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Global Risks Report 2023: le principali sfide per governi e imprese
Nel gennaio scorso il World Economic Forum ha presentato il suo Global Risks Report 2023, un documento annuale che elenca i rischi che potrebbero mettere in crisi le economie globali nel prossimo futuro. La ricerca, realizzata in collaborazione con Marsh McLennan e Zurich Insurance Group, si avvale della collaborazione di oltre 1.200 esperti del mondo accademico, delle imprese, dei governi, della comunità internazionale e della società civile, che fra il 7 settembre e il 5 ottobre 2022 hanno risposto a un corposo questionario (Global Risks Perception Survey) mirato a registrare la loro percezione dei rischi planetari che potremmo correre nei prossimi anni.
Il “rischio globale” è definito come la possibilità che si verifichi un evento o una condizione che avrebbe un impatto negativo su una parte significativa del pil mondiale, della popolazione o delle risorse naturali. Il report si basa anche sull’Executive Opinion Survey, altro sondaggio svolto fra oltre 12 mila capi d’azienda di 121 diverse economie, che si concentra sui rischi più probabili per ciascun Paese. I risultati dell’indagine, va detto subito, sembrerebbero molto preoccupanti se si perdesse di vista il fatto che si tratta essenzialmente di intuizioni, da parte di esperti certo, ma comunque di “percezioni di rischio”, e non di dati di fatto. Dunque, c’è ancora spazio di azione per mettere in atto misure efficaci a contrasto.
Le sfide economiche all’orizzonte per governi e imprese
La fine dell’emergenza Covid ha segnato un breve periodo di intensa ripresa, interrotto bruscamente dallo scoppio della guerra in Ucraina. Il conflitto ha dato il via a una crisi nel settore energetico e in quello alimentare, innescando una serie di problemi e di rischi nuovi ma… anche familiari. Sono tornati infatti fantasmi che pensavamo di aver superato, come l’inflazione, l’alto costo della vita, le guerre commerciali, i dissidi geopolitici, lo spettro della bomba nucleare. Pericoli amplificati da altri più o meno inediti, come livelli insostenibili di debito, bassa crescita, deglobalizzazione e, soprattutto, cambiamento climatico. Nei prossimi due anni potremmo dover affrontare dure tendenze inflazionistiche dovute al prolungarsi della guerra in Ucraina, a strascichi della pandemia, e a una intensa guerra economica. Incombono poi rischi di ribasso per le prospettive economiche: probabili shock di liquidità, recessione prolungata e crisi del debito. La fine dell’era dei bassi tassi di interesse avrà conseguenze significative per governi, imprese e individui, avvertite soprattutto dai Paesi e dagli strati della società più fragili.
E questo potrebbe portare all’aumento della povertà, della fame, delle proteste violente e dell’instabilità politica. Le pressioni economiche stimoleranno malcontento, polarizzazione politica e richieste di maggiori protezioni sociali. I governi dovranno scegliere se proteggere i cittadini dalla crisi del costo della vita o se far fronte al debito, visto che le entrate saranno minate dalla recessione, dalla transizione energetica e dall’instabilità geopolitica. La nuova era potrebbe essere caratterizzata da una crescente divergenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri, e dal rallentamento dello sviluppo umano. Malgrado la corsa agli armamenti già in atto, non si prevedono conflitti se non di tipo economico, con crescenti scontri tra potenze globali e interventi statali sui mercati.
L’incremento delle richieste di risorse per affrontare queste crisi ridurrà la portata degli sforzi di mitigazione per i cambiamenti climatici, e renderà insufficienti gli interventi a sostegno dell’adattamento necessario a quelle comunità già colpite dagli effetti del riscaldamento globale. Questa miscela di crisi rischia di colpire la sussistenza di una fetta molto più ampia di popolazione, e di destabilizzare un numero di economie maggiore rispetto a quelle tradizionalmente vulnerabili. In molti mercati dipendenti dalle importazioni si rischia una vera emergenza umanitaria.
I rischi globali più gravi nel breve, medio e lungo termine
La “crisi del costo della vita” è classificata dunque come il rischio globale più grave nei prossimi due anni, con un picco nel breve periodo. La perdita di biodiversità e il collasso dell’ecosistema è considerata invece uno dei rischi globali in più rapido deterioramento nel prossimo decennio. Fra i dieci rischi a lungo termine più probabili indicati dagli esperti intervistati per il Global Risks Report 2023, ben sei sono relativi all’ambiente (gli altri quattro sono: migrazioni forzate su larga scala, erosione della coesione sociale e polarizzazione sociale, cyber crime e contrasti geo-economici). Nonostante l’argomento ormai sia in cima all’agenda di governi, organizzazioni internazionali, popoli, imprese e individui, la mancanza di progressi effettivi sugli obiettivi climatici ha reso palese la differenza fra quello che sarebbe scientificamente necessario fare e quello che è politicamente fattibile.
Le crisi attuali tolgono risorse e attenzione ai rischi a lungo termine, e si aggravano gli oneri a carico degli ecosistemi naturali il cui ruolo nell’economia globale viene ancora sottovalutato. Perdita di ecosistemi e cambiamento climatico sono interconnessi: il fallimento in una sfera si ripercuote sull’altra. Senza i necessari interventi politici ed economici, l’interazione tra gli impatti dei cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, la crisi alimentare e il consumo di risorse naturali accelererà il collasso dell’ecosistema, minaccerà l’approvvigionamento alimentare e i mezzi di sussistenza nelle economie vulnerabili, amplificherà gli impatti dei disastri naturali e limiterà ulteriori progressi sulla mitigazione del clima.
Effetto “policrisi”
Nel corso dei prossimi dieci anni, a causa delle crisi di tipo economico che già ora si profilano, un sempre minor numero di Paesi avrà la capacità di investire in crescita futura, in tecnologie verdi, istruzione, assistenza e sistemi sanitari. Il lento decadimento delle infrastrutture pubbliche e dei servizi diventa causa di ulteriori difficoltà nell’affrontare i grandi rischi globali del lungo termine. La concomitanza delle emergenze, la profonda interconnessione fra i diversi rischi e la crescente difficoltà nell’esercitare la necessaria resilienza stanno dando origine a un rischio di “policrisi”, ovvero un insieme di crisi che interagiscono fra di loro provocando un impatto molto più forte della somma degli impatti delle singole crisi.
L’erosione della cooperazione geopolitica avrà effetti a catena nel panorama dei rischi globali, contribuendo anche a una potenziale policrisi di rischi ambientali, geopolitici e socioeconomici correlati, relativi alla domanda e all’offerta di risorse naturali. Il rapporto descrive quattro potenziali “futuri” incentrati su cibo, acqua, metalli e carenza di minerali, ognuno dei quali potrebbe innescare una crisi umanitaria oltre che ecologica: guerre per l’acqua, carestie, sfruttamento eccessivo delle risorse ecologiche, rallentamento dell’adattamento al clima.
Non manca l’ottimismo
Gli esperti intervistati dal Global Risks Report 2023 sono però generalmente ottimisti sul lungo termine, prevedendo una rinnovata stabilità nei prossimi dieci anni. Innanzitutto, per la natura stessa della policrisi: rafforzare la resilienza in un’area può avere un effetto moltiplicatore sulla preparazione per altri rischi correlati.
E poi perché c’è ancora modo e tempo per agire. Gli investimenti nella resilienza devono concentrarsi su soluzioni che affrontino non uno ma molteplici rischi, come il finanziamento di misure di adattamento accompagnate da benefici collaterali di mitigazione del clima o investimenti in aree che rafforzano il capitale umano e lo sviluppo. «Il clima e lo sviluppo umano devono essere al centro delle preoccupazioni dei leader globali anche mentre combattono le crisi attuali», ha dichiarato Saadia Zahidi, Managing Director del World Economic Forum. «La cooperazione è l’unica strada percorribile».