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Lavoro

È ora di toccare l’art.18

Tra le novità: contratto a tempo indeterminato, periodo di prova di sei mesi e possibilità di licenziamento per motivi economici od organizzativi Il disegno di legge del senatore e giuslavorista Pietro Ichino propone di puntare su una maggiore protezione di colui che perde il posto, piuttosto che su di un’ingessatura del rapporto di lavoro. Le imprese sono favorevoli, i lavoratori pure. E il ministro Sacconi ha dimostrato un certa apertura

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Pietro Ichino giudica il modello di lavoro attualmente vigente in Italia inefficiente per svariati motivi: scoraggia l’investimento in formazione dei precari, genera una cattiva allocazione delle risorse umane ed espone gli imprenditori più scrupolosi alla concorrenza differenziale di quelli più spregiudicati nell’utilizzo di forme di lavoro non legali. Ecco per quale motivo ha elaborato un disegno di legge che si basa sulla definizione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con periodo di prova esteso a sei mesi e con la possibilità, superato questo termine, di licenziamento per motivi economici od organizzativi. E che al contempo introduce un sistema di assistenza al lavoratore disoccupato avanzato, tanto in termini di indennizzo economico quanto di formazione e riqualificazione. Insomma una riforma che permette il superamento della distinzione tra lavoratori a tempo indeterminato e precari, restituendo alle nuove generazioni la speranza per il futuro. E per di più assicurando alle imprese la flessibilità di cui necessitano. Il tutto senza gravare sui conti dello Stato. Un miracolo? No, secondo il senatore, giuslavorista e docente universitario Pietro Ichino è piuttosto un sistema che si basa sulla sperimentazione e sulla disponibilità di imprese e lavoratori al confronto, pur nei limiti stabiliti dalla norma.

Il suo disegno di legge (come da bozza di lavoro aggiornata all’11 gennaio 2009) propone di introdurre un sistema avanzato di Flexsecurity sul modello nordeuropeo. È la fine del precariato?Diciamo, piuttosto, che è… l’inizio della fine: il progetto non si propone una palingenesi generale e istantanea, ma l’avvio della sperimentazione del nuovo regime nelle aziende più avanzate e più aperte all’innovazione nei metodi di gestione delle risorse umane. In sostanza, nella prima fase, il nuovo diritto del lavoro si applicherà quelle che saranno disponibili a farsi carico del “costo sociale” dell’aggiustamento industriale. In una seconda fase, la generalizzazione del nuovo regime potrà avvenire evitando le contrapposizioni ideologiche, sulla base di una valutazione pragmatica dei risultati della sperimentazione.

Contratto unico e nuova disciplina del licenziamento. Sono gli ingredienti principali del suo disegno di legge. È questa la chiave per garantire flessibilità alle imprese e tutelare i lavoratori?Più che di “contratto unico”, parlerei di uno standard minimo generale di protezione del lavoro economicamente “dipendente”, crescente con l’aumentare dell’anzianità di servizio del lavoratore. Non parlerei di “contratto unico”, perché in quel guscio protettivo possono inserirsi rapporti di lavoro di tipi svariati: dal tempo pieno al tempo parziale, dal job sharing allo staff leasing, dall’apprendistato al telelavoro, e chi più ne ha più ne metta. In altre parole, non vuol essere e non sarà certamente una “camicia di Nesso” imposta ai rapporti di lavoro.

Mario Monti, in un fondo di qualche settimana fa apparso sul Corriere della Sera ha espresso il proprio consenso nei confronti del suo disegno di legge, scrivendo «una riforma di questo tipo potrebbe dare ai giovani speranza oltre la crisi e preparare l’Italia alle dure sfide della competitività internazionale con una maggiore coesione». Anche Emma Marcegaglia si è detta favorevole a questa proposta. Quali ritiene siano i reali ostacoli per far camminare questo disegno di legge?La paura, ancora dura a morire in entrambi gli schieramenti politici di maggioranza e di opposizione. Paura di “toccare” lo Statuto dei lavoratori di quarant’anni fa, sia pure soltanto in via sperimentale; paura che qualche settore del sindacato riprenda a fare le barricate. Ma la Cisl ha già preso una posizione di grande apertura sul progetto; e stanno maturando consensi significativi anche in seno al vertice della Cgil, e soprattutto in alcune sue organizzazioni di base, che mi invitano a discuterne in ogni parte d’Italia. Il consenso si sta allargando ogni giorno che passa. Per un verso, i lavoratori che hanno già un lavoro stabile non vengono toccati dalla sperimentazione, che riguarderà soltanto i nuovi assunti; peraltro il nuovo regime interessa molto alle imprese più dinamiche e alla nuova generazione di lavoratori.

Quale ruolo ridefinisce questo disegno di legge per le agenzie per il lavoro?Le agenzie private di collocamento, quelle di fornitura di lavoro temporaneo e quelle di outplacement svolgeranno un ruolo decisivo nel fornire agli enti bilaterali o consortili il know-how più aggiornato, gli strumenti più sofisticati per rendere efficace la mediazione tra domanda e offerta del lavoro. Una conferma molto significativa di questo loro ruolo, quindi del loro interesse positivo per il progetto, è costituito dall’adesione di Manpower Italia, attraverso il suo amministratore delegato Stefano Scabbio, alla lettera aperta inviata da 73 imprese medio-grandi – con un totale di circa 55 mila dipendenti -, su iniziativa del Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale- Gidp, al ministro Sacconi e a Enrico Letta, per sollecitare un impegno bipartisan su questo progetto: anche questa si può leggere sul mio sito, come la lettera aperta simmetrica inviata agli stessi destinatari da 200 giovani di tutte le parti d’Italia.

Come è stato recepito il progetto da parte dei principali esponenti del Pd e della maggioranza?Nel Pd hanno preso esplicitamente posizione a favore del progetto, oltre a Walter Veltroni, anche Enrico Morando, Sergio Chiamparino, Matteo Colaninno, Massimo Calearo, Filippo Penati, Maurizio Martina, l’organizzazione lombarda dei Giovani Democratici. Anche Enrico Letta, responsabile per il lavoro, ha assunto una posizione molto aperta, pur preferendo il progetto del “contratto unico” nella versione proposta da Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Dal centro-destra, invece, per ora c’è stata soltanto la presa di posizione positiva di Giuliano Cazzola. Il ministro Maurizio Sacconi – in risposta alle lettere aperte del Gruppo intersettoriale direttori del personale – Gidp e di 200 giovani da tutta Italia – ha manifestato un’apertura: «Se si dimostrasse una disponibilità convinta dell’opposizione a soluzioni largamente condivise con le parti sociali noi siamo pronti a discuterne».

Quali sono i punti del disegno di legge che hanno trovato in maggiore disaccordo i suoi interlocutori e che potrebbero essere soggetti a eventuali modifiche? Ovviamente, il “punctum dolens” è sempre l’articolo 18 dello Statuto, la rinuncia al sistema della reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di giudizio negativo sul giustificato motivo economico-organizzativo del licenziamento. Nella versione attuale del disegno di legge è previsto il limite dei 20 anni di anzianità di servizio; questo limite, ovviamente, deve essere oggetto del negoziato tra le parti sociali interessate e, se si trova una soluzione equilibrata che soddisfi tutti, può anche essere abbassato. Ma la mia opinione è che sarebbe sbagliato farlo: nella logica della riforma, si deve puntare semmai su una maggiore protezione nel mercato, per il lavoratore che perde il posto, piuttosto che su di un’ingessatura precoce del rapporto di lavoro, che indebolisce le strutture produttive e fa sì che il lavoro sia mediamente meno valorizzato.

Come è stato accolto il disegno di legge della varie sigle sindacali maggiori?Cgil, Uil e Ugl per ora tacciono. La Cisl, invece, come dicevo prima, ha pubblicato un documento del suo Centro Studi nel quale si dice testualmente che il progetto ha, sì, alcuni “aspetti di criticità”, ma «è affascinante e indica la strada giusta per affrontare il problema del precariato», puntando sulla capacità del sistema di relazioni industriali di attivare e gestire la sperimentazione.

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Pietro Ichino