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Lavoro

Lavorare da casa fa bene all’ambiente? Sì, ma non sempre

Un recente studio americano fa luce sulle potenzialità di un’attenta organizzazione del lavoro per ridurre l’impatto ambientale. Attenzione, però, il remote working non è a “emissioni zero”

architecture-alternativo Credits: RossHelen/iStockPhoto

Per alcuni lavori come l’autista o un membro delle Forze dell’ordine resterà probabilmente un’utopia, ma centinaia di milioni di lavoratori nel mondo hanno già sperimentato i numerosi benefici di poter lavorare da casa. Niente imbottigliamenti nel traffico, un possibile risparmio economico per rifornimento, costi dei mezzi pubblici e alimentazione (anche a fronte di una bolletta energetica un po’ più cara) e un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale.

Chi lavora da casa a tempo pieno, inoltre, inquina meno. La conferma arriva da un recente studio pubblicato sul Proceedings of the National Academy Sciences, secondo il quale questa tipologia di lavoratori produce meno della metà delle emissioni di gas serra degli impiegati.

Lavorare da casa: i benefici per l’ambiente

Lo studio, condotto negli Stati Uniti ma applicabile anche ai lavoratori europei, ha evidenziato come chi lavora da casa un giorno a settimana sia arrivato a ridurre le proprie emissioni del 2%, mentre chi ha opera da remoto dai due ai quattro giorni su sette riduca le emissioni fino al 29% di un impiegato d’ufficio.

L’utilizzo di apparecchiature It e di telecomunicazioni sembra avere un impatto trascurabile sull’impronta di carbonio dei singoli individui, ma il lavoro da casa avrebbe comportato un minor consumo energetico degli uffici oltre a una riduzione delle emissioni di carburante legate agli spostamenti quotidiani.

Serve un’attenta pianificazione

Gli autori dello studio sottolineano, però, come il remote working debba essere pianificato attentamente per ottenere benefici in termini di riduzione delle emissioni. “Sbaglia chi pensa che il lavoro da casa sia a emissioni zero”, ha affermato Fengqi You della Cornell University, coautore dello studio. “Il vantaggio netto del lavoro da casa è sicuramente positivo, ma una questione chiave è quanto sia positivo”. Il ricercatore sottolinea una tendenza comune: chi lavora da remoto tende a consumare più emissioni per attività sociali.

La ricerca, infatti, ha rilevato che i viaggi non a scopi lavorativi di chi lavora a distanza sono aumentati. Inoltre, non tutte le abitazioni sono ottimizzate in termini di utilizzo di energie rinnovabili e di efficienza degli elettrodomestici, a differenza di uffici di nuova generazione che sono stati certificati per ottenere risparmi energetici legati su larga scala. Ad esempio è possibile che una stampante domestica sia meno efficiente dal punto di vista energetico rispetto a una stampante da ufficio.

C’è chi, inoltre, potendo godere di più giorni di lavoro da remoto, abbia deciso di spostarsi in zone più rurali e meno fornite di mezzi di trasporto. Questo potrebbe comportare una maggiore impronta di carbonio dovuta al maggior utilizzo di veicoli privati.

“Sebbene il lavoro a distanza mostri potenzialità nel ridurre l’impronta di carbonio, per beneficiarne appieno è essenziale un’attenta analisi dei modelli di pendolarismo, del consumo energetico degli edifici, della proprietà dei veicoli e dei viaggi non legati al pendolarismo”, scrivono i ricercatori.