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Business

Se il manager diventa entertainer

Ceo in incognito, aspiranti uomini d’affari in competizione tra loro. E ancora, esperti dei più disparati settori in soccorso di aziende in crisi. La televisione apre al mercato del lavoro grazie a professionisti ormai diventati vere e proprie celebrità

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«You are fired!». Sei licenziato: quello che nessuno vorrebbe mai sentirsi dire è anche una delle catchphrase più famose della televisione americana. È stato il magnate americano Donald Trump a portare con successo in Tv il mondo degli affari, adattandone le regole a quelle del game e del reality, con The Apprentice. A onor del vero, la primogenitura dei manager in Tv spetta al Giappone con Dragons’ Den, del 2001, in cui una giuria formata da un gruppo di tycoon sceglieva un progetto imprenditoriale da finanziare. Il format di SonyPictures Television va in onda negli Usa – con il titolo Shark Tank ed è alla terza stagione − e in diversi altri Paesi, come Australia, Svezia, Irlanda, Portogallo e Paesi Bassi. È con Trump e The Apprentice, però, che dal 2004 fare business è diventato un affare vincente anche in Tv. Anzi, un affare di famiglia, visto che il magnate (che oggi aspira a una carriera politica, finora più annunciata che davvero intrapresa) è affiancato da alcuni anni dai suoi figli Ivanka e Donald jr. In gara, manager e aspiranti tali in lizza per entrare a far parte di una delle società Trump: l’eliminazione dei concorrenti assume i contorni di un licenziamento. In onda da 11 stagioni, le ultime quattro trasformatesi nella versione celebrity in cui i vip (tra questi, Piers Morgan, che oggi ha sostituito Larry King sulla Cnn) si cimentano nella raccolta di fondi per progetti di beneficenza.

Tanti i cloni, di vita breve, come l’inglese Tycoon (alla ricerca di un’idea da trasformare in un’impresa di successo), lo spin-off The Apprentice: Martha Stewart (in onda qualche mese dopo il rilascio della magnate del lifestyle e della cucina Usa, condannata per aver mentito sulla vendita di azioni di una casa farmaceutica, la ImClone) o The Rebel Billionaire: Branson’s Quest for the Best, con l’estroso proprietario della Virgin, Richard Branson. Da tempo alla ricerca di un Trump italiano, FremantleMedia Italia punta a portare lo show anche da noi. Dai manager-celebrity, ai manager in incognito: perché non mettere i propri capi alla prova e stabilire se davvero conoscono la loro azienda? È quanto fa con successo Undercover Boss. Nato in Uk nel 2009 e lanciato l’anno successivo negli States su Cbs, segue in ogni episodio un manager executive mentre lavora in incognito nella propria azienda accanto ai suoi dipendenti per scoprire i punti deboli della compagnia e della catena di gestione. Nascar, DirectTv e Chiquita Brands International sono stati alcuni dei gruppi coinvolti negli Usa. Una lezione sul campo e, in qualche caso, di umiltà. Sì, perché tanto più lo stipendio è alto, tanto meno si viene trattati con condiscendenza. Ecco perché format del genere non hanno successo nel momento in cui i protagonisti sono impiegati o dipendenti: quando l’americana Fox ha tentato di rendere “televisivo” il processo di licenziamento in Someone’s Gotta Go (il televoto decideva chi doveva andarsene) ha raccolto solo un coro di polemiche. Meglio in questo caso scegliere la formula educativa, come nell’olandese Don’t Call Us, We’ll Call You o nell’inglese The Fairy JobMother, alla seconda edizione su Channel 4. Nel primo titolo, un esperto istruisce dei candidati su come affrontare un colloquio di lavoro dopo averli visti all’opera in uno fittizio; nel secondo, una professionista si prende cura di una famiglia di disoccupati valorizzandone le capacità e preparandoli a selezioni da lei stessa individuate. Attenzione, però: educazione sì (come il cosiddetto filone della coach Tv prevede), ufficio di collocamento no. Non sono durati più di una stagione i format che prevedevano l’inserimento nel mondo del lavoro, per esempio l’italiano Il contratto (La7), il tedesco Ein Job deine Chance o l’australiano You’ve Got the Job. Toni celebrativi, invece, per il racconto del cosiddetto “blue-collar heroism”, l’eroismo dei colletti blu (operai&co.) che si manifesta attraverso i lavori più difficili e pericolosi, dalle piattaforme petrolifere di Black Gold alle miniere di carbone in Coal: nelle viscere della terra, su Discovery Channel, ai taglialegna della serie Lavori estremi su DMax. In questo caso, largo a buoni sentimenti e valori positivi, che possono anche essere mixati con un po’ di leggerezza, come nel caso di Dirty Jobs-Lavori sporchi, in cui il presentatore Mike Rove si cimenta con i lavori più stravaganti e spesso disgustosi (in onda su Discovery Channel). Dopo i colletti bianchi e quelli blu, c’è spazio anche per la piccola media impresa.

Due gli esempi più interessanti: Tabatha Mani di forbice con l’hairstylist di origine australiana Tabatha Coffey e Ramsay’s Kitchen Nightmares/Cucine da incubo (in Italia entrambi su RealTime) con il ben noto chef Gordon Ramsay. Entrambi dotati di uno stile molto diretto (leggi: parolacce a gogò), in ogni puntata hanno la missione di risollevare rispettivamente le sorti di saloni di bellezza e ristoranti sull’orlo del fallimento, senza lesinare commenti pesanti nei confronti dei titolari. Lo schema è simile: dopo aver preso visione dello stato dell’attività e parlato con i dipendenti, Ramsay e Coffey ne assumono temporaneamente la gestione e procedono a una profonda ristrutturazione dei locali. Segue la riapertura dell’attività e la verifica, a distanza di mesi, dell’evolversi della situazione lavorativa, che potrà essere positiva se i consigli saranno stati adeguatamente seguiti. Dopo le lacrime e il sangue, arriva l’happy ending. Almeno in Tv.

Credits Images:

La versione irlandese di Dragons’ Den