Lavoro
Laurearsi paga ancora? Sì, ma bisogna avere pazienza
Ad un anno dalla laurea solo un giovane su tre lavora stabilmente. La condizione migliora a cinque anni dal titolo di studio. I risultati del XV rapporto Almalaurea
Laurearsi conviene ancora? Se lo chiedono molti giovani intenti a scegliere il proprio indirizzo di studi dopo il diploma, ma anche molti neo-laureati ai loro primi passi nel (sempre più difficile) mercato del lavoro. Secondo il XV rapporto Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati per veder i frutti delle fatiche universitarie occorre lasciar passare qualche anno dopo il conseguimento della tanta agognato titolo di studio.
AD UN ANNO DALLA LAUREA. Aumenta la disoccupazione (in misura superiore rispetto all’anno passato) fra i laureati triennali: dal 19 al 23%. La disoccupazione lievita anche fra i laureati specialistici, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 20 al 21% . Ma cresce pure fra gli specialistici a ciclo unico, come i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza: dal 19 al 21%. Una tendenza che si registra in generale anche a livello di percorso di studio (anche fra i laureati tradizionalmente caratterizzati da un più favorevole posizionamento sul mercato del lavoro, come gli ingegneri, ad esempio) e di area geografica di residenza. Con la sola eccezione dei laureati specialistici a ciclo unico, ad un anno dall’acquisizione del titolo diminuisce, fra i laureati occupati, il lavoro stabile (i lavoratori a tempo indeterminato e quelli che hanno dichiarato di essere effettivamente autonomi). La stabilità riguarda così il 41% dei laureati occupati di primo livello (-1 punto rispetto all’indagine 2011) e il 34% dei laureati specialistici. Rispetto all’indagine 2008 la stabilità lavorativa ha subìto una forte contrazione, pari a 10 punti tra i triennali, 6 punti tra gli specialistici, ma solo di 3 punti tra i colleghi a ciclo unico. Contrazione legata in particolare al vero e proprio crollo, in taluni casi, dei contratti a tempo indeterminato (-13 punti percentuali tra i laureati triennali, -8 punti tra gli specialisti e –4 tra quelli a ciclo unico). Ciò che rende la situazione ancora più preoccupante è che, alla riduzione della stabilità lavorativa registrata negli ultimi quattro anni, si è associato un aumento particolare dei lavori non regolamentati da alcun contratto di lavoro (+3 punti per i laureati di primo livello, +4 punti per i colleghi di secondo livello). Il lavoro nero (laureati senza contratto) riguarda il 7% dei laureati di primo livello e degli specialistici, il 12,5% di quelli a ciclo unico. Le retribuzioni ad un anno dalla laurea superano di poco i 1.000 euro netti mensili: 1.049 per il primo livello, 1.059 per gli specialistici, 1.024 per gli specialistici a ciclo unico. Rispetto alla precedente rilevazione, le retribuzioni nominali risultano in calo, con una contrazione pari al 5% fra i triennali, al 2,5% fra i colleghi a ciclo unico e al 2% fra gli specialistici biennali. Se si estende il confronto temporale all’ultimo quadriennio (2008-2012), si evidenzia che le retribuzioni reali sono diminuite, per tutte e tre le lauree considerate, del 16-18%.
A CINQUE ANNI DALLA LAUREA. Con il trascorrere del tempo dal conseguimento del titolo, la condizione occupazionale tende complessivamente a migliorare, confermando che il nostro è un mercato del lavoro che si caratterizza per tempi lunghi di inserimento lavorativo e di valorizzazione del capitale umano, ma di sostanziale efficacia nel lungo termine. Per i laureati intervistati a cinque anni dal titolo il tasso di disoccupazione si riduce a valori “fisiologici” (6%), nonostante la crisi. A cinque anni, l’occupazione indipendentemente dal tipo di laurea è prossima al 90 per cento. Anche per quanto riguarda la stabilità del lavoro e il guadagno, tra uno e cinque anni dal conseguimento del titolo si evidenzia un generale miglioramento: la stabilità si dilata infatti fino a coinvolgere 7 occupati su 10 (tra i triennali quasi 8 su 10); le retribuzioni nette mensili si attestano a circa 1.400 euro mensili (con forti disparità per livello e percorsi di studio, genere, ripartizioni territoriali).