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Pmi italiane alla prova del Covid: pochi investimenti anti-crisi
Tra le piccole e medie imprese del nostro Paese le reazioni difensive prevalgono sulle strategie di crescita. Ma le scelte coraggiose potrebbero davvero fare la differenza a emergenza passata
La pandemia ha travolto le piccole imprese italiane in maniera del tutto imprevedibile al punto che tante non sono ancora riuscite a programmare un piano d’emergenza. Molti imprenditori si interrogano sul futuro delle loro attività, dal mondo dei servizi al commercio, dall’edilizia all’industria: ogni settore, sebbene in maniera diversa, è stato colpito dalla crisi sanitaria ed economica. È la fotografia sull’attuale situazione scattata dalla prima edizione dell’Osservatorio Piccole Imprese Italiane lanciato da Credimi in collaborazione con Nextplora su un campione di 1.200 aziende con fatturato fino a 10 milioni di euro, suddivise in parti uguali tra i settori di industria, commercio, edilizia e servizi e analizzate per forma giuridica (ditte individuali, società di persone, società di capitali).
Le piccole imprese italiane rischiano di portare a lungo il segno delle cicatrici lasciate dalla pandemia. Tanti hanno dovuto abbassare le saracinesche la scorsa primavera durante il periodo di lockdown imposto per legge: il42% delle piccole imprese nell’industria, il 36% nel commercio, il 75% nell’edilizia e il 48% nei servizi. Qualcuno è riuscito ad andare avanti con formule come il delivery, ma non senza difficoltà. I fortunati che dicono di non aver avuto un impatto particolarmente negativo sul business sono molto pochi: si tratta del 16% nell’industria e nel commercio, il 5% nell’edilizia e il 13% nei servizi. Molte conseguenze della crisi sono trasversali a più tipologie di imprese e settori: effetti negativi sugli investimenti programmati, aumento della richiesta di finanziamenti nel 2020 (principalmente per ripristinare liquidità e pagare i fornitori), numero di chiusure forzate e cali del fatturato, assenza di strategie o piani puramente conservativi per fronteggiare i mesi a venire.
Il 60% delle piccole imprese ha registrato una contrazione dei ricavi che oscilla tra il 10% e il 30%: un dato simile sia per le ditte individuali con incassi nell’ordine dei 100 mila euro l’anno, sia per le realtà più strutturate. A dimostrazione che la crisi non ha guardato in faccia nessuno. Di conseguenza, è diventato difficile, per una azienda su tre, anche riscuotere i pagamenti – un calvario che a cascata ha avuto ripercussioni sull’intera filiera produttiva – così come pagare il personale, gestire le forniture e saldare le fatture. Una situazione per molti insostenibile e che ora senza un cambio di direzione rischia di avvitarsi ulteriormente e influire sugli investimenti e quindi sulla crescita delle imprese.
L’emergenza sanitaria ha gravato fortemente anche sugli investimenti: circa solo un’azienda su 10 è riuscita a mantenere intatti quelli programmati per il 2020. La metà ha deciso di modificarli sia nelle priorità che nell’entità, e il restante 40% ha fermato tutto in attesa di tempi migliori. L’edilizia è il settore più conservativo in tal senso, con metà delle sue imprese che ha bloccato completamente gli investimenti. Una scelta dolorosa, ma – per tanti – l’unico modo per far fronte alle esigenze di cassa: dal pagamento degli stipendi a quello delle fatture, fino alla gestione delle forniture.
Solo una sparuta minoranza proverà a superare la crisi investendo e chiedendo finanza fresca per uscire dalla tempesta: una scelta coraggiosa e di lungo respiro che, passata l’emergenza, potrebbe davvero fare la differenza, allargando il divario tra chi si è fermato e chi, invece, ha scelto di rischiare per andare avanti. Le imprese più ottimiste in termini di incremento degli investimenti futuri sono quelle nei settori di commercio e servizi, in particolare le ditte individuali.
Come anticipato, per far fronte alle crisi molte piccole aziende sono orientate verso soluzioni difensive, che prevedono nella maggior parte dei casi la riduzione degli investimenti, il ricorso alla cassa integrazione per i dipendenti e l’utilizzo di tutti gli ammortizzatori sociali possibili. Una scelta comprensibile, e probabilmente in alcuni casi obbligata, ma che rischia di penalizzare la futura ripresa. Il 10% di imprenditrici e imprenditori che ha intenzione di sfidare il Covid mantenendo i propri piani di crescita, invece, ha le idee chiare su come spingere l’acceleratore: aumenterà gli investimenti sulla digitalizzazione (lo dichiara il 16% delle imprese dell’industria, il 21% di quelle del commercio e il 28% dei servizi), in ricerca e sviluppo (secondo il 20% delle aziende dell’industria, 17% servizi, 18% commercio), nel lancio di nuovi prodotti (16% industria, 15% commercio e 17% servizi) e nell’ampliamento della propria rete commerciale. Ma anche nel marketing (17% industria, 22% commercio 26% servizi) e nella pubblicità. Una strategia di ampio respiro con obiettivi temporali di medio periodo che però può rappresentare la differenza tra morire e sopravvivere in un contesto in rapida evoluzione.
E sono proprio le aziende più piccole e giovani ad apparire come maggiormente ricettive e dinamiche in questo momento, forse perché sono state quelle che hanno dovuto apportare più cambiamenti. Ad esempio, i dati mostrano che a partire dal 2020 le ditte individuali hanno aumentato l’attenzione verso la digitalizzazione, anche perché necessitavano di colmare un gap significativo con i nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori italiani.
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