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Evasione fiscale: ecco perché le sanatorie non risolvono il problema
Non danno risultati sostanziali e finiscono solo per moltiplicare le iniquità. Ecco perché la Corte dei Conti ha chiesto apertamente di mettere fine alle sanatorie. Mentre razionalizzazione, semplificazione e digitalizzazione sono le parole d’ordine per combattere davvero l’evasione fiscale
I perdoni (e le sanatorie) non funzionano. La Corte dei Conti, nella sua ultima relazione sul rendiconto di gestione, striglia la politica chiedendo di «abbandonare definitivamente» le sanatorie che moltiplicano le iniquità. Solo 5,8 miliardi sono arrivati dai controlli sostanziali nel 2022, serve più lotta all’evasione fiscale diffusa.
I fallimenti delle sanatorie nella lotta all’evasione fiscale
Le tre rottamazioni fiscali e il saldo e stralcio introdotti fra 2016 e 2018, spiega la massima magistratura contabile, hanno prodotto 4,1 milioni di domande e avrebbero dovuto portare nelle casse dello Stato 53,8 miliardi. Ma di questi, 33,6 miliardi non si sono visti mai.
I numeri offerti dal presidente di coordinamento delle sezioni Riunite di controllo, Enrico Flaccadoro, raccontano una sorta di commedia del condono. Commedia popolare in cui lo Stato finge di poter recuperare vecchi incassi fiscali che non è in grado di raccogliere con gli strumenti ordinari, e i (mancati) contribuenti fingono di aderire alla proposta ma poi non pagano, svanendo nel nulla dopo la prima rata.
Una spinta al perdono trasversale, che valica i confini di partiti e coalizioni animando quasi tutte le forze politiche alla ricerca di consenso immediato e nuove risorse da destinare alla spesa pubblica.
Compresa l’attuale maggioranza di centro-destra, che ha introdotto alcune tregue fiscali nell’ultima legge di Bilancio. L’effetto di tanta clemenza, però, è il rischio di «comportare ulteriori iniquità», moltiplicata da meccanismi di definizione agevolata che quindi andrebbero, lo ribadiamo, «abbandonati definitivamente».
La situazione delle pmi e delle partite Iva in Italia
Ci sono quasi 6 milioni di piccole imprese e partite Iva nel nostro Paese, un esercito di contribuenti che paga le tasse su stime di fatturato non reali. Presunte. Tarate sullo storico delle dichiarazioni degli anni precedenti, come se fossero grandi aziende: eppure con tutti i dati ormai disponibili nei cloud di Amazon, Microsoft, Facebook e Google, sarebbe possibile rovesciare il sistema tributario sul reale, non sul previsionale.
Gli autonomi dovrebbero pagare le imposte per cassa: quello che spendono scaricano come detrazioni. Quello che incassano dichiarano. Mese per mese, non l’anno successivo, pagando le imposte sulla differenza tra le due voci.
Gli indici Isa: indici sintetici di affidabilità fiscale
Finora abbiamo messo in campo strumenti contro l’evasione fiscale come gli indici Isa che presentano più di qualche dubbio sulla loro affidabilità. La nostra credibilità fiscale è decisa da un algoritmo, che considera il dichiarato dei cinque anni precedenti e ci dà un voto. Dall’otto in su possiamo stare tranquilli: niente accertamenti e in più benefici premiali, come la possibilità di compensare i crediti di imposta fino a un certo massimale di Irpef e Ires. Se, invece, il voto è inferiore al sei, entri nella lista dei controlli presuntivi.
I coefficienti predeterminati dall’Agenzia delle Entrate si modificano via via e gli esiti non sono sempre coerenti con l’attività esercitata. Può capitare che l’indice affidi un punteggio alto a soggetti borderline, e quindi premi per esempio chi ha sempre fatto una parte di attività in nero, ma ha dichiarato un migliaio di euro in più rispetto all’anno precedente; al contrario diventa «anomala» una libera professionista che ogni anno ha dichiarato 50 mila euro e nel 2022 ne ha dichiarati 30 mila perché è andata in maternità, così come la società che ha fatturato meno perché ha un immobile sfitto, oppure l’azienda che ha dovuto pagare 100 mila euro di spese legali straordinarie.
Razionalizzazione, semplificazione e digitalizzazione
Per semplificare serve il riordino delle leggi tributarie: è la ratio del disegno di legge delega sul fisco, che deve essere convertito in questi mesi in Parlamento in diversi decreti attuativi. Quante e come sono le leggi. Un testo unico per ogni imposta con la creazione di codici tributi chiari. Archiviando una volta per tutte, e l’ha chiesto più volte in Parlamento anche il direttore delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, la separazione tra chi riscuote le tasse e chi iscrive a ruolo quei debiti col Fisco.
Abbiamo 8 mila Comuni che iscrivono a ruolo miliardi di posizioni, tra multe e bollette Tari non pagate. Il tempo scorre inesorabile fino alle cartelle fiscali, poi deve essere l’Agenzia delle Entrate-Riscossione a farsi carico dell’onere. Quando invece potrebbero fare da sé.
Lo Stato finora si è comportato allo stesso modo sia che si tratti di un debito di 150 euro per una multa non pagata, che una frode societaria da 200 mila euro. Le banche dati di Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate raramente comunicano tra loro. Figuriamoci se comunicano con quelle delle migliaia di municipalizzate dello smaltimento rifiuti.
Gli strumenti per combattere l’evasione fiscale
Si interroga poco anche il mega-cervellone fiscale sulla Laurentina, a Sud di Roma. Si chiama Sogei, società pubblica interamente controllata dal Tesoro. Nei suoi database ha miliardi di informazioni, con tutti i dati delle dichiarazioni pre-compilate, e quelli della fatturazione elettronica in vigore dall’anno scorso. Per questo abbiamo messo a terra un cloud nazionale che custodisca questi dati e permetta di incrociarli. Lo facciamo anche per combattere l’evasione fiscale? Fortunatamente quest’anno si è riusciti a mettere a regime lo scontrino fiscale elettronico che trasmette direttamente il dato all’Agenzia delle Entrate.
Finora ci eravamo affidati alle dichiarazioni dei redditi del ristoratore o commerciante. Senza che nessuno sappia, se non con controlli a campione, se davvero vengano contabilizzati tutti gli scontrini emessi. Se un ristoratore incassa 100 ma dichiara 10, l’Agenzia non ha possibilità di verificarlo, sempre per la solita questione: privacy.
Il ruolo dello scontrino elettronico
Lo scontrino elettronico, però, risolve a monte. Con la fatturazione elettronica alcune cose vanno per il verso giusto. Negli ultimi anni sono state intercettate e bloccate frodi intracomunitarie per circa 3 miliardi. Sono stati scoperti falsi plafond Iva per esportatori abituali per un controvalore di diversi miliardi di euro. La e-fattura ha consentito un’attività di prevenzione evitando un danno erariale potenziale per 2,3 miliardi. A conti fatti però il Fisco tartassa i contribuenti che dichiarano più di 35 mila euro e invece offre una giungla di agevolazioni, in aumento con gli ultimi anni pandemici, al 57% degli italiani con i redditi sotto i 15 mila euro.
Le detrazioni buone, cioè quelle che fanno emergere l’evasione fiscale, sono davvero poche. Nella gran parte dei casi lo Stato paga a pie’ di lista, senza controllare che ci sia un effettivo bisogno. Ci sono oltre 22 milioni di contribuenti che dichiarano meno di 15 mila euro lordi all’anno. C’è un altro 29% che dichiara redditi tra i 15 mila e i 35 mila che ha diritto a qualche beneficio. La parte restante degli italiani, oltre i 35 mila euro di Irpef, si carica lo Stato sociale sulle spalle. Si tassano solo i redditi: quindi tendenzialmente solo il lavoro. L’imposta sulle successioni e donazioni fino a un milione di euro è zero. In Francia e negli Usa è ben più pesante (30% circa).
Ci sarebbe poi da recuperare qualcosa da quei 3,45 milioni di conti correnti degli italiani che hanno appoggiato su banche estere per un controvalore di 200 miliardi di dollari. È il numero più recente fornito dalla rete internazionale di scambio automatico di informazioni sui conti finanziari basata sullo standard convenuto in sede Ocse. Tra questi ci sono certamente connazionali che hanno casa a Londra o New York e per comodità hanno aperto un conto; ci sono coloro che non si fidano a tenere i soldi in Italia, ma hanno versato il dovuto e dichiarato dove tengono i soldi nella dichiarazione dei redditi; coloro che temono una patrimoniale. Ma ci sono anche quelli che hanno corposi conti personali alle Cayman, o British Virgin Islands.
Denaro che indebolisce il nostro sistema produttivo, perché non è utilizzabile dalle banche per erogare prestiti.
La nuova voluntary disclosure
Il governo starebbe lavorando a una voluntary disclosure, ossia l’opportunità di regolarizzare patrimoni all’estero mai dichiarati. Un modello simile a quello della legge 186 del 2014 del governo di Matteo Renzi. Chi dichiara fondi all’estero sarebbe al riparo da contestazioni penali o multe, ma dovrebbe versare tutte le somme dovute al fisco almeno negli ultimi cinque anni. In quel caso si trattò in gran parte di redditi da capitali di patrimoni tenuti all’estero a volte da decenni: viste le aliquote, somme limitate.
Ora però una voluntary disclosure senza sconto sulle imposte riguarderebbe probabilmente soprattutto capitali accumulati all’estero in nero negli ultimi anni grazie a sotto-fatturazioni dell’export o peggio, proventi da riciclaggio. Perdoni forse eccessivi.
Resta in piedi anche la vecchia ipotesi di una forma di incentivo per far rientrare almeno una parte di questi capitali finalizzati all’investimento nei nostri titoli di Stato o infrastrutture con un buon rendimento.
Mancanza di personale nella lotta all’evasione
Certo è che tutti questi 3 milioni di conti vanno controllati uno a uno per verificare chi è in regola e chi occulta denaro al fisco. Per fare questo occorre personale: l’Agenzia è sotto organico. Il personale è diminuito drasticamente da fine 2012. Motivo: blocco del turn over e dei concorsi.
Qualcosa si sta muovendo, ma con tempi incompatibili alla necessità di recuperare il dovuto. Per preparare un investigatore servono sette-otto anni di esperienza. Il 32% dei grandi contribuenti è concentrato nella provincia di Milano, e il modello di cooperazione fra Entrate, Gdf, Procura (unico in Italia) ha portato oltre 5 miliardi di tasse evase alle casse dello Stato dal 2015. Alla Procura di Milano, fino a qualche anno fa, i magistrati dedicati ai reati societari, economici e fiscali erano 15. Oggi sono dieci.
Vista la complessità delle indagini ne servirebbero altri dieci supportati da amministrativi e ufficiali di polizia giudiziaria. All’ufficio grandi contribuenti dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia mancano dirigenti, alla Guardia di Finanza personale specializzato e mezzi adeguati ai meccanismi di evasione sempre più sofisticati. I Ministeri competenti dovrebbero preoccuparsi di rimpolpare questi uffici, fra i più produttivi nella caccia ai grandi evasori.
Questo articolo è stato pubblicato su Business People di novembre 2023. Scarica il numero o abbonati qui