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Riusciranno le multinazionali Usa a fermare Trump?

Oggi la Corte d’Appello decide sul travel ban, mentre 97 compagnie americane della Silicon Valley fanno causa al presidente Usa. La questione è innanzitutto economica, e noi dovremmo impararlo in fretta

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Non è Hollywood, ma il mondo delle multinazionali Usa il vero nemico del presidente Trump. Google, Facebook, AirBnb, ma anche Nike e soprattutto Starbucks avevano risposto al travel ban, il divieto di ingresso ai cittadini proveniente da sette Paesi, annunciano un’ondata di assunzioni di lavoratori immigrati e rifugiati. Le aziende americane hanno fatto di più, portando in tribunale Donald. «Don’t be evil». «Be Connected». «Think different». «Do great things», gli slogan coniati da Google, Facebook, Apple e Microsoft per sostenere la battaglia: «Non essere cattivo». «Resta connesso». «Pensa fuori dagli schemi». «Fai grandi cose».

Ben 97 tra i principali gruppi Usa – compresi anche Netflix, Twitter, Uber, Mozilla, Dropbox, Twilio, Zynga, Medium e Pinterest – hanno presentato un’azione legale contro il procedimento, proprio nello stesso tribunale che stoppato la prima richiesta della Casa Bianca di ripristinare l’ordine esecutivo, sospeso dal giudice federale di Seattle, James Robart (oggi 7 febbraio è attesa invece la decisione della corte d’Appello). Secondo le corporation della Silicon Valley, il bando è «illegale e dannoso». Soprattutto per loro: il 37% dei talenti che compongono la forza lavoro che innova il mondo, infatti, è nato all’estero, secondo il think tank Joint Venture. Gli immigrati, in particolare quelli di talento, sono una risorsa imprescindibile nella competizione globale. Nel documento firmato dalle 97 compagnie si legge: «L’ordine rende più difficile e costoso per le compagnie americane reclutare, assumere e tenere con sé alcuni dei migliori dipendenti al mondo. Ostacola le attuali operazioni delle imprese. E minaccia la capacità delle compagnie di attrarre talenti, affari e investimenti verso gli Usa».

L’Italia ha compreso il valore degli “impatriati”, come sono stati definiti con un termine di certo poco felice, solo nel maggio scorso con il decreto che ha portato alle agevolazioni fiscali per invogliare i talenti a entrare nel nostro Paese. Così, i lavoratori altamente qualificati, che trasferiscono la residenza in Italia possono contare, tra le altre cose, su uno sconto Irpef del 30% per quattro anni.

Il beneficio si applica solo a queste condizioni:

  • i lavoratori non devono aver risieduto in Italia nei cinque periodi d’imposta precedenti il trasferimento e devono impegnarsi a rimanere nel Paese per almeno due anni;

  • l’attività lavorativa deve essere svolta presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la stessa impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;

  • l’attività va prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di ciascun periodo d’imposta;

  • i lavoratori devono svolgere funzioni direttive e/o possedere i requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.