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Dal dress code alla reputazione, cosa c’è alla base del successo

Il brand professionale è il nuovo biglietto da visita e non va costruito solo on line. Una ricerca di Linkedin evidenzia di cosa devono tenere conto i professionisti di oggi

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Come fare bella figura a un colloquio o a un meeting con i clienti? L’energica stretta di mano e la bella parlantina non bastano più. Oggi alla base del successo di ogni professionista c’è il personal branding, ovvero l’immagine che ognuno di noi è in grado di trasmettere di sé sia offline che online, sul posto di lavoro come a casa e, soprattutto, coinvolge tutte le abilità di una persona, anche quelle che a prima vista potrebbero essere considerate poco significative sul posto di lavoro. La ricerca New Norms @Work, condotta da LinkedIn a livello internazionale su un campione di 15 mila a tempo pieno, evidenzia come i professionisti di tutto il mondo stiano ridefinendo i propri brand professionali per adattarsi al nuovo mondo del lavoro.

I risultati (Infografica)

DRESS CODE. Anche se in molti ambienti lavorativi è ammesso un abbigliamento più casual, i professionisti continuano a vestirsi in maniera adeguata alla loro posizione. Per prepararsi per una giornata di lavoro, il 14,6% degli italiani impiegano lo stesso tempo che dedicano a prepararsi per uscire la sera mentre il dato internazionale è inferiore (9,8%) e il Giappone si posiziona come ultimo (2,8%). Se in Giappone si tende ad avere un armadio separato per abiti da lavoro e per il tempo libero nel 67,6% dei casi e in Germania nel 64,1% dei casi, solo il 44,5% degli italiani hanno questa esigenza. In Italia il 24,7% delle donne lavoratrici ritengono di essere giudicate maggiormente per quello che indossano al lavoro, ma solo il 0,9% di loro vengono riprese sul posto di lavoro per un abbigliamento sconveniente.

REPUTAZIONE. Un brand professionale immacolato è estremamente importante per i moderni professionisti. Oggi i professionisti sono disposti a fare qualsiasi cosa per proteggere la loro reputazione, anche se questo vuol dire essere disonesti. Non è questo il caso degli italiani: mentre il 53,2% dei lavoratori internazionali dichiara che se fosse licenziato dalla propria azienda si adopererebbe per nascondere questa informazione, in Italia ben il 51% sarebbe onesto su quanto accaduto senza insabbiare la cosa.

ESPRIMERE LE PROPRIE OPINIONI. Se si analizza il comportamento dei lavoratori italiani, sarà possibile trovare la categoria degli ‘yes employee’, ovvero coloro i quali tendono ad assecondare il capo senza mai mettere in discussione le sue opinioni. Dalla ricerca emerge che questo dato ha un divario significativo tra generazioni: il 58,1% dei lavoratori tra i 18 e i 25 anni si considera un yes employee, mentre è di quasi dieci punti percentuali in meno nella fascia di lavoratori 55-65 anni (47,3%), per poi subire un picco nella fascia +60 anni (66,7%). A livello internazionale questo divario tra generazioni è addirittura maggiore: la fascia 18-25 anni si considera yes employee nel 57,8% dei casi mentre la fascia 55-65 anni solo nel 31,9%; cade in picchiata, se comparata al dato italiano, la percentuale di yes employee nella generazione +60 anni 26,2%.

CURARE IL PROPRIO PROFILO. Nell’attuale era digitale, molto spesso è dalla foto del profilo di un professionista che si ricava la prima impressione. Analizzando i diversi settori, emerge che i professionisti su LinkedIn che operano nel campo del recruitment, della moda, dei beni di lusso e nel settore alberghiero tendono a cambiare la loro immagine del profilo più spesso rispetto alla media. Gli esponenti della cosiddetta Generazione Y, che cambiano più spesso l’immagine del profilo, sono anche il gruppo demografico più visualizzato su LinkedIn.