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Big tech in Italia: business da 6 miliardi, ma pochi utili. Ecco perché
Amazon, Microsoft, Alphabet (Google) e Meta (Facebook e Instagram) continuano a veder crescere il proprio fatturato nel nostro Paese, ma gli utili – comunque in crescita – si fermano a poco più del 2% dei ricavi
Nonostante la crisi di inizio anno, che ha portato a numerosi licenziamenti a livello internazionale, continua a crescere il giro d’affari delle big tech statunitensi in Italia. Nel corso dell’ultimo anno Amazon, Microsoft, Alphabet (la società che controlla Google) e Meta (a cui fanno capo Facebook e Instagram) hanno registrato ricavi in crescita a due cifre nel nostro Paese, che sfiorano i 6 miliardi di euro.
Sulla base dei dati pubblicati in un articolo del Corriere della Sera di martedì 22 agosto – che fanno riferimento all’ultimo bilancio depositato dalle quattro multinazionali americane – ad Amazon va la fetta più grossa di questo giro d’affari. (3,251 miliardi di euro, +17,3% sul 2021). Più distante Microsoft (1,197 miliardi di euro), ma comunque con un fatturato in crescita del 22,1%, tallonata da Alphabet che ha visto il proprio fatturato volare sopra il miliardo di euro (1,066 miliardi, +46,4%) anche in virtù dei servizi Google Cloud, che nel 2022 hanno portato ricavi per 213 milioni di euro. In crescita del 18% anche il business di Meta, che in Italia ha superato i 411 milioni di fatturato.
Ricavi miliardari, pochi utili per le big tech in Italia
A fronte dei 5.925 milioni di euro di fatturato, gli utili registrati in Italia dai quattro gruppi citati sono saliti a 133 milioni di euro, una somma che rappresenta solo il 2.2% dei ricavi in Italia. “Eccezion fatta per Amazon”, si legge nell’articolo di Francesco Bertolino, “si tratta di una redditività molto lontana da quella evidenziata a livello di gruppo”. A livello globale, infatti, nel 2022 il rapporto ricavi-utili per Google è stato pari al 21% (282 miliardi i fatturato e 60 miliardi di profitti), mentre Meta ha superato i 23 miliardi di utile a fronte di 116 miliardi di fatturato (20%).
Come si evidenzia sul Corriere, questa discrepanza tra redditività locale e globale è attribuibile in parte alla voce “costi per servizi”, che le filiali italiane di molte big tech pagano a favore delle capogruppo europee, collocate in Paesi con aliquote fiscali più favorevoli. “Una prassi legittima, che però finisce per erodere il gettito nel Paese”. Da qui la web tax introdotta dal governo italiano nel 2019: una tassa del 3% sui ricavi derivati dai servizi digitali. Negli ultimi tre anni, però, l’imposta ha generato per lo Stato un incasso di “soli” 928 milioni di euro, la metà di quanto previsto nella relazione tecnica al provvedimento.