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Senza controllo
Corruzione, evasione fiscale, criminalità, burocrazia e sprechi. Sono queste le cinque voci che compongono l’enorme parte dell’economia italiana che lo Stato non è in grado di monitorare
Tra il 25 e il 30% circa dell’economia italiana è totalmente fuori controllo. Ingestita. Nera. Invisibile. Stiamo parlando di quei 385-485 (a seconda delle stime) miliardi di euro che lo Stato italiano non riesce a monitorare, tenere sotto controllo, “vedere”. L’impressionante cifra è la somma di cinque voci: la corruzione, l’evasione fiscale, la criminalità, la burocrazia e gli sprechi. Sono costi che vengono sostenuti da cittadini e imprese e che, in definitiva, determinano il livello di tassazione più alto d’Europa per le aziende (oltre il 50%) e la difficoltà, o addirittura l’impossibilità, di intraprendere. Eppure è impressionante con quale facilità si parli di crisi dei conti pubblici e non si riesca a imbrigliare, o almeno iniziare a farlo, questi cinque capitoli di spesa occulti. A questi numeri, insomma, l’Italia che lavora davvero non riesce a farci il callo. E allora, tanto per farci del male, cominciamo a vedere questi cinque pozzi senza fondo dove finisce il 30% del lavoro degli italiani ogni anno.
Corruzione
Nella sua ultima relazione la Corte dei Conti, citando i dati del Servizio anticorruzione e trasparenza del ministero della Pubblica Amministrazione, ha stabilito che i miliardi che ogni anno vengono spesi per corrompere funzionari pubblici sono 60. Stando alle denunce presentate la Regione nella quale si corrompe di più è la Sicilia (dove vengono presentate il 13,07% delle denunce totali) seguita dalla Campania (11,46%), dalla Puglia, (9,44%) e dalla Calabria (8,19%). L’unica Regione del Nord ai piani alti della classifica è la Lombardia con il 9,39% delle denunce. Nel 2008 sono stati denunciati 3.224 pubblici ufficiali mentre i Carabinieri hanno scovato 2.137 funzionari infedeli. Nel 2008 sono state emesse 68 condanne contro impiegati pubblici infedeli che hanno permesso di recuperare oltre 117 milioni di euro rispetto agli appena 18,8 milioni del 2007. Le condanne emesse dalla Corte dei Conti hanno permesso, tra il 2004 e il 2008, di fare incassare allo Stato 34 milioni. Qualcosa si muove, insomma? Sì, ma prima di farsi sopraffare dall’ottimismo occorre anche rilevare che, secondo l’organismo internazionale Worldwide Governance, l’Italia, insieme alla Grecia, è in coda alla classifica dei Paesi europei in quanto a capacità di lottare contro la corruzione. Secondo la Banca Mondiale, poi, in fatto di trasparenza, siamo stati superati da molti Paesi dell’Europa dell’Est (compresi Lituania, Lettonia, Estonia). A queste classifiche occorre dare un peso relativo, visto che la metodologia utilizzata per stilarle spesso lascia a desiderare, però danno l’idea. Ovviamente la corruzione non si annida solo nella pubblica amministrazione: quella è solo una parte, paradossalmente più visibile di quella privata, dato che per il settore privato non esiste una Corte dei Conti. Tra i tanti ne spicca uno per il quale lo Stato potrebbe recuperare ben 241 milioni di euro. Si tratta del caso di Calciopoli. La procura regionale della Corte dei Conti del Lazio ha emesso, infatti, due atti di citazione, il primo nei confronti di nove persone tra dirigenti, arbitri, assistenti di gara e due giornalisti Rai ai quali si richiede di risarcire, appunto, 240 milioni di euro, mentre il secondo per contestare ad altre nove persone un milione di euro per danni all’immagine e da disservizio.
Evasione fiscale
Qui si naviga a vista. Meglio: si brancola nel buio. Secondo la Corte dei conti l’evasione fiscale in Italia viaggia sui 100 miliardi l’anno, che è già una cifra gigantesca. Ma è la metà di quella stimata da Fabrizio Lapecorella, direttore del Dipartimento delle Finanze. Per cui, secondo la Corte dei conti il valore dell’economia sommersa è pari al 16,1% del Pil, per il ministero delle Finanza a più del 18%. Pagare le tasse sarà anche bellissimo, come disse una volta Tommaso Padoa Schioppa quando era ministro dell’Economia, ma pare che italiani preferiscano la bruttura dell’evasione. E la lotta all’evasione? Va bene, ma evidentemente non basta. Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle entrate, ha detto che da gennaio alla prima decade di giugno sono stati riscossi 1,6 miliardi di euro, più 21% sul 2008. Poi c’è la Guardia di Finanza: nei primi 5 mesi del 2009 hanno scoperto 13,7 miliardi di redditi nascosti, 2,3 miliardi di Iva dovuta e non versata e 8,7 miliardi di rilievi Irap, 3.200 evasori totali. Niente, insomma, fa immaginare un rallentamento del fenomeno che si annida anche nella dorata finanza milanese: nei primi cinque mesi del 2009 la Guardia di Finanza ha denunciato 1.600 operatori e trader, per aggiotaggio, insider trading, abusivismo finanziario e reati fallimentari. In sostanza tutto si spiega (e fa arrabbiare ancora di più) se si pensa che appena lo 0,87% degli italiani dichiara più di 100 mila euro di reddito e che il 48% delle società ha i bilanci in rosso. La cosa forse ancora più grave di questi numeri già impressionanti è che la propensione all’evasione fiscale è altissima. Secondo uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia realizzato da Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio e che si basa sulle testimonianze di 3.796 capifamiglia, la quota di coloro che ritiene il fenomeno «grave o molto grave» dall’83% del 1992 è scesa al 76% del 2004.
Criminalità
Un mondo, quello dell’economia criminale che si fa fatica a circoscrivere perché si tratta di una delle poche vere industrie “glocal” italiane: raccoglie denaro localmente e lo investe globalmente con una mentalità davvero imprenditoriale. Quanto denaro? Anche in questo caso occorre affidarsi a calcoli approssimativi (anche se largamente condivisi). Nel 2007 la Confesercenti ha stimato che il fatturato di camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e mafia si aggira complessivamente sui 90 miliardi di euro, il 7% del Pil italiano, attraverso la gestione di racket, usura, contraffazione, abusivismo, appalti, droga, furti, scommesse. Cifra rapidamente aggiornata dalla stessa Confesercenti. La crisi economica e la scarsità di liquidità pare in realtà aver favorito gli affari illeciti. Secondo l’associazione nel 2008 il fatturato della criminalità è esploso a 130 miliardi di euro con un utile stratosferico di 70 miliardi. Significa che ogni giorno che passa i criminali incassano 250 milioni di euro, 10 milioni l’ora, 160 mila euro al minuto. E significa anche che ogni anno i criminali possono investire in tutto il mondo, ma privilegiando l’Italia, ben 70 miliardi di euro. La più ricca organizzazione criminale è la ‘ndrangheta calabrese che, secondo l’Eurispes, nel 2007 ha fatturato 44 miliardi l’anno (27,2 dalla droga, 5,7 dagli appalti pubblici, 5 dall’estorsione e dall’usura, 2,9 dal traffico di armi e 2,8 dalla prostituzione). Ma a dimostrazione che è davvero complicatissimo dire le cose come stanno, occorre rilevare che la secondo la Direzione nazionale antimafia la ‘ndrangheta fattura più del doppio: 100 miliardi.
Burocrazia
È una delle richieste più pressanti dell’Italia che lavora: tagliare la burocrazia asfissiante. Secondo l’Unioncamere la mancata efficienza della macchina pubblica costa 12 mila euro l’anno a ogni impresa, cioè 15 miliardi l’anno, l’1% del Pil. In questa cifra occorre anche considerare la farraginosità della giustizia civile che non solo fa perdere tempo, ma, soprattutto, rende incerta la stessa attività produttiva. Gli artigiani di Mestre hanno addirittura calcolato quanto costa la burocrazia pubblica alle imprese a seconda della loro dimensione. Alle imprese fino a nove dipendenti costa 1.587 euro contro una media nazionale di 1.226 euro. A quelle fino a 19 dipendenti costa 1.445 euro l’anno, a quelle che hanno 49 dipendenti costa 1.035, e 720 euro a quelle che ne hanno 499. Insomma: le inefficienze pesano di più su chi ha meno disponibilità per farvi fronte. Un’assurdità. La storia non cambia se si confronta il numero di adempimenti l’anno a carico delle piccole e delle grandi aziende: 8,4 per dipendente per le aziende fino a cinque dipendenti e appena 2,7 per ciascun addetto per le aziende che ne hanno tra 50 e 499. In totale ogni anno vanno in fumo 10 milioni di giornate lavorative che potrebbero essere utilizzate molto meglio. E secondo queste rilevazioni ogni cittadino italiano paga all’anno 5.564 euro per sostenere il moloch pubblico: in Europa solo i francesi pagano di più: 5.765 euro l’anno. Gli agricoltori associati alla Cia hanno poi spiegato che il trend delle giornate perse in adempimenti burocratici è pericolosamente in crescita: oggi un’impresa agricola butta via 110 giornate per compilare moduli, nel 2000 ne sprecava solo 60.
Sprechi
Che ne dite di questo numero: le quasi 5 mila società controllate da Regioni ed enti locali hanno bisogno per funzionare di 35 mila amministratori. E questo è niente. Cerchiamo di capire esattamente di cosa si tratta quando si parla di sprechi. Secondo l’Osservatorio del Nord-Ovest, guidata da Luca Ricolfi, che su questo tema ha concluso uno dei pochi studi affidabili, lo spreco è l’eccesso di spesa rispetto a quella “giusta”, quella depurata da tutte le inefficienze. Così l’Osservatorio ha quantificato in 80 miliardi annui il valore degli sprechi dei quali oltre la metà dovuti alla spesa sociale (sanità, previdenza, assistenza, istruzione). Lo studio si limita a tre ambiti: la sanità, la scuola, le (false) pensioni d’invalidità. Per ognuno di questi tre ambiti viene calcolato quanti miliardi di euro spreca ogni Regione. E i risultati sono impressionanti. A prezzi 2004, nella sanità si sono sprecati 15,8 miliardi, nella scuola 12,6 e circa 7 nelle pensioni d’invalidità. Lo spreco medio in questi tre comparti è del 22% e la sua metà è concentrata in tre sole regioni, ossia in Calabria, Campania, Sicilia (le tre regioni controllate dalla criminalità organizzata). E per non farci mancare nulla, anche gli sprechi hanno la loro bella Autorità, si tratta di quella che si dovrà occupare, in seguito al recepimento della direttiva Ue 18/2004, di vigilare sui Contratti di Lavori, Servizi e Forniture. In attesa che l’Authority stronchi (?) il fenomeno, facciamoci del male. Tre economisti, Oriana Bandiera, Andrea Prat e Tommaso Vallettri che hanno scritto lo studio Active and Passive Waste in Government Spending: Evidence from a Policy Experiment, hanno scoperto che i prezzi pagati dalle amministrazioni che usano convenzioni Consip risultano circa il 20% più bassi di quelli pagati dalle stesse amministrazioni senza passare per la centrale unica d’acquisto. Il fatto è che le amministrazioni che decidono di comprare forniture senza passare dalla Consip, lo fanno spesso per decidere discrezionalmente il prezzo, ecco perché spesso sprechi e bustarelle vanno spesso a braccetto. Secondo lo studio gli sprechi più forti sono da addebitare alle amministrazioni centrali dello Stato dato che è lì che la Consip ha generato i risparmi più elevati mentre molto meno inefficienti sono le amministrazioni locali, e ancora meglio sembrano fare enti come Università e Asl.
Corruzione |
60 miliardi di euro l’anno in tangenti a funzionari pubblici |
3.224 pubblici ufficiali denunciati nel 2008 |
117 milioni di euro recuperati nel 2008 |
Criminalità |
130 miliardi di euro fatturato criminalità 2008 |
70 miliardi di euro utili criminalità 2008 |
44/100 miliardi di euro fatturato annuo della ‘ndrangheta |
Burocrazia |
15 miliardi di euro l’anno in oneri burocratici equivalenti a: |
1% del Pil |
10 milioni di giornate lavorative perse |
Sprechi |
35 mila amministratori in società a controllo pubblico locale |
80 miliardi di euro l’anno in sprechi |
20% spreco medio per sanità, scuola, pensioni di invalidità |