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Cresce la space economy, ma non è tutto oro quello che luccica
Per lo sviluppo di alcune strategiche produzioni, i satelliti si sono rivelati provvidenziali. Tuttavia, l’ingresso dei privati nel settore ha fatto crescere i rischi in tema di sicurezza e inquinamento, soprattutto nella bassa orbita terrestre. Urgono regole condivise che siano fatte rispettare
Bei tempi quando si pensava che lo spazio fosse infinito. La space economy va avanti a passi da gigante. Secondo lo Space Economy Evolution Lab di Sda Bocconi, nel 2020 è riuscita a movimentare 447 miliardi di dollari a livello globale. Un boom reso possibile anche dall’ingresso dei privati nel settore, che si sono concentrati soprattutto su progettazione, costruzione e il lancio di satelliti. I vantaggi sono molti: maggiori servizi offerti, diminuzione dei costi di abbonamento, la possibilità di sviluppare nuove applicazioni. Ma non è tutto oro quello che luccica, nemmeno a centinaia di chilometri di distanza dal suolo terrestre. Ci sono conseguenze negative che vanno assolutamente considerate, dal punto di vista della regolamentazione, della sicurezza nello spazio, senza contare l’inquinamento ambientale.
Il rovescio della medaglia nella space economy
La fascia più a rischio è la cosiddetta Leo, ossia low Earth orbit, ossia l’orbita terrestre bassa, che va da un’altitudine fra i 300 e i 1.000 chilometri. Una fascia che si è iniziato a sfruttare solo negli ultimi anni e sulla quale i “pionieri dell’etere”, intesi ovviamente come imprenditori visionari e spregiudicati, si sono buttati a capofitto. Anche troppo. «L’ingresso dei privati nella New Space Economy», spiega a Business People Piero Benvenuti, professore emerito del dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, «evidenzia una differenza fondamentale nelle motivazioni. Le Agenzie spaziali sono al servizio della comunità, i privati operano soprattutto per il profitto economico. Si rischia, quindi, una sorta di monopolio della fascia orbitale Leo da parte delle compagnie con maggiori risorse (economiche e tecnologiche)».
Il ruolo del Copuos nella conquista dello spazio
Chi ha più soldi, quindi, occupa più spazio. Anche nell’etere. Il problema è che, nel caso di un privato, si rischia di farlo agire senza nessun controllo. Le regole per le attività spaziali, intese come quelle delle Agenzie dei vari Paesi, sono gestite a livello internazionale dal comitato delle Nazioni Unite Copuos, ossia Committee for the Peaceful Use of Outer Space. Vi siedono 102 Paesi che rappresentano i rispettivi governi e l’impegno comune è a non sfruttare in maniera discriminata uno spazio importante e che appartiene a tutti. «I privati», continua il Benvenuti, «non partecipano alla discussione ed è responsabilità dei rispettivi governi far rispettare delle regole.
La situazione sta evolvendo così rapidamente che il Copuos si è trovato impreparato ad agire con efficacia e rapidità. Il problema immediato e più evidente è rappresentato dall’interferenza delle grandi costellazioni satellitari sull’astronomia, sulla visibilità del cielo originario e sull’ambiente spaziale. L’Unione astronomica internazionale ha creato un centro dedicato alla protezione del cielo, chiamato Cps, che sta attivamente colloquiando con le maggiori compagnie (Space-X, Amazon/Kuiper, OneWeb) e sta cercando di portare il problema all’attenzione del Copuos».
I numeri delle costellazioni satellitari
Il fenomeno sta crescendo di anno in anno. Se nel 2019 i satelliti lanciati nello spazio erano stati circa 500, nel 2020 si è arrivati a quota 1.250 e nel 2021 si è sfondato il muro dei 1.800. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio dell’epoca spaziale al 2021, le piattaforme lanciate nello spazio sono state quasi 12 mila. I satelliti ancora in orbita sono poco più di 7 mila. Il dramma è che almeno 4 mila sono o spenti o rotti. E il futuro rischia di diventare parecchio affollato. Solo Elon Musk ha ricevuto l’autorizzazione al lancio di 12 mila piattaforme. A queste se ne potrebbero aggiungere altre 30 mila.
Le tipologie dei satelliti in orbita
Chiaramente, non tutti i satelliti sono uguali. Le loro dimensioni e caratteristiche dipendono dal lavoro che devono svolgere. Si va da cubesat di pochi chilogrammi ai grandi osservatori, che possono arrivare a pesare diverse tonnellate. E, anche fra i cubesat, che sono gli apparecchi preferiti dai privati, ci sono distinzioni da fare. La loro unità di misura è la U. A questa corrisponde un cubo con un lato di circa 10 cm. Ci sono satelliti che arrivano a misurare fino a 6 U. Una costellazione di cubesat disposta in modo adeguato, può fornire una copertura continua e completa del pianeta a un costo tutto sommato ridotto e con una buona possibilità di ricavo redditizio per i servizi che vengono offerti.
Un bel vantaggio rispetto ai grandi satelliti che possono avere intervalli di giorni o settimane, perché “inquadrano” il pianeta da orbite più elevate e impiegano maggior tempo a inviare i dati alla Terra. Ma lo svantaggio è che questa visione totale implica l’impiego di decine di oggetti lanciati in uno spazio ristretto, dove operano anche gli apparecchi delle Agenzie nazionali, che spesso hanno il compito di garantire la difesa dei rispettivi Paesi.
Ci sono poi i problemi delle collisioni e dell’inquinamento dello spazio. Per quanto riguarda il primo, è chiaro che più oggetti vengono lanciati, più il rischio di scontro aumenta, non per nulla si parla di traffico spaziale. Il dato più sottovalutato è che, come per una strada molto affollata, si rischia l’ingorgo con il blocco totale. «L’enorme aumento del numero di satelliti nella stessa fascia orbitale», spiega ancora il docente, «fa naturalmente crescere anche il rischio collisioni.
Eventuali collisioni tra satelliti e la sindrome di Kessler
I satelliti sono equipaggiati con sistemi anticollisione, ma c’è sempre la possibilità che sui grandi numeri, stiamo parlando di decine di migliaia di satelliti, una piccola percentuale di questi abbia dei malfunzionamenti e vada fuori controllo. Questo potrebbe scatenare una sorta di reazione a catena che porterebbe alla cosiddetta sindrome di Kessler: una quantità talmente grande di detriti nella fascia Leo da rendere inoperabile l’intera zona. Tutti si servizi cui siamo ormai abituati, come il meteo e la navigazione andrebbero perduti».
Anche senza nuove collisioni, lo spazio oltre che affollato è anche già inquinato. È stato calcolato che in orbita ci sarebbero almeno 30 mila detriti. Si parla di quelli identificati e regolarmente monitorati per evitare collisioni. Se si considerassero quelli di dimensioni superiori al centimetro, questi potrebbero essere un milione. L’Esa, Agenzia spaziale europea, ha da tempo lanciato l’allarme. Anche se i satelliti più moderni hanno sistemi sofisticati e vengono lanciati in modo più responsabile, bisogna fare i conti con quello che girà già attorno al pianeta e a quello che potrebbe tornare indietro dall’etere.
«Il rischio per la Terra, nel senso di detriti che cadano sulla superficie è praticamente nullo per i satelliti, ma è reale per i resti dei razzi lanciatori: aumentando il numero di lanci, aumenta anche il rischio. L’inquinamento dell’alta atmosfera da parte dell’enorme quantità di satelliti rientranti e ivi bruciati, non è ancora stata studiata, ma potrebbe avere conseguenze inaspettate vista la composizione chimica dei satelliti stessi».
Dalla space economy nuovi rischi geopolitici
Insomma, questi apparecchi – forieri di tante comodità – presentano controindicazioni molto serie e, come se non bastasse, possono dare luogo anche a tensioni internazionali. Non solo ci sono rischi di monopolio da parte dei privati più facoltosi, la rete può essere utilizzata per aggirare limitazioni e censure da parte di alcuni Governi. Anche in questo frangente, la situazione può solo peggiorare. Per il momento i privati che si sono cimentati nella corsa alla conquista dello spazio sono soprattutto statunitensi. Ma la space economy è destinata ad attrarre nuovi investitori e fra questi potrebbero essercene alcuni che, sulla carta, agiscono in modo indipendente, ma che nella realtà possono essere finanziati da Paesi, soprattutto quelli a tendenza più autoritaria, intenzionati a orientare l’ordine mondiale a loro favore. In testa a questa lista, c’è ovviamente la Cina.