddisfazione relativamente al prodotto servizio che ha acquistato: in questo modo si otterrà un primo indicatore di customer success e, di conseguenza, un indicatore che parla del successo (o dell’insuccesso) del prodotto. L’aspetto positivo è che «tutto questo è riassumibile in una funzione matematica per cui l’indicatore della customer retention è positivo se una determinata percentuale di clienti compie un certo numero di eventi in un dato arco di tempo».

Secondo passo: il Go To Market Fit, che cos’è e come raggiungerlo

Una volta misurata la retention, prima di iniziare lo scaling up è necessario comprendere se ciò che stiamo facendo oggi produce una buona economia, adatta a scalare. C’è spesso differenza, infatti, tra il raggiungimento del Product Market Fit e un buon piano d’azione che renda gli obiettivi prefissati concretamente raggiungibili. Anche per raggiungere e ottimizzare questa seconda ed essenziale fase del processo di scaling up, il Go To Market Fit, Roberge individua alcuni indispensabili indicatori:

  • Ltv, cioè il Lifetime Value del cliente
  • Cac, cioè il Costo di acquisizione del cliente
  • Acv, cioè il Valore del contratto annuale per cliente
  • Gm%, cioè la Percentuale di margine lordo
  • Sql cioè i Sales Qualified Lead.

Mettendo in rapporto questi parametri che ogni business dovrebbe costantemente monitorare e conoscere, spiega il docente, è possibile ottenere una formula che ci indica se la nostra economia sta producendo risultati adeguati, che permettano lo scaling up. Nello specifico, il Go To Market Fit è raggiunto quando il rapporto tra Lifetime Value del cliente (ossia il valore del contratto annuale moltiplicato per la percentuale di margine lordo, diviso il tasso di abbandono) e il Costo di acquisizione dello stesso (ossia il costo sostenuto per generare l’opportunità sommato al costo della vendita) è maggiore di tre. Tutti questi dati dovrebbero essere presenti all’interno di una dashboard, in cui indicatori visuali segnalino quali valori non dovrebbero essere oltrepassati, pena il non raggiungimento del Go To Market Fit.

Il forte vantaggio per imprenditori, manager e chiunque guidi il processo di crescita dell’azienda è quello di poter monitorare in tempo reale e rendersi conto immediatamente se un valore si sta pericolosamente spostando fuori dal raggio d’azione consigliato.

In conclusione, si è pronti allo scale up quando si è raggiunto sia un buon Product Market Fit, sia un buon Go To Market Fit. Occorre lavorare sequenzialmente su queste due aree e poi, ogni singolo mese, trimestre e anno, è necessario verificare i tassi di acquisizione clienti e i vari potenziali.

Perché in uno scale up correre troppo non paga

Il terzo e ultimo passo è, finalmente, quello dello scale up, della tanto agognata crescita. Anche in questo caso, però, è necessario procedere nei modi e nei tempi giusti. «Scalare troppo velocemente», spiega l’esperto, «è pericoloso almeno quanto non farlo. Il rischio concreto è quello di bruciare molte risorse che possono arrivare a “uccidere” un’azienda. Tra gli errori più comuni in questo senso, ad esempio, c’è quello di aumentare troppo rapidamente la forza vendita, focalizzandosi sull’obiettivo, ma tralasciando tutte le importanti fasi intermedie di colloqui, onboarding, formazione».

Ma, quindi, a che velocità bisogna procedere? «Mi è capitato di lavorare con aziende che, per crescere, progettavano di assumere dieci nuovi venditori nel giro di 30 giorni. Crescere rapidamente è un’esigenza che capisco, ma spesso si tende a procedere troppo in fretta», sottolinea Roberge. «Scalare non è un evento monodirezionale che si può programmare, magari a inizio anno: è un ritmo da tenere, un processo che va portato avanti attraverso delle azioni, secondo una cadenza dettata dai dati, per cui ogni mese si aggiunge un’attività. È fondamentale procedere al ritmo giusto per analizzare e osservare cosa succede. Non basta assumere personale e restare con le dita incrociate, sperando che i commerciali appena inseriti vendano di più. Occorre assicurarsi di generare abbastanza domanda, perché questi possano farlo e avere ben presente che tutto ciò che vediamo oggi nel nostro conto economico è la conseguenza di ciò che abbiamo deciso nove mesi fa».

L’esperto consiglia di iniziare assumendo un nuovo commerciale ogni mese per quattro mesi, per poi passare a due, e poi ancora a quattro. Quando si arriva ad assumerne otto al mese significa che si sta costruendo un cosiddetto unicorno in modo sano.

Sempre con Performance Strategies, più di recente Roberge ha tenuto anche un Marketing workshop online interamente incentrato proprio sul suo modello di scalabilità del business

Serve un monitoraggio continuo

Una volta raggiunto l’obiettivo dello scale up, non bisogna però commettere l’errore di pensare di aver concluso il lavoro. Proprio perché, come ha spiegato Roberge, scalare non è un singolo evento, ma un processo, anche quando le cose sembrano andare bene, è necessario mantenere un forte focus su quali segmenti del business stanno performando e quali non abbastanza. Secondo il docente della Harvard Business School, gli elementi da monitorare sono: prodotto (attuale e nuovo), mercato (medio ed enterprise) e canale (diretto o tramite partner). «Ogni volta che, all’interno del nostro business, uno di questi fattori cambia, è necessario rivalutare le due fasi precedenti da capo», spiega Roberge.

«Ciò che è importante capire è esattamente dove il Product Market Fit e il Go To Market Fit stanno performando di più. Riuscendo a ottenere e analizzare i dati relativi alla tipologia di prodotto, di mercato e di canale, diventa possibile identificare strategicamente se è il caso di scalare, di testare o di non fare nulla per quanto riguarda quel fattore specifico. E a quel punto è anche possibile diversificare e specializzare le attività team: una squadra si dedicherà allo scaling up, un’altra all’efficientamento delle altre aree».

Il modello, insomma, si rivela valido per analizzare cosa fare in ogni fase e implementare in concreto la scalabilità. Anche quando si vuole scalare un’area completamente nuova, come un nuovo prodotto, un nuovo mercato o, anche, nuovi clienti. Anzi, ancora di più in questi casi, visto che i rischi di fallimento risultano particolarmente alti se non si procede nel modo giusto. E l’approccio giusto consiste nel continuare a curare il core business già implementato da un lato, mentre dall’altro ci si dedica all’innovazione, uscendo sul mercato, per esempio, con un prodotto nuovo.

«Spesso le aziende, quando hanno un nuovo prodotto, concentrano tutta la forza vendita per spingerlo, a volte persino prima del lancio. È folle destinare tutte le risorse a un prodotto che non è mai stato usato da nessun cliente, solo perché si è investito per svilupparlo. Uccide la produttività», avverte Roberge. «Al contrario, è essenziale differenziare e avere un team che scala e uno che apprende e testa. E fare in modo che questi gruppi restino sempre interfunzionali».


Questo articolo, realizzato in collaborazione con Performance Strategies, è tratto da Business People di luglio-agosto 2023, scarica il numero o abbonati qui