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Lavoro

La diversity è ancora donna

Altro che nazionalità o credo religioso, la diversità in azienda resta una questione di genere

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Il tempo passa, ma niente o quasi sembra cambiare. La diversity in azienda è ancora una questione di genere. È quanto emerge da una ricerca sul tema condotta su imprese e candidati dalla piattaforma online per la ricerca di lavoro Infojobs in occasione di “Jobbando”. Lo hadichiarato, infatti, ben il 71% dei candidati. Segue in seconda posizione ma a grande distanza la nazionalità (23%), e, decisamente meno rilevanti, l’orientamento sessuale (6%), il colore della pelle (4%) e il credo religioso (3%). “Nonostante una popolazione lavorativa al 42,1% femminile e un campione di oltre 1.300 rispondenti di età compresa tra i 26 e i 55 anni ed equamente diviso tra uomini e donne, per i candidati il tema più sentito è quello delle pari opportunità. La strada da fare è ancora lunga, per questo è importante per noi come osservatorio dare il nostro contributo per stimolare il dibattito e la riflessione su un tema chiave come questo”, ha commentato in merito Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs.

Proseguendo l’analisi dei risultati, è degno di nota che oltre il 52% dei candidati abbia ammesso di essersi “sentito diverso” sul luogo di lavoro, anche se fortunatamente alla maggior parte è capitato saltuariamente, solo in alcuni contesti (34%). Solo il 16% ha dichiarato invece di non sentirsi diverso perché l’ambiente in cui lavora è inclusivo e valorizza la diversità. Andando più a fondo con una domanda esplicita legata a episodi discriminatori, ben il 33,5% ha dichiarato di avervi assistito, controbilanciato fortunatamente da un 60% cui non è mai capitato, ma che dichiara che interverrebbe qualora capitasse.

Ma come viene vissuta la diversità in azienda? Bene nel 30% dei casi, o perché ci sono politiche specifiche di inclusione (18%), oppure perché, anche in assenza di politiche specifiche, l’azienda valorizza la diversità (12%). Male per il 23%, perché ci sono politiche che vengono ignorate (12%) oppure per discriminazione vera e propria (11%). Il vero vincitore è però l’indifferenza, che può essere letta con accezione positiva di “guardare alle persone per quello che sono e per come lavorano” o negativa di “far finta di non vedere”: per il 47% non ci si presta attenzione, nel bene e nel male. Infine, l’88% dei candidati dichiara di sapere cosa sia il diversity management, ma per il 52% significa trattare tutti allo stesso modo, mentre solo per il 36% significa valorizzare le differenze. In parallelo, l’87% non ha una figura di diversity management specifica in azienda né qualcuno che se ne occupi, ma per il 49% ce ne sarebbe bisogno.

Il punto di vista delle aziende

Il primo dato che emerge dalle aziende rispondenti, per l’80% Pmi sotto i 250 dipendenti, è sorprendente: il 20% dichiara di avere una politica di diversity management, mentre il 7,5% dichiara di essere al lavoro per averla entro 1 anno. Se a ciò si somma il 34% che dichiara di non avere politiche specifiche ma di promuovere e valorizzare la diversity, la percentuale di aziende attente alla diversità supera il 60%, mentre un 38% rimane indifferente e non ha in piano nessun tipo di attività.

Chi si occupa di diversity management in azienda? Il 20% ha una figura interna che si occupa di diversity management, specifica o delegata; il 13% sta lavorando per crearla, mentre il 24,5% dichiara di non averlo in piano ma che ce ne sarebbe bisogno. Rimane comunque un importante 43,5% che dichiara di non sentire il bisogno di una figura specifica che possa strutturare, garantire e presidiare la policy di diversity management. Interrogando gli HR aziendali su esperienze concrete di gestione della diversity in azienda, il 64,5% dichiara di non aver mai dovuto gestire situazioni difficili, mentre la parte restante del campione si divide tra chi dice di averle risolte in modo costruttivo (23,5%) e chi invece dichiara che la diversity abbia generato un problema concreto come richiamo disciplinare, calo produttività o cambio di team (12%). Esperienze che sembrano mancare anche in positivo: il 68% degli HR non ha mai riscontrato situazioni in cui la diversity abbia rappresentato un plus: solo per il 22,5% ha portato a un miglioramento del clima aziendale, mentre per il 9,5% ha contribuito a migliorare produttività e risultati.

Infine, rispetto al delicato tema della valutazione della diversità in sede di colloquio, il 34% ha dichiarato di non valutarla perché non vi presta attenzione o comunque non si lascia influenzare, un altro 34% dice di valutarla come un plus o un minus a seconda della posizione ricercata, mentre per il 28% è un valore aggiunto sempre, purché a parità di competenze. La diversity resta un fattore negativo solo per il 3% degli intervistati.

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Foto di Werner Heiber da Pixabay