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Lavoro

La formazione esperienziale: il futuro della formazione aziendale

Dopo il Covid niente è più come prima, nemmeno la formazione, costretta a cambiare non solo metodologie e strumenti, ma anche le principali materie di studio. Vediamo quali sono le principali tendenze

architecture-alternativo Credits: © iStockPhoto

A scuola bastava l’appello a inizio lezione per capire chi c’era o non c’era, anche se agli studenti è sufficiente un colpo d’occhio per saperlo; l’appello è sempre servito solo ai professori. Finché la pandemia ha dato alla parola assenza un peso a cui nessuno di noi adulti era preparato: esserci, benché altrove. Lo hanno dovuto capire le scuole, ma soprattutto le aziende che, per sopravvivere, si sono misurate con nuovi codici e nuove modalità di formazione: alternativa non c’era.

Abbiamo chiesto come è cambiata la loro offerta – e, a monte, se e perché è mutato il loro pensare alla formazione – a chi se ne occupa costantemente e ha un buon termometro sulle trasformazioni: carta bianca per farci rispondere in cinque punti. La formazione serve e servirà sempre, anche se quello che non si dice mai è che nel frattempo l’unico grande assente si sta rivelando il mercato del lavoro. “Per quale futuro ci stiamo formando?”, resta la grande domanda.

La virata verso le soft skill

L’esperienza di Istao (Ancona) è innegabile: 57 anni di scuola per l’Istituto che porta nel nome le iniziali di Adriano Olivetti. Parliamo delle trasformazioni in corso con Sabrina Dubbini, responsabile Master in strategia e management per le pmi e corsi executive per quadri e dirigenti d’impresa, oltre che consigliere nel Direttivo Asfor.

Marchiamo subito le differenze per quelle funzioni tecniche e tecnologiche che procedono di pari passo col progresso, inarrestabile, e che sono state rapidamente stravolte dalle frontiere della digitalizzazione. «È invece sulla parte comportamentale delle competenze, e quindi sulle relazioni, che le aziende hanno iniziato a interrogarsi e ad agire dopo la pandemia», dice.

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Sabrina Dubbini è responsabile del Master in strategia e management per le pmi e corsi executive per quadri e dirigenti d’impresa, oltre che consigliere nel Direttivo Asfor

Ma andiamo per punti. «L’idea del ripararsi dai rischi, e del problem solving in generale, è diventata primaria dopo la pandemia che ha rappresentato uno iato per noi, un prima e un dopo. È cambiata l’intensità con cui si è capito di trasmettere un’urgenza nella formazione di simili competenze, fino a quel momento nessuno, né noi né le aziende, percepivano quella competenza come indispensabile. La pandemia ha messo al primo posto il ricorso alla creatività e non alla procedura».

La virata verso le soft skill , spiega Dubbini, ha segnato il passo, «soprattutto per la parola innovazione che era sempre stata concepita come materia di formazione, come concetto: solo da dopo la pandemia, è stata intesa come materia psicologica, come un abituare, un allenare le menti, a essere innovativi. Si sono ricombinate le variabili spazio-tempo della formazione, completamente. Aula fisica, orari e tempistiche, modalità e tempi di apprendimento non valgono più come prima. Subito dopo la pandemia il senso di spazio è saltato ma di nuovo le aziende ci stanno chiedendo il ritorno in presenza, soprattutto per la formazione executive. Per noi è un buon segno, avendo sempre puntato a un concetto di formazione di comunità più che manageriale. Al tempo stesso la formazione da remoto ha aperto strade verso percorsi formativi di carattere internazionale, prima impossibili da realizzare con una simile immediatezza».

L’INTERVISTA – Tra Academy e nuovi metodi

La (nuova) formazione manageriale

È cambiata la finalità e l’utilità della formazione manageriale: prima, aggiunge Dubbini, «era vista come un benefit aziendale, perché l’azienda aveva bisogno di una certa competenza in più e la richiedeva, ora domina l’esigenza di una riconversione dei valori individuali e personali, sono le persone che vanno verso la formazione che è ormai annoverata tra i piaceri del crescere. Le aziende chiedono stage extracurriculari e pagano le risorse più giovani, pur di attrarle; fino a tre anni fa si attivavano solo stage curriculari, ordinari, con nessuna copertura economica. Inoltre, puntiamo adesso alle micro-competenze permettendo alle imprese di offrire ai più giovani la possibilità di frequentare moduli singoli dei mostri master, non il percorso intero che vorrebbe dire sottrarli alle aziende per tempi troppo lunghi. In questo modo le nuove leve si formano ad hoc su certi aspetti, ma non si staccano dalla crescita sul posto di lavoro. È un’ottima via quella di certificare singole competenze, anche per facilitare un loro percorso di formazione successivo e sempre più specifico».

Una rivoluzione di metodologie e contenuti

Chiara Milani è Learning Designer per Fòrema (Padova) e si occupa anche di progettazione di percorsi formativi in ambito People Management & Organization. Con lei tracciamo il quadro dei cambiamenti che ha saputo decodificare intorno al suo lavoro e a quello di Fòrema negli ultimi tre anni. «Senza dubbio due sono stati gli assi con cui la formazione aziendale ha dovuto fare i conti dopo la pandemia: le metodologie e i contenuti. La pandemia ci ha costretti a ripensare al senso di presenza rivedendo le modalità formative tradizionali, viste le restrizioni. La spinta alla diffusione di una didattica online ci ha fatto riflettere su come risponda a due bisogni aziendali fondamentali: l’urgenza sia di una formazione che abbatta le barriere fisiche, sia di una personalizzazione sempre spinta per il percorso di apprendimento dei propri dipendenti, consentendo a ciascuno di costruirsi e auto-organizzarsi un suo specifico circuito formativo».

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Chiara Milani. Learning Designer per Fòrema, si occupa anche di progettazione di percorsi formativi in ambito People Management & Organization

Le aziende, spiega Milani, richiedono modalità formative innovative che permettano di abbattere i limiti temporali e che garantiscano un apprendimento just in time. «Per questo cominciano a richiedere piattaforme formative originali e divertenti e, in questo contesto, le piattaforme di micro-learning stanno prendendo sempre più piede. Il micro-learning è una forma di apprendimento utilizzata in modo flessibile e autonomo, dove e quando si vuole, garantendo la continuità del processo di apprendimento. Le imprese desiderano innovarsi, pensare in modo nuovo: è per questo che cercano modalità formative hybrid per godere dei vantaggi dell’online e della presenza, e per potenziare, al tempo stesso, digital e soft skill di ciascuno».

Se la formazione online (asincrona), infatti, garantisce di gestire in maniera flessibile e autonoma il proprio percorso di apprendimento, la formazione in presenza permette di mantenere l’interazione e le relazioni face to face. «Non vogliono rinunciare a nessuna delle due facce», precisa la Learning Designer di Fòrema. «Per la formazione, sia online che in presenza, ci si sta orientando verso metodologie che assegnino un ruolo attivo allo “studente”, superando la tradizionale aula frontale e preferendo approcci esperienziali: le persone vogliono apprendere direttamente, da situazioni reali, le competenze in gioco». Se da un lato sono cambiate le modalità formative, dall’altro si è vista una trasformazione dei contenuti. «Sempre più le aziende vogliono lavorare su sviluppo e potenziamento delle soft skill utili a migliorare l’efficacia nel lavoro, la crescita (personale e professionale) e soprattutto la proattività» conclude Milani. Quest’ultima è fondamentale per fronteggiare i così rapidi cambiamenti che marcano ormai il mondo del lavoro contemporaneo senza lasciarsene sopraffare».


Questo articolo è parte di Fattore F – Obiettivo Formazione, speciale pubblicato su Business People di ottobre 2023. Scarica il numero o abbonati qui